Un breve sguardo sul futuro
Oggi, ovviamente, le politiche per le imprese sono soprattutto sugli ammortizzatori sociali e sul credito, quindi di emergenza.
C’è bisogno di politiche di rilancio, quindi innovazione, ricerca, internazionalizzazione, tutte scelte che hanno un ritorno nel medio lungo periodo.
La crisi degli ultimi due anni ha avuto un impatto dirompente sulle nostre aziende, che adesso si trovano con un eccesso di capacità produttiva che, ad oggi, non si sa ben prevedere come potrà essere reinvestita.
Di certo sarà difficile capire quale sarà il futuro del sistema produttivo tra qualche anno, anche se non credo che l’Italia possa diventare solo la Florida d’Europa, perché la struttura economica portante è basata su un’industria manifatturiera di qualità.
Un’idea sul progetto de “I Gonzaga del Po”
A mio avviso “I Gonzaga del Po” possono diventare una sorta di area metropolitana senza metropoli, che inizia a pensarsi insieme e in cui portare valore aggiunto.
Anche perché un progetto del genere può essere utile per far massa critica e, in tal modo, riuscire a spingere sui veri bisogno di un territorio.
2.3. ANTONIO BECCARI – presidente dell’associazione “Itinerari Gonzagheschi” ed ex sindaco di Sabbioneta
Per un territorio come “I Gonzaga del Po” Il problema difficile è far appassionare a queste problematiche gli amministratori locali, che guardano al loro orticello e agli ambiti amministrativi.
Qui cerchiamo di andare al cuore del territorio, in un tessuto molto ampio che non s’identifica in un ente autonomo di tipo tradizionale.
Con alcuni comuni si era pensato originalmente, mettendo insieme la storia e le produzioni, di dare slancio a un territorio che non è formalizzato, non ha una governance e deve mettersi in piedi, ma che c’è ed è implicito.
Oggi siamo in un momento di riflusso e c’è poca spinta in questo senso.
Con “Itinerari Gonzagheschi” eravamo riusciti a far sganciare da parte di ogni comune una quota da mettere in condivisione ma oggi si soffre molto e i comuni non credono nei discorsi territoriali, partecipando in maniera molto scarsa.
Sfortunatamente queste logiche non hanno ancora fatto in tempo a consolidarsi e sono soggette alla sensibilità degli amministratori, quindi c’è molta aleatorietà.
Sarebbe importante trovare il coinvolgimento delle attività produttive perché sul solo piano politico si fa fatica ad andare avanti, sperando in un incontro tra politica ed economia affinchè si possano iniziare a fare nuovi pensieri di governance.
Di certo, perché questo avvenga bisogna legarsi ad obiettivi specifici.
Legare i prodotti locali e la cultura creando un marchio con cui presentarsi all’estero può essere una carta vincente per portare in giro le proprie merci.
Bisogna quindi sfruttare la carta dei Gonzaga, riconosciuta dall’UNESCO, per vendere insieme la grande qualità delle produzioni industriali, di tutto il sistema agroalimentare, dei prodotti tipici e il grande pregio dei beni culturali, realizzando così un qualcosa di davvero importante.
La politica da sola non riuscirebbe a sopportare questo a meno chè non ci siano obblighi governativi ad andare verso certe direzioni, per questo c’è bisogno di fare rete con il tessuto economico.
Il discorso finale è quello di dare una veste giuridica al territorio, ma viene a valle di un incontro di necessità economiche, civili e artistiche, che costituiscono una realtà viva sulla quale mettere alla fine un cappello.
I confini, che hanno sempre meno significato, si cambiano non tanto fisicamente ma bypassandoli, presentandosi come realtà esistente che si mette agli occhi del mondo per quello che è.
Si fa fatica a far percepire questo bisogno oggi giorno e c’è bisogno di un fatto nuovo: in un convegno spesso si dicono grandi parole a vuoto, c’è l’esigenza, invece, di mettere assieme degli interessi economici importanti, magari legando a grandi eventi culturali grandi eventi economici.
Questo territorio sarebbe capace di ospitare grandissimi eventi, che darebbero impulso non solo al turismo, ma farebbero incontrare interessi economici e qui abbiamo entrambi gli aspetti che servono per fare ciò: una grande tradizione artistico culturale e un grande tessuto imprenditoriale.
2.4. CRISTINA BIANCHI – funzionario assessorato alla mobilità per la navigazione interna della Regione Emilia Romagna
La gestione del Po
Il fiume, teoricamente, sarebbe gestito insieme dalle quattro regioni confinanti, nei fatti questa cosa negli ultimi anni s’è un po’ persa poiché ogni Regione guarda più alle sue problematiche e solo alla fine cerca di metterle in condivisione.
Nel 2003 s’è creato l’AIPO, Agenzia Interregionale per il fiume Po, in cui anche le ARNI regionali sono confluite negli ultimi anni, quella lombarda nel 2006 e quella emiliana nel 2009.
Il progetto di regimentazione
Fin dagli anni ’80 si parla di bacinizzazione del Po ma nei fatti s’è solo operato in termini di sistemazione a corrente libera dell’alveo.
La Lombardia ha iniziato questa propaganda sulla bacinizzazione dallo scorso anno, affidando uno studio a consulenti esterni e arrivando a uno studio di pre fattibilità.
Ovviamente di questa idea s’è parlato in un tavolo comune tra le due regioni, dove da parte nostra sorgono dei dubbi in merito alle questioni di sicurezza degli argini e sul riflesso che si avrebbe sui consorzi di bonifica.
Emilia Romagna sta alla finestra perchè ci sono ancora aspetti oscuri ed è un’opera molto ingente, della quale sarebbero da valutare in modo approfondito i costi e i benefici.
Di certo, se si decidesse di farla, non ci si potrebbe fermare al tratto tra Cremona e Foce Mincio, ma si deve arrivare fino a valle di Ferrara, altrimenti tutta questa parte, che è la più critica per la navigazione, verrebbe completamente abbandonata,
Ci sono quindi due condizioni per Emilia Romagna: aumentare gli studi e le verifiche degli impatti sul territorio e l’inserimento di altre due traverse per arrivare a un sistema di navigazione certa.
Il Po non è un fiume naturale allo stato puro, anzi, è altamente antropizzato e ci sono molti interessi economici in golena, quindi è un po’ strumentale la critica delle associazioni ambientaliste.
Dico questo anche perché nello studio fatto si sostiene che, alzando i livelli delle acque, ci sarebbe una creazione di nuove zone umide, con un ritorno di naturalità.
Il grosso innalzamento si ha in prossimità delle traverse ed è di circa 5 metri che poi sfumano nel giro di pochi chilometri, non risultando così devastante sull’attuale assetto.
Le preoccupazioni maggiori sono legate, piuttosto, ai consorzi perché, con i nuovi livelli più alti, ci potrebbero essere problemi per lo smaltimento delle acque meteoriche, l’aumento delle falde sul lato emiliano con conseguenti problemi al drenaggio delle acque e, soprattutto, per la sicurezza degli argini che non sono pensati per avere un livello così alto.
C’è scetticismo anche su tutta la parte finanziaria: la Lombardia dice che tutta l’opera verrebbe ammortizzata da un project financing che si ripagherebbe con la produzione di energia elettrica, ma non si tengono conto dei costi che si ripercuoterebbero su tutto il sistema delle bonifiche, in quanto la stima fatta ad oggi è molto sottovalutata.
Almeno in linea teorica, non ci sarebbe bisogno di alcun finanziamento pubblico, anche se poi s’è vociferato che in finanziaria avrebbero messo 500 milioni per questo intervento, contraddicendo la linea iniziale.
Sulla bacinizzazione siamo ad oggi in un momento di stallo per un cambio delle giunte. Dall’inizio dell’anno Lombardia vuole proporre un protocollo di collaborazione tra le varie regioni per approfondire gli aspetti tecnici dell’intervento, ma questo non è ancora sottoscritto dall’Emilia Romagna.
Di certo in un’opera così importante una sola Regione non può andare avanti da sola, perché l’interesse è inevitabilmente nazionale.
Nel frattempo le regioni si stanno portando avanti per realizzare l’intervento più soft, ovvero quello della sistemazione dei pennelli per la navigazione a corrente libera, garantendo almeno 250 giorni di navigazione l’anno, e in questo c’è pieno accordo e armonia tra tutti gli enti.
Il Po come via dei commerci
È ovvio che se dal punto di vista trasportistico si riuscisse a dare una certezza dei fondali anche gli operatori potrebbero pensarci in maniera diversa al trasporto via fiume.
Per far decollare il trasporto fluviale non bastano le infrastrutture ma ci vogliono degli incentivi, o diminuendo l’iva e le accise sui carburanti, o, come fa la provincia di Mantova, dando una quota per ogni tonnellata trasportata in tal modo.
È innegabile che la banchina di Boretto adesso sia sottoutilizzata, per questo stiamo cercando di pensare a nuove politiche per i nostri porti, convincendo le province e gli enti più vicini ad avere in carico la governance del porto.
Ovviamente, non tutte le merci possono andare via fiume, ma dietro la realizzazione del porto di Boretto c’era tutto un discorso legato alla Zona ceramiche, alla Barilla, e alle aziende locali, per trasportare materie relativamente povere.
Inoltre il porto di Boretto prevedeva un polo logistico dietro la banchina, connesso alla rete ferroviaria e dotato di scalo merci e l’area è pensata apposta per ospitare tali cose.
Per far partire questo modo di trasporto ci vogliono servizi e aiuti alle imprese, anche perché finché c’è poca richiesta i costi rimarranno alti e non saranno concorrenziali al trasporto su gomma, che a dire il vero non si paga mai interamente.
Di certo non solo il trasporto merci, ma anche il turismo troverebbe più slancio, poiché anche le crociere e i battelli potrebbero viaggiare con più tranquillità.
Quanto però la bacinizzazione possa far partire in modo serio la navigazione non si può dire; inoltre la Lombardia non mette al primo posto la navigazione, bensì la produzione di energia.
2.5. GIULIANA CHIODINI - funzionario assessorato alla mobilità per la logistica della Regione Emilia Romagna
Le nostre strategie
C’era in progetto di fare un grande polo logistico fuori dall’Emilia Romagna, tra Gonzaga e Suzzara, a cui la provincia di Reggio e le imprese locali ci hanno chiesto di partecipare cofinanziando l’opera.
Per noi non è però possibile perché come Emilia Romagna non intendiamo finanziare cose che avvengono in Lombardia e, inoltre, la nostra strategia è quella di creare uno scalo merci a Marzaglia, vicino a Modena, preferendo come asse di sviluppo quello della Via Emilia.
Non è nostro interesse quindi, far andare le merci che devono cambiare modalità dal camion al treno da sud verso il Po, ma viceversa.
Inoltre, le richieste di traffico merci ferroviario non sono nell’area della Bassa Padana, checché le imprese locali ci chiedono maggiori servizi di tal genere, i nostri dati ci confermano il contrario.
La pianificazione in funzione della logistica
Per fare poli logistici bisogna che ci sia massa critica e non dispersione delle imprese, facendo sì che prevalga una logica aggregativa per le future espansioni industriali.
Abbiamo fatto da poco una legge d’incentivo al trasporto merci ferroviario e su questa misura siamo in pieno accordo con la Lombardia, con cui ci differenziamo per le politiche insediative, che avranno razionalità diverse.
Sfortunatamente manca molto una pianificazione delle aree industriali e i PTCP aumentano molto questa dispersione.
Per cercare di dare maggior logica, sull’attuale legge 6 s’è fatta una modifica agli standard urbanistici per le aree industriali: se un’area industriale sorge limitrofa a uno scalo merci e le imprese fanno traffico merci, gli standard per le imprese passano dal 15% al 10%, sperando in una localizzazione più razionale.
Inoltre c’è una richiesta continua di poli logistici da parte di ogni comune, credendo che porti occupazione: ma così facendo si rischia di creare infrastrutture vuote e di devastare conseguentemente il territorio, anche perché fare nuovi poli logistici vuol dire realizzare nuovi raccordi e collegamenti stradali, investimenti che RFI non è più disposta a fare.
Gli interventi previsti nella zona de “I Gonzaga del Po”
Nella zona de “I Gonzaga del Po” abbiamo intenzione di investire solo sullo scalo di San Giacomo di Guastalla, al fine di potenziare la linea commerciale Ravenna – Guastalla che è adattissima a portare certi tipi di merci via treno, come i coils.
Nel piano dei trasporti, invece, non s’è mai ipotizzato nessun polo d’interscambio logistico vicino al porto di Boretto, benché questo sia sempre stato desiderato; questo perché tra un probabile scalo merci e il porto c’è un argine in mezzo e quindi ci sono problemi fisici che renderebbero l’investimento davvero troppo oneroso.
2.6. On. GIUESEPPE TORCHIO – presidente del GAL Oglio – Po ed ex presidente della provincia di Cremona
La politica ed il Po
C’è un grande disinteresse da parte dello stato centrale sul Po, nonostante la propaganda leghista, e la dimostrazione è nella mancanza di un segretario generale all’autorità di bacino che non permette di riannodare le politiche e crea una mancanza d’interlocutori.
Oggi che finalmente l’AIPO è un’unica realtà con ARNI bisogna che tutto il tema del Po si seguito con una governance unitaria superando anche la diarchia con l’Autorità di Bacino.
Ci vuol maggiore attenzione da parte delle autorità regionali che non hanno sede sul Po e quindi trovano il problema decentrato.
L’esempio più chiaro di ciò è come l’EXPO, il cui tema è “nutrire il pianeta” coinvolga marginalmente questi territori, dove risiedono le più importanti attività agroalimentari.
Nel frattempo si sono persi i 180 milioni dei fondi FAS dati dal governo Prodi nel progetto delle 13 province del Po che era costato lacrime e sangue, cancellati una volta per il buco di Catania, una volta per Taranto e una volta per i rifiuti di Napoli e adesso per quelli di Palermo.
In Lombardia gli enti locali non sviluppano più il concetto del pluralismo e della dialettica, ma sono caudatari agli ordini che vengono dall’alto, e ciò fa molto male, perché gli assi decisionali sono sul nord della Regione e non vi è integrazione sul Po, sul quale non investe nulla.
Quindi la valorizzazione delle nostre zone rimane abbandonata a sé stessa, e, nemmeno su un problema come quello delle acque, inquinate non di certo dalla nostra industrializzazione, non c’è una benchè minima attenzione.
Il sistema turistico
La nostra terra ha un fascino particolare ed è adattissima per un turismo slow che faccia cortocircuitare tutti gli aspetti che ci sono, con un’integrazione che vada oltre il mordi e fuggi, generato da una frammentazione di politiche turistiche che ha dissipato grandi risorse in questo tempo.
Ci vuole un progetto volto a far fermare tre - quattro giorni le persone sulle terre di fiume e far gustare tutte le bellezze e i prodotti del territorio.
Non si può avere un progetto turistico Po di Lombardia e uno analogo in Emilia, gestendo il fiume solo a metà, smettendola di avere dei sistemi turistici segmentati, cercando di pensare, piuttosto, a un sistema complessivo, fortemente integrato tra territori e ambiti diversi.
Ci si muova, quindi, per cercare il salto di qualità per mettere in rete il sistema, cercando di imitare quell’unicità di marketing che avviene nel centro Italia come nel senese o nella zona del Trasimeno, in cui si sono stabilite politiche univoche nel brand e nel marketing.
Di pari passo alla valorizzazione turistica sta il tema della valorizzazione del prodotto: non ha senso che ogni microzona voglia avere il suo igp, ma bisogna cercare di riunire, attraverso un unico nome, prodotti con caratteristiche simili, come abbiamo fatto col pomodoro, cominciando a fare politiche che non s’imbrigliano nei confini.
Il grande dramma è che questi sistemi vengono a disperdersi quando c’è un cambio di amministrazione.
Tutti i discorsi fatti sul fiume, dalle politiche sul disinquinamento, sicurezza degli argini, discorsi di carattere navigatorio, politiche della ristorazione, dei prodotti tipici e degli eventi, deve essere a 360 gradi, tenendo conto di tutte e due le sponde.
Ognuno invece ha pensato il suo, non andando a riflettere in termini complessivi: c’è quindi da inventare tutto in questo senso.
Creare, quindi, un percorso che valorizzi il Po e lo venda su scala nazionale, affinché queste zone non salgano alla ribalta solo quando c’è la piena o quando c’è la macchia d’olio proveniente dalla Brianza.
Il Po come infrastruttura
Il Po dovrebbe essere sfruttato anche come grande centrale idroelettrica e noi siamo gli unici in Europa che non sfruttiamo un grande fiume in questo senso, sebbene una grande compagnia come E-On si fosse detta disponibile a partecipare.
La regimentazione è importante perché porterebbe un ripascimento sul piano ambientale di tutte le aree attigue e darebbe maggior acqua per l’irrigazione, oltre che rendere navigabile il fiume e dare stimolo anche a un turismo che fa fatica a decollare, come quello degli hausboat e delle crociere.
Non s’è investito in modi di trasporto merci differenziati e nella produzione di energia alternativa, senza privilegiare i discorsi logistici, legati soprattutto al modello autostradale ma non a quello ferroviario, così ad oggi non abbiamo un interscambio con l’acqua, con dei costi insopportabili per tutto il sistema, anche perché qui da noi l’energia costa il 30% in più rispetto alla media europea.
Dobbiamo riscoprire una politica delle infrastrutture, bisogna capire come.
Vedo che mettono tanti soldi per le autostrade pensando di utilizzar la cassa depositi-prestiti per le grandi infrastrutture, ma anche il Po è una grande infrastrutture e quindi anche nel progetto di regimentazione si può inserire anche la parte di manutenzione del territorio tra le opere da finanziare in tal modo.
Ci deve essere una stratificazione dell’impegno umano per il nostro territorio, guardando oltre a una soglia temporale immediata.
La necessità dell’andare insieme
Il nord ovest e il nord est sono due sistemi che escludono il Po e lo distruggono perché lo mettono dentro uno spezzatino, mentre tutta l’area padana dovrebbe essere considerata tout court, e così facendo s’ignorano queste possibilità e si lasciano questi territori marginali, con le regioni che privilegiano assi diversi, rendendo più deboli questi territori.
Per questo c’è bisogno di fare massa critica: finché i comuni hanno risorse proprie si possono permettere di andare da soli ma, considerando anche i recenti tagli dettati dalla manovra, saranno prima o poi obbligati a sistemi di coesione e di integrazione, altrimenti saranno destinati a sparire.
Ci vuole una rete di sottosistemi locali e occorre soprattutto una produzione di studi sempre più attenti e privilegiati in questo senso, sfruttando anche la vicinanza di tante università e sedi distaccate, che però non ragionano sul territorio.
Il rischio forte è vedere sempre più depresse queste zone, poiché le logiche di sviluppo sono sempre legate a certi centri di potere.
Ultime considerazioni
Bisogna chiedersi come sarà questo territorio tra vent’anni e avere il coraggio di spararla grossa e avere un’idea che faccia poi da detonatore rispetto a una situazione piatta e senza prospettive come adesso.
La zona del Po non è più artefice delle sue fortune e dei suoi destini perché oggi è etero diretto e bisognerebbe chiedersi quanta di questa classe dirigente prende in attenzione il Po.
