Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

 
 
9. 
Mentre seguiva il cameriere verso la Villa Reale, Fabrizio Ciba imprecava tra sé. Non 
aveva tempo da perdere, aveva un aereo da prendere e dover parlare con Sasà Chiatti lo 
innervosiva. Assurdo, era stato al cospetto di Sarwar Sawhney, un premio Nobel, senza 
provare particolari emozioni e ora che doveva incontrare un tipo insignificante come 
Chiatti gli batteva il cuore? La verità era che gli uomini ricchi e di potere lo rendevano 
insicuro. 
Entrò nella villa e rimase stupito. Tutto si aspettava tranne che la residenza fosse 
arredata in stile minimalista. Il grande salone era una semplice spianata di cemento. In 
un camino di pietra grezza bruciava un grosso ciocco di legno. Vicino, quattro poltrone 
degli anni Settanta e un tavolo in acciaio lungo una decina di metri su cui pendeva un 
lampadario antico. Due esili sculture di Giacometti. In un altro angolo, come se fossero 
state dimenticate li, quattro uova di Fontana e sui muri intonacati a calce dei cretti di 
Burri. 
– Di qua… – Il cameriere gli indicò un lungo corridoio. Lo fece entrare in una cucina 
coperta di maioliche marocchine. Da uno stereo Bang & Olufsen uscivano le note 
romantiche di Lezioni di piano di Michael Nyman.
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Un donnone tarchiato, con un casco di capelli color mogano, spiattellava sui fuochi. 
Al centro della stanza, intorno a un tavolo di legno rustico, erano seduti Salvatore 
Chiatti, una silfide albina, un vecchio decrepito con addosso una tenuta coloniale tarlata, 
un monaco e la cantante Larita. 
Stavano mangiando quelli che avevano tutta l’aria di essere rigatoni all’amatriciana 
con parecchio pecorino grattato sopra. 
Fabrizio ebbe la presenza di spirito di dire: – Salve a tutti. 
Chiatti indossava una giacca di velluto beige con le toppe sui gomiti, una camicia di 
flanella scozzese e un fazzoletto rosso legato intorno a quel poco di collo che la natura 
gli aveva concesso. Si pulì la bocca e allargò le braccia come se lo conoscesse da cento 
anni. – Ecco il grande scrittore! Che piacere averla qui. Si sieda con noi. Stiamo 
mangiando alla buona. Spero che non abbia mangiato al buffet. Quella roba noi la 
lasciamo ai nostri ospiti vip, vero mammà? – Si girò verso la chiattona ai fornelli. La 
donna, impacciata, si pulì le mani sul grembiule e accennò un saluto con la testa. – Noi 
siamo persone semplici. E mangiamo la pastasciutta. Prenda una sedia. Che aspetta? 
Di primo impatto a Fabrizio parve che Chiatti fosse una persona affabile, con un gran 
sorriso gioviale, ma si percepiva che i suoi erano ordini e che non amava essere 
disubbidito. 
Lo scrittore prese una sedia accostata al muro e sedette in un angolino tra il vecchio e 
il monaco, che gli fecero spazio. 
– Mammà, fai un piatto come Dio comanda al signor Ciba, che mi sembra un po’ 
sbattuto. 
In un istante Fabrizio si ritrovò davanti una porzione gigantesca di rigatoni fumanti. 
Chiatti afferrò un fiasco di vino e gli riempi il bicchiere. – Togliamoci di mezzo le 
presentazioni. Lui… – indicò il vecchio rinsecchito. – … è il grande cacciatore bianco 
Corman Sullivan. Lo sa che quest’uomo ha conosciuto lo scrittore… Come si chiama? 
– Hemingway… – disse Sullivan e prese a tossire e a scuotersi tutto. Dal vestito 
uscivano nuvole di polvere. Quando si riprese strinse senza forza la mano di Fabrizio. 
Aveva le dita lunghe, coperte di macchie depigmentate. 
A Ciba il cacciatore bianco ricordava qualcuno. Ma certo! Era tale e quale a Ötzi, 
l’uomo del Similaun, il cacciatore che avevano trovato congelato in un ghiacciaio delle 
Alpi. 
Chiatti indicò la silfide. – Lei è la mia fidanzata Ecaterina – . La ragazza abbassò la 
testa in segno di saluto. Somigliava alla Regina delle nevi di una saga nordica. Era così 
bianca che sembrava morta da tre giorni. Attraverso la carne si intravedeva il sangue 
scorrerle scuro nelle vene. I capelli, rossi come fuoco, formavano una criniera intorno al 
volto piatto. Non aveva sopracciglia e il collo era sottile come quello di un levriero. 
Doveva pesare una ventina di chili. 
Fabrizio sentendo il nome ricordò. Era la famosa modella albina Ecaterina 
Danielsson. Una che un mese si e un mese no era sulle copertine delle riviste di moda di 
tutto il mondo. Era in assoluto l’essere morfologicamente più distante da Chiatti che la 
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natura avesse creato. 
– E questo qui… – indicando il monaco. – Dovrebbe conoscerlo. È Zóltan Patrovi
č

Certo che Fabrizio lo conosceva. Chi non conosceva l’imprevedibile chef bulgaro, 
proprietario del ristorante Le regioni? Ma da vicino non l’aveva mai visto. 
Questo invece chi gli ricordava? Ecco, Mefisto, il nemico giurato di Tex Willer. 
Fabrizio dovette abbassare lo sguardo. Gli occhi del cuoco sembravano penetrargli 
dentro e intrufolarsi tra i pensieri. 
– E per finire, la nostra Larita, che stanotte ci farà il grande onore di cantare per noi. 
Finalmente Ciba si trovava di fronte a un essere umano. 
Carina, si disse stringendole la mano. 
Chiatti indicò Ciba: – E lui sapete chi è? 
Fabrizio stava per dire che non era nessuno, quando Larita sorrise mostrando gli 
incisivi leggermente distanti e disse: — È il più grande di tutti. Ha scritto La fossa dei 

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