Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

Compassione! Prova compassione per me!, comprese Fabrizio. Estrasse il dito e se lo 
pulì sulla giacca. Che diavolo stava facendo? Era impazzito? Si era buttato come un 
adolescente infoiato addosso a una sconosciuta mentre la sua casa editrice complottava 
contro di lui. 
Devo rispondere a questo affronto. 
C’era solo una persona al mondo che poteva aiutarlo. La sua agente. Margherita Levin 
Gritti. 
– Scusami, ma devo andare! – fece distrattamente rinfilandosi il mollusco nei 
pantaloni e allontanandosi di corsa. 
Lei rimase lì senza sapere che pensare, poi cominciò a riabbottonarsi la camicetta.
15. 
Il leader delle Belve di Abaddon aveva finalmente trovato l’idea. Doveva 
immediatamente riunirsi ai suoi adepti e renderli edotti della situazione. Non importava 
che fossero le dieci passate. Tanto quelli erano a casa di Silvietta a vedersi un film. 
A luci spente andò nello sgabuzzino delle scope. Ben nascoste dietro scatole di 
detersivi e di scarpe, stipate in una busta della GS, c’erano le uniformi delle Belve. Le 
aveva disegnate lui stesso e fatte cucire da un sarto cinese di Capranica. Erano semplici 
tuniche di cotone nero (al contrario di quelle sgargiantissime dei Figli dell’Apocalisse, 
oro e viola) con il cappuccio a punta. Come scarpe, dopo diversi dubbi, aveva scelto 
delle espadrillas nere.
40


Saverio tornò in salotto e cercando di non far rumore prese dallo scatolone la 
Durlindana, dalla credenza le chiavi della macchina. Afferrò l’ombrello e la bottiglia di 
Jägermeister e stava per abbassare la maniglia della porta di casa quando il lampadario si 
accese, inondando di luce la collezione Zanzibar. 
Serena in camicetta da notte era sulla porta del soggiorno. – Dove vai? 
Saverio s’ingobbì, abbassò la testa e cercò di nascondere la spada dietro la schiena 
senza riuscirci. – Esco un attimo… 
– Dove? 
– Vado al mobilificio a vedere una cosa… 
Serena era perplessa. – Con la spada? 
– Sì… – Doveva immediatamente inventarsi una stronzata. – Vedi… C’è un mobile… 
C’è un mobile da salotto che potrebbe contenerla perfettamente e volevo controllare se 
ci entrava. Vado e torno. Ci metto un attimo. Tu vai a dormire. 
– E in quella busta che c’è? 
Saverio si guardò intorno. – Quale busta? 
– Quella che hai in mano. 
– Ah… Questa – . Saverio sollevò le spalle. – No, niente… Ho dei vestiti che devo 
ridare a Edoardo. Sono per una festa in maschera. 
– Lo sai quanti anni hai, Saverio? 
– Che domande fai? 
– Mi hai stancato. Profondamente stancato. Quando Serena diceva che si era stancata, 
profondamente stancata, con quel tono esaurito, Saverio sapeva che entro pochi minuti si 
cominciava a litigare. E litigare con Serena non conveniva mai. Era capace di 
annientarti, di trasformarsi in qualcosa di così terribile che non si può nemmeno 
descrivere. La strategia migliore era stare zitti e abbozzare. Se iniziava a urlare i gemelli 
si sarebbero svegliati e avrebbero attaccato a frignare, e a quel punto gli toccava 
rimanere a casa. 
Lasciala parlare. Superiore. 
– E non hai stancato solo me. Lo sai che dice papà? Dice che di tutti i reparti del 
mobilificio il tuo è l’unico in perdita. 
Saverio, nonostante quello che si era appena ripromesso, non resse. – E certo! I mobili 
tirolesi fanno cagare a tutti. Non li vuole nessuno! Per quello tuo padre me lo ha 
affidato. Lo sai benissimo. Cosi mi può… 
Serena lo interruppe, stranamente senza alzare la voce. Sembrava così scoraggiata che 
non aveva nemmeno la forza di urlare. – Ah! I mobili tirolesi fanno cagare? Ti è noto 
che mio padre ha venduto per più di vent’anni solo ed esclusivamente mobili tirolesi? 
Ricordati che è stato lui il primo che li ha introdotti nel Lazio. Sai dopo in quanti lo 
hanno copiato? Gli arredi rustici e tutto il resto è venuto grazie a quei mobili che a te 
fanno tanto cagare – . Incrociò le braccia. – Tu non hai rispetto… Non hai rispetto per 
mio padre e nemmeno per me. Io sono veramente stanca di coprirti, di sentire ogni 
giorno papà che insulta mio marito. Mi mortifico – . Scosse la testa amareggiata. – 
41


Aspetta… Aspetta… come ti ha chiamato l’ultima volta? Sì, ecco… Uno scarafaggio 
senza palle. Lo sai dove ti avrebbe mandato a quest’ora se non ci fossi io? 
Saverio strinse il manico della Durlindana come volesse spezzarla. Avrebbe potuto 
ucciderlo, quel vecchio bastardo. Sarebbe stato così facile. Un colpo secco di spada tra 
la terza e la quarta vertebra cervicale. 
– Come dargli torto? – Serena lo indicò. – Guardati, esci di nascosto con i vestiti di 
carnevale, la spada e vai dai tuoi amichetti a giocare… Non hai tredici anni. E io non 
sono tua madre. 
Saverio, a testa bassa, cominciò a piantare la punta della Durlindana nel parquet. 
– Così non può andare avanti. Ho perso ogni rispetto per te. Io ho bisogno di un 
uomo. Ti sei mai chiesto perché non voglio fare l’amore con te? – Si girò e se ne tornò 
in camera. La sentì dire: – Esci. Corri. Non vorrai fare aspettare i tuoi amichetti? E butta 
la pattumiera. 
Saverio rimase per circa un minuto fermo sulla porta di casa. Fuori il temporale non 
accennava a placarsi. Se fosse uscito ora la sua vita sarebbe stata un inferno per una 
settimana. Rimise la Durlindana nella scatola e la busta con le tuniche nello sgabuzzino. 
Si attaccò alla bottiglia di amaro. Meglio dormire sul divano. L’indomani mattina 
Serena sarebbe stata più calma e avrebbero potuto fare pace, o qualcosa di simile. 
Doveva dimostrarle che non era uno scarafaggio senza palle. E per riuscirci c’era solo 
un modo: recuperare il budget trimestrale e mettere a tacere il vecchio bastardo. 
Mancava ancora un mese alla fine del trimestre e se si metteva a lavorare di brutto ce la 
poteva fare. Prese un altro sorso di alcol e mezzo stonato andò in bagno a lavarsi i denti. 
Come cavolo gli era venuto in testa di uccidere Larita? Per farlo doveva prendersi un 
giorno libero e in questo momento, con il bilancio in rosso, non era proprio cosa. E poi, 
ammettiamolo, oltre a sua moglie anche le Belve non credevano più in lui. 
Sputò il dentifricio nel lavandino, si asciugò la bocca e si guardò nello specchio. Le 
tempie erano quasi bianche e il velo di barba sul mento era grigio. 
Non hai tredici anni. E io non sono tua madre. 
Aveva ragione Serena. Ragione da vendere. Se non le dimostrava che poteva avere 
fiducia in lui, alla morte di suo padre non gli avrebbe mai dato la gestione del 
mobilificio. 
E ho due figli a cui badare. Non devono crescere sapendo di avere un padre 
incapace. 
Ed era solo colpa sua se tutti lo pensavano. 
Basta! ’Sta storia della setta satanica deve finire. Domani convoco le Belve e gli dico 
che il gioco è finito. 
Si tolse la camicia e la canottiera. Anche quel poco di peli che aveva sul petto 
cominciavano a ingrigirsi. Apri il rubinetto della doccia, poi lo richiuse. Spalancò la 
bocca in un urlo muto. Aveva le guance rigate dalle lacrime. 
Perché si era ridotto così? Per quale assurda ragione si era chiuso volontariamente in 
una gabbia con quell’arpia e aveva buttato via le chiavi della sua esistenza? Da giovane 
42


aveva un sacco di progetti. Fare un giro dell’Europa in treno. Andare in Transilvania a 
visitare il castello del conte Vlad. Vedere i dolmen e le sculture dell’isola di Pasqua. 
Studiare il latino e l’aramaico. Non aveva fatto nulla di tutto questo. Si era sposato 
troppo presto con una donna che adorava i villaggi turistici e razziare gli outlet. 
Tornò al lavandino e si guardò di nuovo nello specchio come per accertarsi che fosse 
ancora lui. Prese l’asciugamano e se lo poggiò in testa. 
– Aspetta… Aspetta un attimo, – si disse. 
Non doveva dimenticare. Quella era stata una giornata speciale e non bastava un 
litigio con Serena per cancellarla. Sentiva con ogni fibra del corpo che quello era l’inizio 
di una nuova esistenza, bastava avere il coraggio di ribellarsi. E non era per Gerry Scotti 
e nemmeno per il nuvolone con il volto di Satana che gli era apparso come un presagio, 
non era per Kurtz che lo aveva chiamato per chiedergli di essere il suo rappresentante. 
Era per quel no. Era stato troppo bello. Troppo gratificante. Non lo poteva sciupare così. 
Era stata la prima volta che aveva detto NO. Un NO vero. 
Se abbandoni la setta devi essere cosciente che la tua vita d’ora in avanti sarà solo 
una lunga sequela di si. Devi essere cosciente che ti spegnerai lentamente, 
nell’indifferenza generale, come un cero su una lapide abbandonata. Se adesso deponi 
la Durlindana e ti metti a dormire sul divano non ci saranno più messe nere, orge 
sataniche e scritte sui viadotti. Non ci saranno più cene con i tuoi adepti. Mai più. E non 
le rimpiangerai perché sarai troppo depresso per poterle rimpiangere. Decidi ora. 
Decidi se sei lo schiavo di tua moglie o sei Mantos, il sommo maestro delle Belve di 
Abaddon. Decidi chi cazzo sei. 
Si tolse l’asciugamano dalla testa, con un sorso finì la boccia di Jägermeister, afferrò 
il tagliabarba, lo accese e si rapò a zero.

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