Un donnone tarchiato, con un casco di capelli color mogano, spiattellava sui fuochi.
Al centro della stanza, intorno
a un tavolo di legno rustico, erano seduti Salvatore
Chiatti, una silfide albina, un vecchio decrepito con addosso una tenuta coloniale tarlata,
un monaco e la cantante Larita.
Stavano mangiando quelli che avevano tutta l’aria di essere rigatoni all’amatriciana
con parecchio pecorino grattato sopra.
Fabrizio ebbe la presenza di spirito di dire: – Salve a tutti.
Chiatti indossava una giacca di velluto beige con le toppe sui gomiti,
una camicia di
flanella scozzese e un fazzoletto rosso legato intorno a quel poco di collo che la natura
gli aveva concesso. Si pulì la bocca e allargò le braccia come se lo conoscesse da cento
anni. – Ecco il grande scrittore! Che piacere averla qui. Si sieda con noi. Stiamo
mangiando alla buona. Spero che non abbia mangiato al buffet. Quella roba noi la
lasciamo
ai nostri ospiti vip, vero mammà? – Si girò verso la chiattona ai fornelli. La
donna, impacciata, si pulì le mani sul grembiule e accennò un saluto con la testa. – Noi
siamo persone semplici. E mangiamo la pastasciutta. Prenda una sedia. Che aspetta?
Di primo impatto a Fabrizio parve che Chiatti fosse una persona affabile, con un gran
sorriso gioviale, ma si percepiva che i suoi erano ordini e che non amava essere
disubbidito.
Lo scrittore prese una sedia accostata al muro e sedette in un angolino tra il vecchio e
il monaco, che gli fecero spazio.
– Mammà, fai un piatto come
Dio comanda al signor Ciba, che mi sembra un po’
sbattuto.
In un istante Fabrizio si ritrovò davanti una porzione gigantesca di rigatoni fumanti.
Chiatti afferrò un fiasco di vino e gli riempi il bicchiere. – Togliamoci di mezzo le
presentazioni. Lui… – indicò il vecchio rinsecchito. – … è il grande cacciatore bianco
Corman Sullivan. Lo sa che quest’uomo ha conosciuto lo scrittore… Come si chiama?
– Hemingway… – disse Sullivan e prese a tossire e a scuotersi tutto. Dal vestito
uscivano nuvole di polvere. Quando si riprese strinse senza forza la mano di Fabrizio.
Aveva le dita lunghe, coperte di macchie depigmentate.
A Ciba il cacciatore bianco ricordava qualcuno. Ma certo! Era tale e quale a Ötzi,
l’uomo del Similaun, il cacciatore che avevano trovato congelato in un ghiacciaio delle
Alpi.
Chiatti indicò la silfide. – Lei è la mia fidanzata Ecaterina – . La ragazza abbassò la
testa in segno di saluto. Somigliava alla Regina delle nevi di una saga nordica. Era così
bianca che sembrava morta da tre giorni. Attraverso la carne si intravedeva il sangue
scorrerle scuro nelle vene. I capelli, rossi come fuoco, formavano una criniera intorno al
volto piatto. Non aveva sopracciglia e il collo era sottile come quello di un levriero.
Doveva pesare una ventina di chili.
Fabrizio sentendo il nome ricordò. Era la famosa
modella albina Ecaterina
Danielsson. Una che un mese si e un mese no era sulle copertine delle riviste di moda di
tutto il mondo. Era in assoluto l’essere morfologicamente più distante da Chiatti che la
91
natura avesse creato.
– E questo qui… – indicando il monaco. – Dovrebbe conoscerlo. È Zóltan Patrovi
č
!
Certo che Fabrizio lo conosceva. Chi non conosceva l’imprevedibile chef bulgaro,
proprietario del ristorante
Le regioni? Ma da vicino non l’aveva mai visto.
Questo invece chi gli ricordava? Ecco, Mefisto, il nemico giurato di Tex Willer.
Fabrizio dovette abbassare lo sguardo. Gli occhi del cuoco sembravano penetrargli
dentro e intrufolarsi tra i pensieri.
– E per finire, la nostra Larita, che stanotte ci farà il grande onore di cantare per noi.
Finalmente Ciba si trovava di fronte a un essere umano.
Carina, si disse stringendole la mano.
Chiatti indicò Ciba: – E lui sapete chi è?
Fabrizio stava
per dire che non era nessuno, quando Larita sorrise mostrando gli
incisivi leggermente distanti e disse: — È il più grande di tutti. Ha scritto
La fossa dei
Do'stlaringiz bilan baham: