Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

 
8. 
Gli invitati chiacchieravano, esprimevano giudizi, si accalcavano nella cripta intorno 
ai russi come fossero a un vernissage. Federico Gianni, l’amministratore delegato della 
Martinelli, con addosso brandelli dell’uniforme da caccia al leone, stava parlando con 
Ciba. – Senti, ma questa è una storia pazzesca… gli atleti sovietici che vivono per 
cinquant’anni nel sottosuolo di Roma. Ci viene fuori un romanzo incredibile. Una roba 
genere Il nome della rosa, per intenderci.
Fabrizio se ne stava sulle sue. Quello era un falsone traditore. – Dici? Non mi sembra 
così eccezionale. Sono cose che succedono abbastanza frequentemente. 
– Ma scherzi? Ne potrebbe venire fuori un grande libro. Questa storia, mandata nelle 
librerie con il giusto lancio, spacca tutto.
Lo scrittore si carezzò il mento. – Non lo so… Non mi convince. 
– E la devi scrivere tu. Senza alcun dubbio. 
Fabrizio non si trattenne. – Perché non la fai scrivere a Saporelli? 
165


– Saporelli è troppo giovane. Qui ci vuole una penna matura, del tuo calibro. Uno che 
ha dato una svolta alla letteratura italiana. 
Quegli elogi cominciavano a fare breccia nella corazza dell’autore della Fossa dei 
leoni. 
In effetti il bastardo non si sbagliava, quella storia era molto meglio della grande saga 
sarda, ma non doveva calare subito le braghe. – Ci devo pensare… 
Il lungagnone però non era intenzionato a mollare. Gli brillavano gli occhi. – Tu sei 
l’unico che può fare una cosa del genere. Ci potremmo accludere anche un dvd. 
L’idea cominciava a solleticarlo. – Un dvd? Dici? Funzionerebbe? 
– Hai voglia. Molti contenuti. Che ne so, la storia delle catacombe… E un sacco di 
altra roba. Decidi tutto tu. Ti do carta bianca – . Gianni gli mise un braccio sulle spalle. – 
Ascolta, Fabrizio. In questo ultimo periodo non ci siamo parlati un granché. Questo è il 
guaio di dover tenere in piedi la baracca. Perché non ci facciamo un pranzo di lavoro nei 
prossimi giorni? Tu meriti di più – . Fece una pausa tecnica. – In tutti i sensi. 
Un peso terribile scomparve, il diaframma contratto si rilassò di colpo e Fabrizio si 
accorse che dalla presentazione dell’indiano aveva continuato a vivere in uno stato di 
malessere fisico. Sorrise. – Va bene, Federico. Ci sentiamo domani e ci mettiamo 
d’accordo. 
– Ottimo, Fabri. 
Da quanto non lo chiamava Fabri? Risentirlo fu miele per le sue orecchie. 
– Senti ti ho visto con quella cantante… Come si chiama? 
Cazzo, Larita! Se l’era completamente dimenticata. 
Gli occhi di Gianni si intenerirono al pensiero della ragazza. – Bella fighetta. Te la sei 
scopata? 
Mentre Fabrizio si girava a vedere dove fosse finita, un fragore rimbombò all’interno 
dell’antica necropoli. 
Sulle prime lo scrittore pensò a un’esplosione in superficie, poi si accorse che il 
fragore continuava, anzi diventava sempre più forte, e la terra tremava sotto i piedi. 
– E ora che succede? Non se ne può più… – sbuffò annoiato Mago Daniel. 
– Saranno i fuochi artificiali… Corriamo… Ci siamo persi l’amatricianata di 
mezzanotte e non mi voglio perdere per nessuna ragione la cornettata…– gli rispose 
tutto eccitato il fidanzato, l’attore teatrale Roberto De Veridis. 
No. Questi non sono fuochi artificiali, si disse Fabrizio. Sembrava più un terremoto. 
L’infallibile istinto animale che di solito lo informava se valeva la pena di andare o no a 
una festa, che gli faceva intuire se fare o no un’intervista e gli suggeriva il momento più 
opportuno per apparire e scomparire dalla ribalta, questa volta lo informò che doveva 
immediatamente abbandonare quel posto. 
– Scusami un attimo… – disse a Gianni. 
Si mise a cercare Larita, ma non la vide da nessuna parte. In compenso trovò Matteo 
Saporelli che in un angolo si era spogliato e si stava cospargendo il corpo di terra 
canticchiando Livin’ la vida loca. Si avvicinò al collega. – Saporelli. Andiamo. Presto. 
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Usciamo da ’sto posto – . Gli tese la mano. 
Il giovane scrittore lo guardò con due occhi a palla in cui le pupille erano ridotte a 
puntini e prese a spalmarsi la terra sotto le ascelle. – No grazie, frittatina… Credo che 
questo sia un posto magico. E credo pure che forse dovremmo cercare di volerci un po’ 
più di bene. È questo il problema di oggi. Ci siamo dimenticati che questo pianeta è la 
nostra casa e dovrà ospitare la nostra progenie per altre migliaia di anni. Cosa gli 
vogliamo lasciare? Un pugno di mosche? 
Ciba lo guardò affranto. La pillola gli era salita. Per fortuna, bene. – Hai ragione. 
Perché non andiamo fuori che me lo spieghi meglio? 
Saporelli lo abbracciò commosso. – Sei il migliore, Ciba. Verrei con te, ma non 
posso. In questo luogo erigerò un tempio a futura memoria, quando arriveranno gli alieni 
e vedranno gli antichi resti di questa civiltà malata. E ricordati che la terra non è di 
nessuno. Nessuno può permettersi di dire questo è mio, questo invece è tuo… La terra è 
degli uomini e basta. 
– D’accordo, Saporelli. Buona fortuna – . Ciba si fece spazio tra la folla. Tutti 
avevano smesso di chiacchierare e ascoltavano in silenzio quel rumore sempre più 
assordante. 
Ma dove cazzo è Larita? Forse non l’hanno portata qui. 
Uno sbuffo d’aria calda e umida, come quello che produce il passaggio della 
metropolitana, gli scompigliò i capelli. Fabrizio si girò e dall’ingresso di una galleria fu 
espulsa una nuvola nera e alata che si sparse per l’antro sotterraneo. 
Non ebbe il tempo di capire cosa fosse che uh pipistrello grosso come un guanto gli 
finì in faccia. Sentì il pelo lercio dell’animale sfiorargli le labbra. Urlando di ribrezzo, 
scacciò il chirottero e si abbassò, coprendosi con le braccia la testa. 
Come posseduti dalla taranta gli invitati strillavano e saltavano tra i ratti che gli 
schizzavano fra le gambe, agitando le braccia per allontanare i pipistrelli. 
Perché i topi fuggono? Perché abbandonano la nave che affonda. 
Fabrizio si accorse che i russi si stavano allontanando velocemente attraverso una 
galleria opposta a quella da cui proveniva il rombo. Gli uomini si erano caricati i 
bambini in braccio e anche il re e la regina erano stati presi sulle spalle da due ciccioni. 
Doveva seguirli. 
Mentre si faceva spazio a gomitate tra la gente, vide Larita. Era a terra e centinaia di 
roditori le scorrazzavano addosso. Il pavimento tremava sempre più forte. Dai cubicoli 
cascavano giù tibie, crani, costole. 
Fabrizio si fermò. – Lar… – Un vecchio senatore dell’Udc lo travolse urlando: – È la 
fine! – e una donna che stringeva in mano un femore, cercando di abbattere i pipistrelli, 
nella foga colpì sul setto nasale lo scrittore. Ciba si coprì il volto. – Ahhh… Porca troia 
bastarda! – Si girò verso la cantante. Era ancora li, a terra. Inerme. Sembrava svenuta. 
La caverna era scossa da sciami di vibrazioni e si faceva fatica a stare in piedi. 
Qui crolla tutto. 
Non poteva morire. Non così. 
167


Guardò Larita. Guardò la galleria. 
Scelse la galleria.

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