Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

 
 
12. 
Fabrizio Ciba e Alice Tyler erano seduti composti su una panchina di marmo di fronte 
a una fontana ovale. A destra un boschetto di bambù illuminato da un faro alogeno. A 
sinistra un cespuglio di ortensie. Tra loro c’erano venti centimetri. Era buio e faceva 
freddo. Le luci della villa alle loro spalle si riflettevano sulla superficie dell’acqua e 
sulle splendide gambe di Alice. 
Fabrizio Ciba prese un sorso di alcol dalla bottiglia e la passò alla ragazza, che ci si 
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attaccò. Doveva darsi da fare rapidamente. In quel gelo rischiavano una paresi. Che 
fare? Saltarle addosso subito?Non lo so… Sai come sono ’ste intellettuali anglosassoni. 
Il dominatore delle classifiche, il terzo uomo più sexy d’Italia secondo il settimanale 
femminile «Yes» (dopo un pilota di motociclette e un attore di sit–com mesciato) non 
poteva assolutamente accettare un rifiuto. L’avrebbe costretto, probabilmente, ad anni di 
psicoanalisi. 
Il silenzio cominciava a diventare inquietante. Sparò li: – Hai tradotto pure i libri di 
Irvin Parker, vero? – Mentre lo diceva si rese conto che era la cosa peggiore da dire per 
un approccio rapido. 
– Sì. Tutti tranne il primo. 
– Ah… Lo hai conosciuto? 
– Chi? 
– Parker. 
– Sì. 
– E com’è? 
– Simpatico. 
– Veramente? 
– Molto.
No! Non funzionava. E per di più la sentiva distratta. I venti centimetri che li 
separavano sembravano venti metri. Era meglio rientrare e lasciare perdere. – Senti 
for… 
Alice lo guardò. – Ti devo dire una cosa – . Le brillavano gli occhi. – Una cosa uh po’ 
imbarazzante… – Prese fiato come se dovesse liberarsi di un segreto. – Quando ho finito 
di leggere La fossa dei leoni mi sono commossa… Sono stata male, pensa che quella 
sera dovevo uscire ma sono rimasta a casa, ero troppo scossa. E il giorno dopo l’ho 
riletto di nuovo e l’ho trovato ancora più bello. Non so che dire, è stata un’esperienza 
unica… Ho trovato tante analogie con la mia vita.
Ciba era attraversato da ondate di piacere, da cavalloni di endorfine che scendevano 
dal capo verso il basso, turbinandogli nelle vene come petrolio in un oleodotto. Solo che 
questa volta, al contrario che con Sawhney, il piacere gli si incanalò nell’uretere, 
nell’epididimo, nelle arterie femorali e gli esplose all’interno dell’organo riproduttore, 
che si riempi di sangue provocandogli una feroce erezione. Fabrizio l’afferrò per i polsi 
e le infilò la lingua in bocca. E lei, che stava per confessare di avergli scritto una lunga 
lettera, se la ritrovò tra le tonsille. Emise una serie di vocali: – Ei iaío! – che 
significavano: «Sei impazzito!» Per istinto cercò di liberarsi dalla gastroscopia, ma non 
riuscendoci si diede per spacciata e gli mise una mano tra i capelli e premette più forte le 
labbra sulle labbra e cominciò a mulinellare la lingua piccola e carnosa. 
Fabrizio, sentendola vinta, le cinse la schiena con le braccia e premette il petto contro 
quello di lei sentendone la soda consistenza. Lei sollevò una delle due meravigliose 
gambe. Lui le spinse contro l’erezione. Lei allora sollevò l’altra meravigliosa gamba. E 
lui le mise una mano tra le cosce. 
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Federico Gianni, l’amministratore delegato della Martinelli, e il suo fido scudiero 
Achille Pennacchini erano appoggiati alla balaustra del grande terrazzo che dominava il 
giardino e Roma. 
Gianni era uno spilungone tutto azzimato nei suoi svolazzanti completi di Caraceni. 
Da giovane aveva giocato a pallacanestro fino ad arrivare in serie A2 ma a venticinque 
anni aveva abbandonato lo sport per prendere in mano la gestione di un’industria di 
scarpe da ginnastica. Poi, attraverso chissà quali strade e contatti, era giunto all’editoria, 
prima in una piccola casa editrice milanese e infine approdando alla Martinelli. Di 
letteratura non capiva un accidente. Trattava i libri come scarpe e andava fiero del suo 
modo di pensare.
Tutto il contrario di Pennacchini, che Gianni aveva tirato fuori dall’Università di 
Urbino, dove insegnava Letteratura comparata, e messo a dirigere la casa editrice. Era 
un accademico, un uomo di lettere e tutto in lui lo dimostrava: gli occhiali tondi di 
tartaruga davanti a due occhi blu rovinati dai libri, la giacchetta a scacchi ciancicata, la 
camicia di cotone grosso con i bottoni sul colletto, le cravatte di lana e i pantaloni di 
cotone a righe. Parlava poco. Sempre a bassa voce. E tentennava. Non si riusciva mai a 
capire quello che pensava davvero. – E anche questa è fatta – . Gianni si stiracchiò. –
Mi sembra che sia andata bene. 
– Molto bene, – fece eco Pennacchini. 
Roma sembrava un’enorme coperta sporca tempestata di luci.
– È grande questa città, – rifletté Gianni di fronte a quello spettacolo. 
– Molto grande. Va dai Castelli fino a Fiumicino. È veramente immensa. 
– Quanto sarà di diametro? 
– Mah, non lo so… Almeno un’ottantina di chilometri… – buttò là Pennacchini. 
Gianni diede un’occhiata all’orologio. – Tra quanto andiamo al ristorante? 
– Tra una ventina di minuti al massimo. 
– Il buffet faceva schifo. Ho mangiato due tramezzini al salmone tutti secchi. Ho fame 
– . Fece una pausa. – E devo pure pisciare. 
Pennacchini all’ultima affermazione del suo capo dondolò la testa in avanti e indietro 
come un piccione. 
– Io, quasi quasi, la faccio nel giardino. All’aria aperta. Non c’è niente di meglio che 
pisciare davanti a ’sto spettacolo. Guarda laggiù, sembra che ci sia un temporale – . 
Gianni si sporse dalla terrazza e guardò nella vegetazione scura. – Mi controlli che 
nessuno mi veda? Anzi se qualcuno viene da questa parte fermalo. 
– E che gli dico? – mormorò incerto il direttore. 
– A chi? 
– A chi dovesse venire da questa parte. 
Gianni ci pensò un attimo sopra. – E che ne so… Intrattienilo, bloccalo. 
L’amministratore delegato scese gli scalini che portavano nel giardino abbassandosi la 
lampo dei pantaloni. Pennacchini si piazzò, come una guardia svizzera, all’inizio delle 
scale. 
37


Larita. 
Era lei la prescelta. Avrebbero sacrificato la cantante di Chieti Scalo al Signore del 
Male. Durante la festa Mantos l’avrebbe decapitata con la Durlindana. 
– Altro che suore… Kurtz ti faccio vedere io, – sghignazzò Saverio prendendo a 
saltare per il soggiorno. 
Cosa sarebbe successo a livello planetario quando si fosse saputo che la cantante che 
aveva venduto dieci milioni di copie tra Europa e America Latina e aveva cantato per il 
papa il giorno di Natale era stata decapitata dalle Belve di Abaddon? La notizia sarebbe 
apparsa sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Al livello di John Lennon e di 
Janis Joplin… 
Saverio ebbe un dubbio. Ma Janis Joplin era stata assassinata? 

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