Per fare qualche esempio: qui in Lombardia c’è un assessore che si permette di tenere fermi 40 milioni di euro sul Po, su queste zone e sulle regioni dell’intesa ci sono ancora dei fondi stabiliti dalla legge 380 del 1990 fatta da me e l’Onorevole Testa e dopo 20 anni ci sono ancora dei soldi che non sono ancora stati utilizzati, le problematiche del Po sono divise in 7 assessorati in ogni regione, com’è possibile che ci sia una governance forte in questa maniera è una domanda da porsi e da risolvere.
2.7. SILVANO MELEGARI – presidente del consorzio Progress & Competition e delegato di zona di Confindustria Mantova
Intervista realizzata tramite un questionario inviato via mail.
Qual'è la domanda di policy oggi da parte del territorio?
Le maggiori necessità del territorio sono le infrastrutture, sia materiali che tecnologiche; si pensi che il nostro territorio che ha un’altissima densità industriale, un’attività ogni 7 abitanti, non è totalmente coperto (solo il 60% del territorio) dalle “autostrade elettroniche” a banda larga.
Di quali infrastrutture, materiali e immateriali il territorio a cavallo del Po necessita?
Le infrastrutture di cui il territorio ha la necessità sono inderogabilmente tre:
1. I collegamenti alle autostrade A22 e A1, oggi particolarmente precari, nonostante la possibilità di utilizzo di recenti infrastrutture realizzate dalla vicina Regione Emilia Romagna come la Cispadana collocata a sud del Po e piè arginale.
2. I collegamento locali, che costringono ancora i trasporti su gomma a transitare per i centri abitati. Si pensi al mancato completamento della Gronda Nord che quando sarà completata (se va bene per il 2013), sarà solo una semplice circonvallazione di Viadana, Casalmaggiore e dei centri abitati limitrofi.
Questa superstrada darà il solo beneficio di togliere traffico dai centri urbani, ma non collegherà assolutamente nessuna grande via di comunicazione. Per ora, anche se il progetto futuro è di collegare la Cispadana con la TiBre, la Gronda Nord di fatto muore a Ovest sulla Sabbionetana e a Est sulla Viadana/Gazzuolo.
3. Le autostrade tecnologiche sono presenti sul territorio in modo limitato e precario: si pensi per esempio che in tutte le frazioni nord del Comune di Viadana non arriva l’ADSL, così pure in metà dell’area industriale della “Gerbolina”.
E' un'idea giusta pensare alla creazione di una governance che superi gli steccati amministrativi con la quale fare massa critica e poter avere, quindi, un territorio che sa fronteggiare meglio le sfide del futuro?
Direi proprio di si. E’ stato costituito il consorzio “Progress & Competition” per unire le varie attività locali (tenendo insieme imprese industriali, commerciali e artigianali) finalizzato a fare fronte comune.
Le risorse economiche a disposizione sono molto scarse, rendendo l’attività del consorzio limitata.
Resta solo una possibilità, che le varie rappresentanze provinciali di tutte le categorie imprenditoriali si trovino per fare massa critica. Qui sorgono, però, i problemi territoriali in quanto ogni rappresentanza è divisa per competenza provinciale.
Penso che un modello di governace non si costruisca a tavolino, ma attorno a dei progetti concreti: per questo ho individuato nella creazione di un brand turistico sotto il quale vendere anche i prodotti del territorio e in un percorso di inserimento post diploma e post laurea nelle aziende locali volto all'innovazione due forme con cui ciò può avvenire. Secondo lei, quali attori possono essere coinvolti? Quali mezzi possono mettere a disposizione?
Il vero collettore di un’idea del genere potrebbe essere la stessa Consulta interprovinciale d’area viadanese/casalasca) che è un organismo che rappresenta tutte le categorie imprenditoriali, sindacali e isituzionali.
Ci sarebbe da coinvolgere, quindi, comuni, provincie e Camere di Commercio.
Il vero rischio è che queste forme di organizzazione si trovino a predicare nel deserto.
BIBLIOGRAFIA
AIPO e Regione Lombardia, Attività e studi propedeutici relativi alla regimazione del Po nel tratto tra Cremona e Foce Mincio – Ipotesi, analisi e verifiche preliminari, Parma, 2009.
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