Anche Larita, accanto a lui, non smetteva di tossire. – Ce la fai? – ansimò la cantante.
Saverio si puntellò meglio con le mani e con i piedi contro i loculi funerari. La
corrente era fortissima, se mollava un attimo lo avrebbe trascinato via. – Sì. Ci sono.
Larita con una mano si afferrò a uno spuntone di roccia. – Tutto bene?
– Bene – . E per essere più convincente lo ripeté. – Bene.
Non era vero. Doveva essersi rotto la gamba destra. Mentre venivano trascinati dalla
corrente aveva sbattuto con violenza contro una parete.
Staccò dalla roccia la mano destra e si toccò dove gli faceva male. Sentì…
Oddio.
… una lunga scheggia appuntita gli usciva dalla carne.
Un legno, qualcosa, mi si è
piantato nella coscia… Poi capi e per poco non mollò la presa.
Era il suo femore rotto che spuntava dalla gamba come un coltello. La
testa prese a
girargli. Le orecchie erano bollenti. L’esofago gli si strinse. Una roba acida gli risali fino
al palato.
Sto per svenire.
Non poteva. Se sveniva la corrente lo avrebbe risucchiato. Rimase fermo, attaccato
alla roccia, aspettando che le vertigini passassero.
– Che facciamo? – La voce di Larita rimbombava lontana.
Saverio vomitò e chiuse gli occhi.
– Rimaniamo qua? Aspettiamo che ci vengano a salvare?
Fece un grande sforzo per risponderle. – Non lo so.
Mi sto dissanguando.
L’acqua gli impediva di vedere la ferita. E questo era un bene.
– Neppure io, – disse Larita dopo un po’. – Qui però non possiamo restare.
Ti prego aiutami, sto morendo, era l’unica cosa che avrebbe voluto dirle. Ma non
poteva. Doveva essere un uomo.
Che assurdità… Meno di quarantotto ore prima era un triste impiegato di un
mobilificio, uno
sfigato vessato dalla famiglia, e ora si trovava in una catacomba
allagata accanto alla più grande cantante italiana, e stava morendo dissanguato.
La sorte beffarda gli stava concedendo un’opportunità. Quella lì, che non sapeva nulla
di lui, della sua sfiga congenita, lo avrebbe visto e giudicato per quello che era in quel
momento.
Almeno qualcuno per una volta l’avrebbe visto come un eroe. Un uomo senza paura.
Un samurai. Che diceva Yamamoto Tsunetomo nell’
Hagakure? «La via del samurai è
una smania di morte».
Sentì la forza della volontà consolidarsi come un grumo duro nelle viscere doloranti.
Faglielo vedere chi è Saverio Moneta.
Riaprì gli occhi. Era buio, ma vedeva le ossa dei morti che gli galleggiavano intorno.
Da qualche parte un po’ di luce doveva entrare.
Larita faceva fatica a reggersi. – Credo che l’acqua stia aumentando.
Saverio cercò di concentrarsi e di non pensare al dolore. – Ascoltami… Tra un po’
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l’aria finirà. E chissà quando arriveranno i soccorsi. Dobbiamo farcela da soli.
– Come? – gli rispose Larita.
– Mi pare di vedere un bagliore da quella parte. Lo vedi pure tu?
– Sì… Appena appena.
– Bene. Andiamo di là.
– Ma se mi stacco mi trascina giù.
– Ci penso io – . Mantos si diresse verso la voce della cantante affondando le dita nel
tufo friabile. – Aspetta… Attaccati alle mie spalle – . Il dolore gli abbagliava la vista.
Per non urlare afferrò una tibia che galleggiava e la serrò tra i denti. Poi si fece vicino
alla ragazza, che si attaccò alle sue spalle e con le cosce gli strinse il busto.
Matteo Saporelli era un pesce.
Anzi un tonno pinna gialla. No, anzi, un delfino. Uno splendido delfino maschio che
nuotava tra le misteriose rovine di Atlantide. Le braccia attaccate al corpo, muoveva la
testa su e giù in sincrono con le gambe che pinneggiavano parallele.
Do'stlaringiz bilan baham: