nausea, ma doveva fingere di non aver cenato.
Serena seduta con le gambe poggiate sulla lavapiatti si stava smaltando le unghie.
Come sempre non l’aveva aspettato per mangiare. La televisione sul piano di formica
della cucina trasmetteva
Chi vuol essere milionario?, il programma preferito di Saverio
dopo
Misteri in onda su Rai Tre. Ma la mente del leader delle Belve era distante.
Continuava a ripensare alla telefonata con Kurtz Minetti.
Che grande che sono. Si pulì la bocca con il tovagliolo.
Come gli ho detto? No. Non
sono interessato. Quale satanista in circolazione aveva il fegato di rifiutare l’invito a
diventare il referente per l’Italia centrale dei Figli dell’Apocalisse? Gli venne voglia di
telefonare a Murder e raccontargli come aveva mandato a cagare Kurtz, ma Serena
poteva sentirlo e poi non voleva fargli sapere cosa pensava quella merda di Kurtz delle
Belve di Abaddon, ci sarebbe rimasto male.
Era sorpreso da come gli era uscito potente e senza esitazioni quel no. Non poté fare a
meno di pronunciarlo di nuovo: – No!
– No cosa? – gli domandò Serena senza alzare lo sguardo dalle unghie delle mani che
si stava spennellando con lo smalto rosso.
– Niente, niente. Stavo pensando… – Saverio ebbe l’impulso di raccontare tutto a sua
moglie, ma si trattenne. Se quella scopriva che era
il capo di una setta satanica, come
minimo chiedeva il divorzio.
Però quel no poteva essere l’inizio di una svolta esistenziale. Era un no che
inevitabilmente avrebbe messo in moto una valanga di no che era tempo di pronunciare.
No ai weekend di lavoro. No al lavoro di badante. No a portare sempre lui la pattumiera
fuori.
– C’è il resto del tacchino di ieri. Scaldatelo nel microonde –. Serena si era alzata in
piedi e sventolava le mani.
– No – . Gli venne naturale rispondere.
Serena sbadigliò. – Io me ne vado a letto. Quando hai finito sparecchia, porta giù la
pattumiera e chiudi le luci.
Saverio la osservò. Aveva dei pantaloncini di jeans elasticizzati ricoperti di strass, gli
stivali da cowboy di vernice bianca e una maglietta nera con sopra una enorme V di
Valentino.
Nemmeno le ragazzine davanti ai centri commerciali si conciano così.
Serena Mastrodomenico aveva quarantatre anni e tutto il sole che aveva preso in vita
sua l’aveva disidratata come un pomodoro essiccato. Era magrissima, nonostante avesse
partorito un paio di gemelli nemmeno un anno prima. Da lontano faceva la sua bella
figura, con quel fisico snello, le tette a palloncino e quel colorito caffè e latte. Ma se ti
avvicinavi e la osservavi bene, scoprivi che il derma era lasso e coriaceo come quello di
un rinoceronte e un groviglio di sottili rughe le attraversava il collo,
i contorni della
bocca e il décolleté. Gli occhi verdi, brillanti e vivi si poggiavano sugli zigomi lucidi e
tondi come due mele annurche.
Spesso indossava scarpe aperte che mettevano in mostra le caviglie affusolate e i
piedini graziosi. Portava abitini leggeri da cui spuntavano i pizzi del reggiseno di un
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paio di taglie più piccolo e i due emisferi sintetici. Si copriva di gioielli etnici neanche
fosse una principessa berbera il giorno dell’incoronazione.
Nei lunghi anni di matrimonio Saverio aveva notato che la sua signora riscuoteva
parecchio successo con gli uomini, soprattutto quelli giovani. Ogni volta che andava al
magazzino del
mobilificio gli spedizionieri, un branco di arrapati, lo mettevano in
mezzo. Non avevano rispetto nemmeno della figlia del padrone.
«Che spettacolo deve essere tua moglie a letto. Altro che le ragazzine,
quella ha
un’esperienza. Ti apre come un divano letto», «Dài facci un video porno», «Save’, ma
come fai a soddisfarla? Quella, secondo me, ha bisogno di una squadra di maschioni…»
«È il classico tipo che fa la raffinata ma in realtà è una porca esagerata…» E altre
volgarità che è meglio non riferire.
Se quei deficienti avessero saputo la verità. Serena detestava il sesso. Diceva che era
burino. Aborriva ogni forma di nudità, trovava repellenti i fluidi corporei e tutto quello
che aveva a che fare con i rapporti fisici (tranne i massaggi, praticati però
esclusivamente da donne).
Eppure qualcosa a Saverio Moneta non tornava. Se il sesso le faceva così schifo
perché usciva acchittata come una playmate? E perché tra tutti
i posti del parcheggio
lasciava il Suv proprio davanti al magazzino?
Saverio si alzò da tavola e cominciò a sparecchiare. Non aveva voglia di andare a
letto, era troppo contento. Per fortuna i gemelli dormivano. Era il momento giusto per
concentrarsi sull’idea che avrebbe scosso le Belve di Abaddon e il resto del mondo.
Prese un bloc–notes e una penna, afferrò il telecomando per spegnere, quando sentì
Gerry Scotti dire: – Incredibile! Il nostro simpatico Francesco di Sabaudia è arrivato
zitto zitto alla domanda da un milione di euro…
Il concorrente era un ometto nervoso con un ghigno stirato sulla bocca. Sembrava
fosse seduto su un porcospino. Gerry, invece, aveva l’espressione soddisfatta di un
soriano che si è pappato una scatoletta di tonno. Ci mancava
poco che cominciasse a
farsi le unghie sulla poltrona. – Allora caro Francesco sei pronto?
L’ometto deglutì e si aggiustò il collo della giacca. – Abbastanza…
Gerry allargò il toracione e si rivolse al pubblico, divertito. – Abbastanza? Avete
sentito? – Poi, improvvisamente serio, parlò ai telespettatori. –
Chi di voi al suo posto
non sarebbe nervoso? Mettetevi nei suoi panni. Un milione di euro può cambiarti la vita
– . Tornò a parlare a Francesco. – Avevi detto che il tuo sogno era pagare il mutuo della
casa. E adesso? Se dovessi vincere, oltre al mutuo, che faresti?
– Be’ comprerei una macchina a mia madre e poi… –Il concorrente stava soffocando.
Boccheggiò e riuscì a rispondere. – Vorrei fare una donazione all’istituto San
Bartolomeo di Gallarate.
Gerry lo squadrò dall’alto. – E di che si occupa, se mi permetti?
– Di aiutare i senza tetto.
– Be’, complimenti – . Il presentatore incitò il pubblico a battere le mani e il pubblico
gli restituì un fragoroso applauso. – Sei un filantropo. Non è che poi ti vediamo
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sfrecciare su una Ferrari? No. Si capisce che sei un brav’uomo.
Saverio scosse la testa. Se avesse vinto lui quella somma, ci avrebbe comprato un
castello medievale nelle Marche e ne avrebbe fatto la base operativa delle Belve.
– Ma ora veniamo alla domanda. Pronto? – Gerry si strinse il nodo della cravatta, si
schiarì
la voce e, mentre sullo schermo apparivano la domanda e le quattro risposte,
recitò: Chi era Abaddon?
A) Un pastore anglicano del XVIII secolo B) Un demone citato nell’Apocalisse
C) Una divinità assira D) Una festa religiosa Maya Saverio Moneta per poco non cadde
dalla sedia.
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