Zombie si sfiorò con il medio l’angolo della bocca, li dove lo aveva baciato Silvietta,
attaccò
la lettera al pannello, si sputò sulle mani, afferrò l’ascia e a gambe larghe si
piazzò di fronte al cavo.
Era arrivato il momento di mostrare il coraggio che aveva sempre nascosto a tutti.
– L’uomo non mi piace. E nemmeno la donna – . Sollevò
il manico e con tutta la
forza e la disperazione che aveva nel suo esile corpo mozzò il cavo.
In quel filo di rame viaggiava una tensione di ventimila volt, circa dieci volte quella
usata nelle sedie elettriche. Il flusso di elettroni attraversò la lama e il manico dell’ascia
che, sebbene fosse di legno, si incenerì all’istante. Stessa sorte toccò alle mani e alle
braccia dell’adepto. Il resto del corpo prese fuoco con una vampata spettacolare. La
torcia umana cominciò a sbattere e a rimbalzare contro
le pareti della stanzetta, poi si
fermò, allargò le braccia come un angelo caduto che voglia spiccare il volo e crollò a
terra e si consumò fino a che di Edo Sambreddero detto Zombie non rimase che un
tronco incenerito.
Le turbine della centrale si fermarono. Il ronzio si azzittì.
Le luci del parco e della
villa si spensero. Anche i computer che controllavano le cascate, i flussi d’acqua nei
laghi, le mangiatoie per gli animali e tutto il resto si spensero.
Un generatore si mise in funzione. Accese le luci di emergenza nella casa e attivò le
pompe pneumatiche dei cancelli d’acciaio dei varchi, che
si chiusero lasciando Villa
Ada al buio e separata dal resto della città.
31. Arrivo ai bivacchi e cena
Fabrizio Ciba e Larita si stavano baciando accanto al cadavere dell’elefante, quando i
lampioni del sentiero si spensero. Lo scrittore aprì gli occhi e si ritrovò immerso nel buio
completo. – Le luci! Le luci si sono spente!
– Oddio – . Larita abbracciò impaurita Fabrizio. – E ora? Che facciamo?
Lo scrittore ci mise un po’ a capire l’entità del problema. Quel bacio appassionato lo
aveva stordito. La rabbia era sbollita e una strana sensazione di benessere lo illanguidiva
tutto. Adesso che, finalmente, aveva trovato l’amore, tutto il resto gli sembrava cosa di
poco conto. Desiderava solo lavarla, curarla, disinfettarle le ferite e farci l’amore. La
corsa sull’elefante nel bosco, il volo, la certezza della morte e la sorpresa di essere vivo,
quella miscela di paura, di rabbia e di morte, lo avevano parecchio eccitato.
– E adesso come facciamo? – Lei gli si strinse addosso.
Fabrizio sentì il cuore di Larita che batteva deciso dietro le tette. – Non lo so… Scusa
ma… Non possiamo rimanere qua? Che ci importa? – Si era scordato l’antico piacere di
sentire la consistenza di un paio di tette non rifatte.
– Sei impazzito?
– Perché? Aspettiamo l’alba. Ci potremmo nascondere nelle fratte e come esseri
primitivi e senza regole… –Se quella non fosse stata la vita reale, ma un suo romanzo, il
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protagonista ora avrebbe preso Larita e senza troppe chiacchiere l’avrebbe denudata e
poi l’avrebbe posseduta sulla carcassa dell’elefante e il sangue, lo sperma e le lacrime si
sarebbero confuse in un’orgia ancestrale. Sì, nel nuovo
romanzo avrebbe messo una
bella scena di sesso di questo genere. In Sardegna, da qualche parte vicino Oristano.
Larita interruppe i suoi pensieri. – Il parco è pieno di animali feroci. La tigre… I
leoni…
Si era completamente dimenticato delle bestie selvatiche. Le strinse la mano. – Sì, hai
ragione, dobbiamo muoverci. Ma non si vede nulla. Speriamo che il guasto venga
riparato presto.
– Dobbiamo andare sul sentiero.
– Ma da che parte è la villa? A destra o a sinistra?
– A sinistra, penso. Spero…
– Va bene. Andiamo sul sentiero. È a pochi metri
– . Fabrizio tirò fuori un tono deciso. Nonostante la paura delle fiere,
avere vicino
quella donna da proteggere lo faceva sentire forte e impavido. Si alzò e aiutò Larita a
tirarsi su. – Attaccati alla cinta e stammi dietro – . Allungò le braccia come un
sonnambulo, e barcollando tra le rocce fece qualche passo incerto nel buio. – Cosi però
ci facciamo male. È meglio a quattro zampe.
E così, carponi, i due avanzarono fino a che non sentirono
la ghiaia sotto le palme
delle mani.
Lì al centro della gola, dove non arrivavano gli alberi, il cielo rifletteva le luci della
città e si riusciva a scorgere una staccionata che delimitava il fosso in mezzo alla strada.
– Eccoci! – Fabrizio si rimise in piedi. – Reggiamoci alla staccionata e proseguiamo.
Ma prima voglio una cosa, se no non so se riesco ad andare avanti.
– Cosa?
– Un altro bacio.
Aprì la bocca e sentì la lingua di lei che scivolava sulla sua e si muoveva lambendogli
il palato e le tonsille. Lui la strinse, se la premette addosso,
ma si trattenne dal farle
sentire l’erezione.
Sì, erano veramente una bella coppia.
Io questa me la sposo…
Che fortuna averla incontrata. Ed era merito di quel buffone di Salvatore Chiatti e
della sua merdosa festa.
Vabbe’ Sasà ti salvo. Non ti scrivo contro.
Do'stlaringiz bilan baham: