pieno di merda. Mi sa proprio che non ha capito con chi ha a che fare…
Si girò di scatto verso Larita cercando sostegno. – E mi spieghi che cazzo ci facevano
i cacciatori alla volpe…? – Ma si azzittì
vedendola immobile, paralizzata accanto
all’animale morto.
Sembrava di vedere la scena finale di
King Kong. Quando la ragazza sta accanto allo
scimmione caduto dal grattacielo.
Larita era veramente piccina vicino all’elefante. Da morto, poi, il pachiderma
sembrava ancora più grande che da vivo. La proboscide allungata come un serpente tra
le pietre del rigagnolo. Le zampe raccolte contro il ventre, una zanna spezzata. L’occhio
spalancato rifletteva la luce del lampione. Dalla bocca gli colava un rivolo di sangue che
si stemperava nell’acqua del fiumicello.
Larita improvvisamente, come liberata da un incantesimo, spalancò la bocca cercando
di inspirare, ma qualcosa, un groppo forse, glielo impedì. Allora lentamente allungò la
mano e la poggiò sulla fronte rugosa dell’elefante. Come se le avessero tagliato i fili che
la
reggevano in piedi, andò giù e si accucciò contro la groppa e cominciò a piangere
scossa dai singhiozzi.
Fabrizio si mise una mano sulla bocca. Come aveva fatto a dimenticarsi di Larita? Era
lei l’unica cosa preziosa in tutta quella merda. Era lei l’angelo che lo avrebbe salvato.
Lui e lei erano diversi. Lui e lei non c’entravano niente con quella festa.
E lui doveva
prendersi cura di quella creatura e portarla in salvo.
Corse da lei e l’abbracciò forte sentendo quel corpicino squassato dai singhiozzi. Era
così piccola. Cosi indifesa.
Larita con gli occhi immersi nelle lacrime, la faccia infuocata, ingoiando aria provava
a parlargli: – Po… Po… Poverino…
Di chi sta parlando?
– Non… Non è giusto… non aveva fatto niente di ma… le – . E fu di nuovo afferrata
dal pianto.
Dell’elefante, idiota.
Le strinse la testa e se la poggiò sulla spalla. – Non piangere. Ti prego… Non
piangere, – le sussurrava nell’orecchio accarezzandole i capelli. Ma lei non smetteva.
Appena il ritmo rallentava, prendeva respiro e ricominciava.
Fabrizio provò a dire qualcosa. Un borbottio di frasi con poco senso. – No… Non ha
sofferto tanto… Si è spezzato la schiena, non ha sentito niente… È stato liberato… Una
vita in catene.
Ma nulla, lei continuava a piangere, sembrava alimentata da una batteria. Disperato,
non sapendo più che fare per calmarla, le afferrò il collo, le tolse i capelli dalla faccia e
con una naturalezza che non aveva mai conosciuto in vita
sua schiuse le labbra e la
baciò.
Do'stlaringiz bilan baham: