Un’orchestra di caraibici invasati suonava una merdosa salsa spaccatimpani.
Gli si parò davanti un tipo basso con la frangetta bionda e la canottiera. Portava legato
in vita una specie di cinturone da cowboy con dei bicchierini al posto delle pallottole. In
mano stringeva una bottiglia. – Come sei ridotto? Fatti una bella tequila bum bum. Ti fa
bene.
Fabrizio se la bevve in un sorso. L’alcol gli scaldò le budella gelate. – Ancora.
Il tipo gliene versò un’altra.
Anche questa la buttò giù in un colpo. – Ahhh!! Meglio. Un’altra!
– Sei sicuro?
Fabrizio fece segno di si. Poggiò sul bancone una banconota da cinquanta euro tutta
zuppa. – Versa e non rompere.
Il cameriere scosse la testa ma ubbidì.
Si cacciò nello stomaco il bicchierino con una smorfia di disgusto. Poi guardò il
ragazzo. – Senti, io sono Fabrizio Ciba e ho un… – Si bloccò. Negli occhi del nano
albergava il vuoto siderale. Non aveva la più lontana idea di chi fosse Fabrizio Ciba. Lo
guardava come si guardano i barboni alcolisti. – C’è un telefono dove posso chiamare?
– No. A piazza Venezia ci dovrebbe essere una cabina.
D’accordo,
si disse lo scrittore, doveva ricorrere al solito metodo che usava con gli
idioti come questo. – Senti, ti do altri cento euro se mi accompagni a via Mecenate. Non
è lontana, è sopra al Colosseo.
Il frangettato sollevò le spalle. – Magari! Ma qua tocca lavorare.
– Non puoi fare lo stronzo! Cazzo, non ti ho chiesto la luna!
Il cameriere versò un bicchierino e lo sbatté violentemente sul bancone. – Tieni,
questo te lo offro io, poi te ne vai però. Da bravo.
Fabrizio buttò giù la tequila con un sorso e si pulì la bocca con la manica. –
Se sei
nella merda nessuno ti dà una mano, eh? – Fece due passi indietro e finì
sui piedi di
qualcuno.
Una voce femminile si lamentò: – Che male! Questo idiota mi ha distrutto il ditone!
Cercò di guardarla in viso, ma aveva le luci del bancone dritte negli occhi. Sollevò
una mano per chiedere perdono, ma una voce maschile gli abbaiò contro: – Senti… Hai
rotto il cazzo. Guarda che le hai fatto!
– E che sarà mai? Non capisco… È una cozza… I molluschi non dovrebbero avere la
soglia del dolore più alta? – Chiuse gli occhi, si accorse che la musica si era fermata. –
Immagino che nessuno di lor signori… – Non ce la fece a continuare. Doveva sedersi.
Riapri gli occhi e il locale con tutti quei volti sfocati iniziò a girargli intorno. – Che
mondo orribile è il vostro… – biascicò e cercò di aggrapparsi al nanetto, ma crollò a
terra tra le gambe della gente.
– Buttatelo fuori! – E basta un po’! – Ogni volta è la solita storia da queste parti.
– Va bene… – Si sollevò, aiutato da qualcuno.
E senza rendersene conto si ritrovò all’aperto, sotto il diluvio. Il freddo e la pioggia
gli diedero una sferzata e si sentì un po’ più lucido. Si sarebbe
fatto quel chilometro e
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mezzo a piedi sotto l’acqua.
Arrivò a piazza Venezia ad occhi chiusi, con le gambe che gli tremavano. L’attraversò
senza curarsi delle automobili che inchiodavano suonandogli contro. Gli si parò davanti
via dei Fori imperiali. Sembrava infinita. Lontano, come un miraggio, riluceva il
Colosseo avvolto dall’acqua. La pioggia frustava i sampietrini, che brillavano sotto i fari
delle macchine.
Doveva solo camminare a testa bassa.
Devo vomitare, però.
Continuava a ripensare a quel bastardo di Gianni che lo aveva accoltellato alle spalle,
a quella puttana della sua agente che non lo aveva fatto salire, e a quelle merde nel bar.
Domani… mi cerco… un nuovo agente… e mando una bella email… alla Martinelli.
Il Colosseo si faceva più vicino. Sembrava un enorme panettone illuminato.
Fabrizio era sfinito, ma accelerò il passo utilizzando le ultime forze.
Me ne vado dalla Martinelli.
Sentì che gli mancava l’aria e un artiglio gelato gli squarciava il cuore.
Oddio…
Alzò gli occhi al cielo, allungò una mano come per sostenersi a qualcosa, inciampò e
il marciapiede si piegò e gli venne incontro colpendolo su uno zigomo.
Si rese conto che era steso a terra e stava perdendo i sensi.
La fitta di dolore si era
allungata fin dentro il braccio sinistro. Vomitò una roba acida e alcolica che si stemperò
in una pozzanghera.
Infarto.
La testa gli si era trasformata in una palla infuocata. Nelle orecchie aveva un reattore.
Il Colosseo,
la strada, le luci, la pioggia gli vorticavano intorno fondendosi in spire
luminose.
Provò ad alzarsi, ma le gambe non lo sostennero. Ricadde a terra. Allora cominciò a
trascinarsi a forza di braccia verso la strada, mentre le macchine gli passavano accanto
senza neanche rallentare. Alzò una mano e sussurrò: –Aiuto! Aiuto! Vi prego…
Aiutatemi!
Fabrizio Ciba, lo scrittore del
best seller internazionale La fossa dei leoni, il
conduttore
del programma culturale Delitto & Castigo, il terzo uomo più sexy d’Italia
secondo il settimanale «Yes», capi che nessuno si sarebbe fermato e che sarebbe morto
nel suo vomito di fronte ai Fori imperiali. Vide la foto del suo corpo sciolto a terra. Sullo
sfondo le rovine romane.
Sarà su tutti i giornali. Che scriveranno? Come Janis Joplin.
Il braccio gli ricadde mollemente a terra. Rimase così chiedendosi perché, perché
proprio a lui era toccato questo.
Non ho fatto niente di male.
Tutto si sfocava. C’erano solo puntini viola.
Poggiò la testa a terra e chiuse gli occhi.
Do'stlaringiz bilan baham: