Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

 
 
 
48


19. 
Che donna! Che leonessa! 
Saverio Moneta aveva sempre saputo che sua moglie aveva i coglioni, ma non 
credeva fino a quel punto. Era pronta a battersi anche a rischio della vita. Proprio per 
quello aveva deciso di sposarla. Suo padre e sua madre e tutti i parenti (anche quelli di 
Benevento, che l’avevano vista una volta sola) lo avevano avvertito che non era il tipo 
giusto per lui. Era viziata, lo avrebbe messo sotto, calpestato, ridotto al rango di un 
cameriere filippino. Ma lui non era stato a sentire nessuno e l’aveva sposata. 
Allungò la spada e gliela puntò sulla gola. – E quindi non hai paura? 
– No! Mi fai schifo! – Serena gli sputò addosso. 
Saverio si pulì la guancia sorridendo. – Ah, così ti faccio schifo – . Infilò la punta 
della Durlindana nell’asola della camicetta da notte e con un colpo di polso fece saltare 
il primo bottone. 
Serena era tutta contratta, con gli artigli smaltati di rosso pronti a graffiarlo. 
– Adesso ti ammazzo – . Saverio le fece saltare il secondo bottone della camicia da 
notte. Le tette, grosse come due meloni, con i piccoli capezzoli scuri intirizziti dalla 
paura, apparvero nel loro sintetico splendore. 
– Che fai? Schifoso! Non ti permettere, – sibilò Serena con gli occhi ridotti a due 
fessure buie. 
Saverio le mise la lama sotto la gola e l’appiccicò contro la testiera del letto. – Zitta! 
Devi stare zitta! Non ti voglio sentire. 
– Sei un pezzente. 
Lui l’afferrò per i capelli e le spinse la testa contro il cuscino. Gettò via la spada e con 
la destra le strinse il collo come si farebbe con una serpe velenosa, poi le si buttò sopra 
con tutto il peso. – E adesso che fai? Che fai? Non ti puoi più muovere. Non puoi urlare. 
Hai paura, vero? Dillo che hai paura. 
Serena non mollava. – Io non ho paura di nessuno. 
Saverio si accorse di avere una violenta erezione e di desiderarla da impazzire. – 
Adesso ti faccio vedere… – Le strappò le mutande e le diede un morso su una chiappa. – 
Ti faccio vedere io chi comanda qui. 
Un urlo soffocato uscì dal cuscino. – Se ci provi, ti giuro sui nostri figli che ti 
ammazzo. 
– Ammazzami! Ammazzami pure. Tanto non me ne importa niente di questa vita di 
merda – . Le divaricò le gambe e le infilò una mano tra le cosce. Si fece spazio e la 
penetrò di colpo. Il cazzo le affondò dentro fino alle viscere bollenti. 
Lei, come una gatta impazzita, si liberò un braccio e con una zampata gli graffiò 
quattro strisce sanguinolente sul costato. – Mi stai violentando, maiale. Io ti odio… Tu 
non sai quanto ti odio… 
Saverio, esaltato dal dolore, continuava a pompare disperatamente. Gli girava la testa 
mentre il sangue gli turbinava nei timpani. 
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Serena era riuscita a tirare su la faccia dal cuscino e mugugnava. – Smettila! Mi fai 
schifo… Mi fai… – Non riuscì a continuare perché cominciò a inarcare la schiena 
offrendosi di più. 
Saverio si rese conto che ce l’aveva fatta. La troia stava godendo. Quella era la sua 
giornata! Ora però c’era un problema. A quel ritmo forsennato non avrebbe retto a 
lungo. Sentiva l’orgasmo che gli attraversava i tendini delle gambe, gli azzannava i 
muscoli delle cosce e incurante della sua volontà puntava dritto verso il buco del culo e i 
coglioni. Pensò a Sting. A quel gran figlio di mignotta di Sting che poteva scopare anche 
quattro ore senza svenire. Come faceva? Si ricordò che in un’intervista l’artista inglese 
aveva spiegato di avere imparato la tecnica dai monaci tibetani… Qualcosa del genere. 
Comunque era tutto un problema di respirazione. 
Saverio, reggendosi con una mano su una scapola di sua moglie e con l’altra contro il 
muro, cominciò a inspirare ed espirare come un gonfiatore per canotti, cercando di 
rallentare un pochino il ritmo. 
Serena, sotto di lui, si contorceva come la coda mozza di una lucertola. 
L’afferrò di nuovo per i capelli e le strinse una tetta. – Ti piace. Dillo! 
– No. No. Non mi piace. Mi fa schifo – . Eppure non sembrava che le facesse così 
schifo. – Bastardo. Sei un lurido bastardo – . Mollò una manata sul materasso e colpì la 
radiosveglia, che si destò dal torpore e cominciò a cantare She’s Always a Woman di 
Billy Joel. 
Altro segno inequivocabile che Satana era dalla sua parte. Saverio diceva ai suoi 
discepoli di amare i Sepultura e i Metallica, ma in segreto adorava il vecchio Billy Joel. 
Nessuno scriveva canzoni così romantiche. 
Strinse i denti e con rinnovato vigore riprese a martellarla. – Ti sfondo… Giuro che ti 
sfondo. Beccati pure questo, troia – . E le infilò un dito in culo. 
Serena si irrigidì tutta, stirò gambe e braccia e sollevò la testa, lo guardò con una 
smorfia di dolore e poi si arrese sospirando con un filo di voce: – Vengo… Vengo, 
vaffanculo. Vaffanculo, maledetto. 
Saverio finalmente si lasciò andare, rilassò le cosce e venne a bocca aperta. Stravolto 
dalla fatica, tutto sudato, si accasciò sul collo di Serena, infilò la bocca fra i suoi capelli 
e sospirò: – Ora dimmi che mi ami! 
– Sì. Ti amo. Ma adesso fammi dormire.

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