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Parte II La festa
Sono un grande falso mentre fingo l’allegria.
TIZIANO FERRO, Alla mia età.
Durante i pranzi all’aperto, tra i romani si discute spesso su quale sia il più bel parco
della città. Alla fine, inevitabilmente, si contendono il podio Villa Doria Pamphili, Villa
Borghese e Villa Ada.
Villa Doria Pamphili, dietro il quartiere di Monteverde, è la più estesa e scenografica;
Villa Borghese, proprio al centro della città, è la più famosa (chi non conosce il piazzale
del Pincio da cui si gode una vista indimenticabile del centro dì Roma e di piazza del
Popolo?); Villa Ada, di tutte e tre, è la più antica e selvaggia.
A modesto parere dell’autore di questa storia, Villa Ada batte tutte le altre. È molto
grande, circa centosettanta ettari dì boschi, prati e roveti compressi tra via Salaria, il
viadotto dell’ Olimpica e il centro sportivo dell’Acqua Acetosa. Al suo interno vivono
tuttora scoiattoli, talpe, ricci, conigli selvatici, istrici, faine e una ricca comunità di
uccelli. Deve essere il totale abbandono e l’incuria in cui versa il parco, ma la
sensazione appena ci si addentra nei suoi boschi è di essere in una foresta. La città e i
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suoi rumori scompaiono e ci si ritrova tra pini centenari, boschetti di allori, stradine
fangose che si snodano tra cespugli di more impenetrabili e tronchi abbattuti, campi di
ortica e grandi prati ricoperti di erbacce. Tra le frasche si intravedono vecchie
costruzioni abbandonate ricoperte di edera, fontane smantellate dai fichi selvatici e
bunker che chissà a cosa servivano. Se non la si conosce bene è meglio non avventurarsi
da solo nel bosco, c’è il rischio di smarrirsi per giorni. Il sottosuolo della Villa è
attraversato dalle catacombe di Priscilla dove i primi cristiani seppellivano i loro morti.
Nella parte nord, oltre un grande lago artificiale, sorge una collina alberata
chiamata Porte Antenne perché alla fine del diciannovesimo secolo l’esercito italiano vi
costruì delle fortificazioni per difendere Poma dagli attacchi francesi. Quando Poma
ancora non esisteva, in quel luogo già sorgeva l’antica città di Antemnae. Il nome,
secondo lo storico romano Varrone, deriva da ante amnem (davanti al fiume), perché lì
l’Aniene confluisce nel Pevere. Da quella posizione la città dominava il traffico fluviale
verso il guado dell’isola Tiberina. Romolo nel753a.C. la espugnò e i suoi abitanti
furono accolti come cittadini romani e nelle loro terre furono mandati coloni. Dal terzo
secolo a.C. la città decadde e fu abbandonata. Le alture di Antemnae, nei secoli della
decadenza romana, ospitarono i Goti di Alarico che, venendo dal Nord, si preparavano
a conquistare Roma. Per secoli e secoli non abbiamo più notizie e dobbiamo aspettare il
diciassettesimo secolo per averne di nuovo. Roma era ancora lontana e li era aperta
campagna. La zona era diventata la tenuta agricola del Collegio Irlandese. Poi nel
1783la terra fu acquistata dal principe Pallavicini, che vi costruì una villa. La proprietà
passò alla metà dell’Ottocento ai principi Potenziani e fu venduta nel 1872alla famiglia
reale, che ne fece la sua residenza romana. Vittorio Emanuele II, che amava l’arte
venatoria, acquistò altri terreni confinanti per fame la sua tenuta di caccia.
Alla sua morte gli successe Umberto I, che preferì spostarsi con tutta la corte al
Quirinale. La Villa fu comprata per cinquecentotrentunomila lire dal conte svizzero
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