Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

Ho esagerato con la poesia. A Larita ha fatto cagare sicuramente. Ti amerò come il 
pesce pagliaccio ama l’anemone. I ciechi… I sordi… Che orrore! 
E poi, a dirla tutta, quella poesia non era proprio originale. Aveva rielaborato a modo 
suo,di schifo, una poesia del poeta libanese Kahlil Gibran che si era imparato a memoria 
a sedici anni, durante una settimana bianca, per conquistare una barista di Bormio. Ho 
rovinato tutto. 
L’aveva vista che applaudiva, ma si sa, un applauso non si lesina a nessuno. 
E domani quel bastardo di Tremagli scriverà sul «Messaggero» che ho plagiato Gibran. 
Faranno i confronti tra la mia poesia e quella vera. 
Doveva bere qualcosa e cercare di calmarsi prima di tornare da Larita. Andò al 
carretto dei superalcolici e si fece versare un doppio Jim Beam. 
Sasà Chiatti, sul palco, si faceva grande raccontando i capitali che aveva speso per 
rimettere a posto la Villa. La folla lo applaudiva con regolarità ogni due minuti. 
– Fabrizio… Fabrizio… 
Si girò, sicuro che fosse Larita, e invece si trovò davanti Cristina Lotto. 
Cristina Lotto aveva trentasei anni ed era la moglie di Ettore Gelati, proprietario di un 
consorzio di acque minerali e di diverse case farmaceutiche sparse per il globo. Avevano 
due figli adolescenti, Samuel e Ifigenia, che frequentavano un collegio in Svizzera. 
Cristina conduceva un programma di bricolage su una rete satellitare. Insegnava a 
comporre originali centrotavola con i bastoni raccolti sulla spiaggia, e colorati 
copriwater all’uncinetto. 
Era una biondina ossuta, con due gambe lunghe e snelle, un culo tosto e un paio di 
piccole tette a palloncino macchiate di efelidi. Aveva la faccina da ragazza di buona 
famiglia, educata dalle suore. Gli zigomi alti e lentigginosi e due occhi azzurri 
incorniciati da capelli dorati e liscissimi. Una bocca con poche labbra e il mento puntuto. 
Cristina era, senza dubbio, una bella donna, con un fisico atletico. Sempre vestita con 
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gonne, golfini di angora e fili di perle, aveva una vocina lamentosa che non trasmetteva 
alcuna sensualità. Era arrapante come una foglia di lattuga scondita. Ciò non aveva 
impedito a Ciba di farsela un paio di volte al mese negli ultimi due anni. Le ragioni? 
Erano abbastanza oscure anche a lui. Sicuramente c’entrava il fatto che era la moglie di 
un uomo che si sentiva il padrone dell’universo. L’idea infantile che, mentre 
l’imprenditore si faceva un culo come un paiolo per diventare l’uomo più ricco d’Italia, 
lui gli trombava la moglie, a Fabrizio risultava eccitante e spassosa nello stesso tempo. 
Godeva quando Cristina, dopo l’amplesso, gli poggiava la testa sul torace e gli 
raccontava che razza di pallone gonfiato era il signor Gelati, con la sua passione per il 
volo in aliante e le sue pretese di nobiltà. O quando Cristina si dilungava, con una certa 
ironia, sulle frustrazioni di un’esistenza all’ombra di un uomo egotico e insensibile. 
Fabrizio si faceva raccontare per filo e per segno tutti i fatti più meschini che alla fine 
trasformavano questo padrone dell’universo in un povero miserabile. 
C’era un’altra cosa da non sottovalutare. Fabrizio viveva nella sua casa a via 
Mecenate in un totale degrado e si alimentava esclusivamente nei ristoranti. I Gelati 
invece possedevano un attico di cinquecento metri quadri sopra piazza Navona, con un 
bagno di marmo bianco che sembrava l’Ara Pacis e un frigo grande come un forziere 
colmo di ostriche freschissime, prosciutto Serrano e specialità provenienti da tutte le 
parti del mondo. Cristina era sempre sola e Fabrizio quando voleva rilassarsi andava da 
lei. Si immergeva nella piscina riscaldata, guardava le partite nella saletta cinema e si 
faceva preparare delle cenette sfiziose.
– Cristina? – fece Ciba sorpreso. Non era mai successo che lei gli parlasse in 
pubblico. Lo evitava accuratamente, terrorizzata che qualcuno li potesse notare insieme. 
L’ira del padrone dell’universo, se avesse scoperto la loro relazione, poteva essere 
furiosa e distruttiva come quella di un dio babilonese. 
Cristina, per l’occasione, indossava un tubino nero con una scollatura sulla schiena 
che le arrivava alle chiappe e un cappello con la veletta. Era sconvolta. – Fabrizio! Ti 
devo parlare… 
Allo scrittore sali una nausea terribile. – Che succede? 
– Una cosa gravissima…

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