1.2 GLI ELEMENTI CHE CONNOTANO IL TERRITORIO
Come già più volte detto, diversi sono gli elementi attraverso cui s’è sedimentato nel corso dei secoli un forte senso d’identità comune.
Non è un caso che in tutto l’ambito del territorio definito de “I Gonzaga del Po” si parli un dialetto simile e si abbia la medesima tradizione gastronomica.
E’ fuor di dubbio che le radici comuni provengano dagli eventi storici, ma anche e soprattutto dalle stesse caratteristiche ambientali, influenzate dalla generosità del Po e dai problemi che lo stesso fiume comporta, causa anche di una certa marginalità negli ultimi decenni.
1.2.1 La storia e l’origine dell’assetto urbano
Fin dall’età del bronzo la fertilità e la generosità di queste zone erano note all’uomo, come testimoniano le Terremare ritrovate a Poviglio, ovvero villaggi sorti su palafitte nelle vicinanza di corsi d’acqua, testimonianza di una civiltà che traeva le proprie risorse dallo sfruttamento del Po.
In seguito, l’opera etrusca darà le prime linee guida di uno sviluppo territoriale giunto fino a noi, grazie alla loro evoluta cultura idraulica.
Saranno poi i Romani a dare un’impronta decisiva: tra il II e il I secolo avanti Cristo il console Marco Emilio Scauro attuò una vasta e impegnativa opera di bonifica tra il Po e la via Emilia, trasformando le zone paludose affinché potessero permettere la coltivazione e l’edificazione di nuovi centri.
Ma il segno più tangibile di quest’organizzazione diffusa e capillare emerge bene nelle centuriazioni e nella creazione di quegli assi stradali, come la Via Postumia tra Cremona e Verona, la Via Cavallara, la Via Altinate e la Via Claudia, che rimarranno fondamentali fino al ‘700.
Intorno alle vie di comunicazione e ai fiumi sorgeranno un gran numero di centri, perlopiù agricoli, che andranno a costruire la base dei futuri innesti medioevali.
Fino a qualche tempo fa era opinione diffusa ritenere la maggior parte dei borghi e delle città medio-padane d’origine prettamente medioevale, soprattutto longobarda; scavi e studi recenti hanno invece dimostrato come ci fosse un’origine comune romana o addirittura etrusca, costringendo a riscrivere la storia locale di molti paesi.
L’opera romana è sicuramente d’altissimo livello tecnico e riesce a trasformare tutte queste zone basse e depresse in rigogliose e ricche, rendendo la Val Padana il vero granaio della penisola.
Il tutto strutturato attorno all’asse centrale del Po, vera e propria autostrada dell’epoca, trafficato e ricco di empori, dal quale partivano a loro volta canali navigabili che rendevano raggiungibili via acqua città come Brescia e Padova2.
La caduta dell’Impero, le varie scorribande barbariche e il venire a meno di una manutenzione costante di canali e chiuse fa segnare un vero e proprio passo indietro; per tutto il Tardo Antico si assiste ad un ritorno di paludi diffuse, che, insieme alle numerose piene del Po, cambia l’assetto del territorio.
Il corso dei fiumi varia più volte nell’arco di tutto il medioevo, mentre le paludi erano veri e propri elementi di difesa delle varie curtes longobarde.
Solo dopo l’anno 1000 con l’affermazione di potenti monasteri benedettini e cistercensi nella zona, come a Polirone, S.Sisto di Piacenza o a Nonantola, si arriva ad una nuova evoluzione tecnica; grazie al lavoro dei monaci si riconquistano ampie zone all’agricoltura, ma non si riesce ancora ad attuare un piano organico e complessivo che riesca ad arginare e canalizzare tutte le acque.
Questo momento favorevole alle opere idriche s’interrompe dopo la morte di Matilde di Canossa e solo nel XVI secolo si tornerà a veri e propri programmi di bonifica3.
Figura 4 – Chiostro dell’Abbazia matildica di Polirone, San Benedetto Po (MN)
L’affermarsi dei comuni prima e delle signorie poi non permetteranno, infatti, di pianificare e regolare il territorio in questo senso; saranno le guerre, invece, ad essere il motore per i cambiamenti di quegli anni, assistendo così ad un fiorire diffuso di città castellate, nuove o già esistenti, lungo i confini e nei luoghi di controllo strategico.
Sarà comunque in questo periodo che si completa il diffuso sistema di borghi e cittadine che anima e caratterizza questo territorio, sottoposto poi a fondamentali modifiche nella forma e nella sostanza per tutto l’arco del ‘500.
A dir il vero questo processo ha radici ben più profonde: già ad inizio ‘400 il corso del Po assume l’attuale posizione, molto più a nord rispetto all’inizio del millennio, e tutti i suoi rami morti saranno utili per un rapido riutilizzo a canali di deflusso4.
Nel frattempo la situazione politica si assesta e i Gonzaga riescono finalmente a consolidare in modo netto il proprio potere su un’area vasta, che si espande ad attuali territori cremonesi, reggiani, veronesi e bresciani.
Nel corso del XV secolo non si baderà però a un ripensamento dei caratteri delle varie città, in quanto gli sforzi progettuali si concentrano a rendere Mantova la capitale di un Marchesato in espansione, voglioso di dimostrare la propria grandezza al pari delle altre corti italiane.
Continueranno ad esser la guerra e la politica l’interesse primario di una famiglia di ex mercenari, abili condottieri e grandi strateghi, capaci di determinare e cambiare gli equilibri locali ed europei.
La forte presenza dei Gonzaga si caratterizzerà ulteriormente a partire del secolo successivo: il tutto grazie ai numerosi rami cadetti che hanno popolato e vitalizzato i territori di confine volti ad ovest, in una rete logica che privilegia un asse verticale alla linea di demarcazione occidentale e, al tempo stesso, fornisce un senso di triangolazione Oglio - Po, senza dimenticare la linea di dominio più orientale che si riferisce al Grande Fiume.
Questa rete creata nel settore occidentale è una chiara diramazione volta ad allontanarsi dalla sfera d’influenza della linea primogenita di Mantova, per esercitar così un ruolo dinastico autonomo e identitario.
È complesso capire cos’abbia generato una rete così armonica d’insediamenti.
Forse molti luoghi gonzagheschi sono frutto di casualità più che di un disegno preciso, ma una valutazione più attenta porta a veder una chiara strategia.
Il confine con lo stato di Milano era sicuramente tranquillo ed amico, in virtù di un rapporto che andava oltre il buon vicinato, mentre molto meno tranquillo era il confine con Venezia, con un orizzonte nord-orientale pieno di nubi ed incertezze.
E’ assai probabile fosse questo il ragionamento di Barbara Gonzaga di Brandeburgo quando, nel 1478, manomise il testamento del marito Ludovico II, annullando la linea esclusivamente primogenita e determinando appunto la costellazione dei rami cadetti.
Come già detto, questi si dislocano maggiormente nella zona occidentale del dominio, mentre nella parte diametralmente opposta si preferisce porre dei vicariati sotto il potere centrale, proprio perché si tratta di zone dai confini più labili e insicuri.
Il primo obiettivo di questo smembramento fu quello di ottenere un maggior controllo delle vie di comunicazione e dei percorsi fluviali con il potenziamento difensivo e amministrativo delle città lungo le vie d’acqua.
Il secondo intento era quello di creare una sorta di sistema di baluardo difensivo diffuso, volto a fronteggiar con flessibilità e rapidità i diversi ribaltamenti di fronte nello scacchiere politico italiano.
Sarà proprio la duttilità data dalla spartizione a tenere a galla questa grande famiglia, capace di assumere a seconda dei casi atteggiamenti centripeti o centrifughi.
Il rapporto tra i vari potentati è vario, regolato da equilibri politici e strategici diversi; tra tutti sarà sempre Mantova a mantenere un ruolo carismatico ed istituzionale, ma anche le altre corti si formalizzano e possono vantare un rapporto sempre più diretto con la linea principale.
Il senso d’appartenenza ad un’unica famiglia si sente fino all’inizio del XVII secolo, quando le lotte intestine scardinano tutto il sistema gonzaghesco.
Fatto sta che il grande prodotto causato da questa parcellizzazione è il ripensamento urbano di molti borghi, trasformati o edificati quasi ex novo, che diventano capitali di microstati ambiziosi e vogliosi di dimostrare la loro indipendenza5.
I vari signori si affidano ai migliori architetti e progettisti del momento per realizzare il loro disegno, alternando interventi permeati sia d’utopia che di pragmatismo.
Si tratta di un autentico processo culturale, chiaro ed evidente per le vestigia che permangono di una grande stagione intellettuale e progettuale.
“Così come rimane il grande clima che ha animato questi luoghi, veri centri di vita, che si concretizza parallelamente all’intervento gonzaghesco, spinto e sorretto dall’afflato rinascimentale che tutto pervase.
Si trattò di una cultura globale che la famiglia Gonzaga, in tutte le sue sfaccettature dinastiche, spesso anche in contrapposizione, seppe destinare ad anello di congiunzione, a legante culturale di un territorio che dalla sua storia trae origine e linfa di sostentamento”6.
Sono grandi personaggi che incarnano questo spirito: Giulio Cesare, Vespasiano e Ferrante, uomini di grande intelligenza e altissimo profilo culturale e umano.
Sarà il connubio tra questi signori e grandi progettisti a cambiare e dare una svolta a questo territorio.
Figura 5 – Piazza Mazzini, Guastalla (RE)
Le città sono le vere protagoniste di questo percorso, regine del territorio dalle anime e dalle vocazioni diverse, tutte però legate da quel filo rosso dato dalla rete gonzaghesca7.
Le caratteristiche comuni non si riducono alla storia, ma anche a quella tipica cultura padana della dissimmetria, che è ben visibile dalle case più semplici al palazzo monumentale per arrivare a tutto l’assetto urbano, anche quello più programmato e preciso, dando così quel senso d’adattamento all’occhio e di vissuto non riscontrabile altrove.
Ci sono poi una serie di piccoli segni che accomunano le micro capitali: il tentativo di creare un assetto basato su due assi principali che richiamino il cardo ed il decumano e la volontà di lasciar nel tessuto urbano delle tracce del passato medioevale, come emblema di continuità dinastica.
Le esigenze e le idealità che ne hanno determinato forma ed esistenza, attraverso un radicale restauro o una rifondazione, sono di diversa natura.
Tratto comune è la ricerca della forma urbana, elemento che fornisce immediatamente il senso e il ruolo che la città veniva ad assumere.
Non a caso le ricerche cinquecentesche si concentrano parecchio a definir i lineamenti della città ideale, non limitandosi alla sola forma, ma con la volontà di creare una società nuova e più armonica, intuendo intelligentemente questo legame tra le due componenti.
Esiste quindi, in tutto il rinascimento, uno stereotipo di urbano che suggestionerà particolarmente i signori di queste terre, i quali realizzano in modo compiuto veri e propri tentativi di città nuova, caso raro in un periodo in cui la teoria è molta ma la pratica è limitata.
Il contesto territoriale in cui le città si collocano serve a fornire una prima importante differenziazione, indicando quali funzioni e quale ruolo il centro è destinato a svolgere.
Città come Guastalla o Revere, senza considerare la non gonzaghesca Brescello, sono punti di presidio lungo il Po, avamposti fortificati a garanzia delle possibilità di transito sul fiume, vere e proprie città pensate per la difesa e per la guerra. E’ emblematica la situazione del tratto d’Oglio tra Isola Dovarese e Bozzolo per capire l’importanza delle strade d’acqua: esso era l’unica via di comunicazione tra le due città in un momento in cui il passaggio terrestre era impossibilitato per la presenza di stranieri tra le due città.
Un secondo caso è rappresentato da quelle capitali poste in un ambito territoriale meno conflittuale e strategico, che consente di dare un assetto basato in minor parte sulle logiche difensive proprie della piazzaforte militare. Si arriva così a costruire città che assumono il ruolo di effige del signore, esempio diretto della sua volontà, come Sabbioneta e Rivarolo Mantovano.
Si assiste quindi ad una differenziazione funzionale degli insediamenti cinquecenteschi, componendo e parcellizzando quei compiti di difesa, produzione e governo che un secolo prima si tendeva a raggruppare, arrivando quindi ad una specializzazione nel territorio.
A permettere ciò gioca un ruolo importante lo sviluppo dei collegamenti e dei trasporti tra le città, che autorizzano più stretti rapporti fra i diversi centri, consentendo loro di assumere una funzione del tutto peculiare.
Sono quindi le vicende politiche che determinano una prima differenziazione dei luoghi, tra presidio, governo e controllo dei sistemi di produzione e scambio.
Non ci si può però fermare a questa prima suddivisione, anche perché questi primi caratteri vengono poi ad accavallarsi e a prendere sfumature diverse.
Qui troviamo l’origine di una struttura urbana consolidata e viva e le gerarchie tra centri che ancor oggi sono presenti.
Un territorio originale, perché costellato da piccole capitali, ognuna ideale nel suo microcosmo, in cui si dà l’immagine di una città globale, in cui anche le emergenze sono sempre da leggere come parti in un tutto, in cui strade, piazze, modi di sviluppo del tessuto urbano sono rigidamente codificate e conseguenti, ponendo comunque nella residenza signorile il fulcro da cui promana tutta la vita della comunità.
Di riflesso, ad una complessità del disegno urbano e alla molteplicità delle sue emergenze corrisponde sempre un’analoga complessità nei rapporti fra i vari soggetti e le classi sociali, dei cui conflitti la città è teatro e testimone.
Le scenografie di piazze e strade indicano in che modo sono articolati i rapporti, dando all’osservatore un senso di comprensione sociale della città, anticipando temi poi sviluppati in epoca barocca.
È importante parlare di queste città perché qui affondano le radici dell’identità culturale de “I Gonzaga del Po”, qui si ritrovano le testimonianze di una cultura che si riflette attraverso palazzi e opere d’arte, elementi attraverso cui fare rete e scusa progettuale attraverso cui legarsi ed andare assieme.
I Gonzaga finiranno la loro storia nel 1746, data in cui per la prima volta questo territorio si divide: Guastalla e i territori oggi Reggiani finiscono con il ducato di Parma e Piacenza, rappresentando un’enclaves in terra estense, mentre la parte mantovana e cremonese seguirà le varie vicissitudini della Lombardia nell’impero Austroungarico.
Da questo momento, fino all’unità d’Italia, queste zone rimarranno sostanzialmente identiche, esaurendo i fermenti di una stagione ormai al capolinea.
In quel secolo e mezzo, però, si consoliderà un modello agricolo dal quale nascerà poi lo sviluppo moderno.
1.2.2 Il modello di sviluppo dopo l’unità d’Italia
Per cercare le radici dello sviluppo locale di quest’area a cavallo del Po, bisogna partire idealmente dall’Unità d’Italia.
Il primo settore investito da una rivoluzione sostanziale fu l’agricoltura: organizzata in modo capitalistico e moderno dava lavoro a migliaia di braccianti che, proprio in queste terre, iniziavano ad avere una coscienza di classe che li porterà alle prime forme di protesta di stampo socialista, con largo anticipo rispetto al resto d’Italia8.
Sono le terre di Prampolini e Costa, delle prime cooperative bianche e rosse che si impongono come modello vincente, come testimoniano le varie latterie o cantine sociali che nascono sul finir del secolo.
Sull’impianto di fine ‘800 s’è poi evoluto quello attuale: nelle grandi corti si sono insediate molte cooperative, mentre sempre più nei decenni a seguire si sono formati consorzi legati alla produzione di uno specifico prodotto, capaci di legare una costellazione di piccole imprese agricole sul territorio.
È l’esempio del consorzio del Parmigiano Reggiano o del Grana Padano, senza dimenticare quello del melone mantovano.
Tutto ciò è avvenuto pari passo alla sistemazione idraulica della zona, che ha garantito maggior sicurezza e redditività delle coltivazioni.
Anche negli ultimi decenni l’agricoltura è rimasta trainante per l’area, soprattutto se intesa in un’accezione più ampia di sistema agro-alimentare-industriale.
La modernizzazione e l’industrializzazione non hanno marginalizzato l’impronta agricola e non l’hanno spenta: anzi, qui è avvenuto l’esatto contrario, in quanto il settore primario è stato il movente del processo evolutivo di uno sviluppo industriale tecnologicamente avanzato al servizio dell’agricoltura stessa.
Ciò ha permesso di affrontare le difficoltà che hanno travolto il settore primario in generale, grazie a strategie d’innovazione all’avanguardia e all’applicazione tecnologica nei processi di produzione, facendo di quest’area un riferimento qualitativo a livello europeo e mondiale.
In questo solco sono nate e cresciute industrie meccaniche legate alle macchine agricole, aziende produttrici di pompe e irrigatori, grandi realtà di macellazione.
Già qui possiamo intuire forme di integrazione importanti tra settori economici diversi: un’industria al servizio dell’agricoltura e viceversa, scuole professionali che hanno istruito e protratto un sapere alle giovani generazioni dal dopoguerra in poi, istituti bancari come le vecchie Casse Rurali e le Banche agricole pronte a finanziare e supportare un sistema.
Questo modello è stato vincente per parecchi decenni e ha portato ricchezza e sviluppo diffuso: ora però non si può più pensare il mondo secondo questi parametri, ma sulla scorta di un esperienza positiva di integrazione implicita bisogna trovar la forza di ripensar il futuro.
Figura 6 – Corte Palazzo, Spineda (CR)
Lo sviluppo industriale9, però, non trova le sue origini solo nell’agricoltura: nella bassa reggiana e modenese, tanto per fare qualche esempio, abbiamo delle forme pioneristiche di prime forme di opifici, fornaci e piccole fabbriche di lavorazione del ferro, come testimoniano parecchi documenti risalenti già al ‘700.
Sarà poi l’avvento della ferrovia, che connetterà questi territori al resto d’Italia e d’Europa, a dare un importante impulso in questo senso.
Negli anni ’80 del XIX secolo vennero inaugurate importanti strade ferrate, che ancor oggi compongono sostanzialmente l’ossatura del sistema ferroviario locale: la Parma - Brescia, la Parma – Suzzara, la Modena – Mantova – Verona, la Ferrara – Suzzara e la Reggio – Guastalla sono le linee che inseriscono le basse nella riorganizzazione generale dei trasporti.
Oltre a queste, furono realizzata altre linee, poi smantellate nel secondo dopo guerra, come la Reggio – Carpi o la Reggio – Boretto.
In un’epoca in cui era motivo di lustro aver una fabbrica vicina al centro città, vediamo sorgere trancerie e industrie di cucine a Guastalla e aziende meccaniche a Suzzara, come ben fanno capire gli edifici di archeologia industriale ancor’oggi presenti.
Oltre alla circolazione su ferro, il tardo ‘800 portò a un riassetto dello scheletro viabilistico, il tutto a scapito del traffico fluviale, che da questo momento decade per sempre.
Gli anni del ventennio fascista non denotano cambiamenti, se non la nascita di qualche attività artigianale e un rafforzamento dei legami tra queste terre e città importanti come Milano e Verona, mercati ideali per le produzioni.
Le Basse, quindi, non furono territori avulsi dallo sviluppo in un’epoca in cui s’è soliti esaltare l’arcinoto triangolo industriale Torino – Milano – Genova10.
Che non furono terre immobili è riscontrabile anche dai servizi di cui si dotano questi centri, come macelli, ospedali, mercati coperti, segno di una vitalità non comune.
Dal dopoguerra in poi si assiste al rafforzamento dei comparti già presenti fino ad arrivare alla creazione di veri e propri distretti industriali: quello del legno in particolare nell’area viadanese, quello della meccanica avanzata nella fascia oltre il Po e il minidistretto degli articoli per la casa sempre nel viadanese.
Questi comparti affiancano quelli già detti legati all’agricoltura, senza dimenticare l’importanza sempre più rilevante della logistica.
L’apertura dell’autostrada Modena – Brennero ha portato una vera e propria porta verso l’Europa, incrementando i rapporti commerciali con Austria e Germania.
Siamo davanti a una fitta rete di imprese, la stragrande maggioranza di piccolissima dimensione, altre ingranditesi fino a diventare leader italiani ed europei nel loro settore: pensiamo alla Marcegaglia o alla Padana tubi nei profilati, alla SMEG negli elettrodomestici, al gruppo Saviola nel trattamento e nello smaltimento del legno.
A prescindere dalla dimensione, però, il quadro è di un sistema avanzato e innovativo, capace oggi di esportare con forza nei nuovi mercati emergenti, come Cina, India, Sud America o nella penisola Arabica.
Questi valori si trovano ora davanti alla crisi economica che colpisce duramente settori come quello meccanico e in cui molte aziende ricorrono alla cassa integrazione per i propri dipendenti cercando di superare questo momento.
Molte imprese pagano oggi il fatto di aver smesso di puntare su ciò che le ha rese grandi: l’innovazione.
In molti casi è venuta a mancare la propulsione ad investire in sviluppo e ricerca, ma s’é visto che solo chi ha continuato a farlo riesce a rispondere con forza ai problemi attuali.
Salvaguardare questo tessuto è prioritario, non solo per tutelare le imprese, ma anche perché dietro questo c’è una forma di coesione sociale molto forte, che rischia di andare in aria.
Siamo di fronte a distretti importanti, come quello di Guastalla, dodicesimo in Italia tra i territori produttivi di eccellenza in una recente ricerca del Censis11.
Ovviamente, anche qui la percentuale del settore terziario è assai cresciuta nel corso degli anni, creando servizi a supporto del benessere dei cittadini e delle imprese.
Da questi dati bisogna partire, non assumendoli come vanti, ma come sprono per andare avanti su una strada ben tracciata.
Figura 7 – Antica fornace di mattoni a Luzzara (RE)
1.2.3 Il sistema produttivo
Come emerge dal modello di sviluppo, “I Gonzaga del Po” sono un territorio capace di grandi numeri e di generare ricchezza e fin qui sviluppo.
Sono 21.632 le sedi d’impresa secondo gli ultimi dati disponibili delle Camere di Commercio (TAB.2), circa una ogni dieci abitanti, nonostante la crisi abbia colpito e parecchie sono le attività fallite negli ultimi due anni.
Se si guarda alla suddivisione per attività produttive, si può notare quanto sia ancora fondamentale l’agricoltura per l’intera economia locale, con una distribuzione media di circa il 22 % delle imprese, con punte che superano un terzo del totale a San Martino dall’Argine, Pomponesco, San Benedetto Po, Sabbioneta e Marcaria.
Non si può, quindi, far prescindere ogni discorso futuro senza affrontare l’importanza del settore primario in queste terre, capaci di regalare grandi prodotti: i meloni e le angurie mantovane, il pomodoro casalasco (circa 850.000 tonnellate l’anno stando ai dati forniti dal consorzio), la linea dei lambruschi e i due formaggi a pasta dura per eccellenza, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano.
Il settore manifatturiero si conferma un settore di punta, così come le costruzioni.
Ma è interessante soprattutto una lettura più articolata del primo, dove nel viadanese e nel casalasco è la lavorazione del legno a farla da padrona, dove è presente in modo consistente anche l’industria alimentare e di articoli per la casa.
Nell’oltre Po, sia nella Bassa Reggiana che nel suzzarese, che sono storicamente più industrializzate rispetto alle altre, è la meccanica nelle sue varie forme a trainare l’economia, andando dalla fabbricazione di macchine agricole ai lavorati in metallo fino ad arrivare ai sistemi di irrigazione e agli elettrodomestici.
Un settore manifatturiero di grande qualità, che da sempre ha puntato sull’innovazione, capace di esportare in tutto il mondo e di arrivare in maniera capillare anche sui nuovi mercati. Attorno a grandi nomi del made in Italy come Smeg, Iveco, Saviola e Caleffi, operano numerose piccole e medie imprese artigiane, che costituiscono la vera rete che ha supportato lo sviluppo di questo territorio.
Il settore terziario occupa circa il 40 % del totale, la metà del quale è costituito dalle voci riguardanti il commercio, nonostante la crisi generale che ha colpito il comparto negli ultimi anni; i servizi si concentrano soprattutto nelle quattro città più popolose (Casalmaggiore, Viadana, Guastalla, Suzzara), ovvero i comuni a capo di relativi distretti, veri e propri piccoli capoluoghi di tutto il territorio.
Figura 8 – Latteria Sociale “San Girolamo” a San Girolamo di Guastalla (RE)
Per quanto riguarda la diffusione d’imprese femminili (TAB.3) e d’imprese di extracomunitari (TAB.4), ovvero due condizioni imprescindibili per avere sviluppo, il territorio presenta dati molto interessanti.
Le prime sono quasi il 20 % del totale delle imprese, quattro punti percentuali sotto la media nazionale, ma più alta rispetto all’intera Provincia di Reggio Emilia che ha il 17,5% e in linea, invece, ai dati delle Province di Mantova e Cremona (Fonte Unioncamere all’anno 2008)
Mentre gli immigrati dimostrano la loro integrazione con il tessuto socio economico del territorio: più di 2000 sono gli stranieri che fanno impresa ne “I Gonzaga del Po”, pari a quasi il 10% del totale, un dato che è superiore a quello nelle Province di Cremona e Mantova, dove ci si aggira sul 7-8%, ma inferiore a quello della Provincia di Reggio Emilia, che con il suo 13,5 % ha una delle percentuali più alte d’Italia. (Fonte Unioncamere all’anno 2008).
Guardando in modo più approfondito quest’ultimo tema si possono vedere, però, discrepanze interne notevoli a “I Gonzaga del Po”, dove troviamo comuni con percentuali bassissime o addirittura nulle di imprenditoria straniera, soprattutto nei comuni più piccoli, ma anche una punta del 20% a Novellara.
Tutto ciò rende ancora più evidente il dinamismo e i grandi valori che riesce a generare questo territorio, vero dato da cui partire.
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