Storia del Cristianesimo


La lotta tra Bonifacio VIII e il re francese Filippo il Bello (1296-1303)



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La lotta tra Bonifacio VIII e il re francese Filippo il Bello (1296-1303)

Con questa lotta « non solo si esaurisce l'autorità politica effettiva del papato (..) ma si avvia rapidamente alla fine la concezione dell'età di mezzo, che subordinava la politica alla morale, e, nella stretta collaborazione fra i due poteri, religioso e civile, tendeva alla costruzione di una civiltà basata sulla fede cristiana ».[1] Il conflitto nacque per l'opposta mentalità dei due protagonisti: il papa pretendeva, come i suoi predecessori medievali, di esercitare un'alta autorità sovrana su tutti i regni cattolici; il re francese invece faceva suo il principio, che andava sempre più affermandosi, secondo il quale nel suo regno il re è sciolto da ogni autorità, tanto dell'Imperatore che del Pontefice: Rex in suo regno est imperator et papa. Il motivo scatenante della lotta fu l'imposizione al clero francese di tributi per sostenere la guerra contro l'Inghilterra. Seguirono mosse e contromosse dei due protagonisti:

  • il Papa con la bolla Clericis Laicos (1296) vietò di imporre tasse sui beni ecclesiastici senza l'autorizzazione della Santa Sede; allora il re proibì l'esportazione di denaro all'estero (minando così una delle entrate principali del Papa, le elemosine);



  • Bonifacio VIII rispose con la bolla Ausculta Fili 1301, con la quale deplorò i soprusi commessi da Filippo il Bello, in particolare l'arresto di un vescovo francese, e convocò un concilio a Roma; il re impedì la diffusione della bolla nel regno e nella riunione degli stati generali del regno nell'aprile del 1302 rinnovò le antiche accuse contro il pontefice;



  • il Papa allora, nel novembre del 1302 emanò la famosa bolla Unam Sanctam nella quale espose il suo pensiero: la Chiesa è unita sotto un unico capo, il pontefice; per salvarsi è necessario appartenere alla Chiesa; il potere civile è subordinato a quello spirituale (teoria delle due spade); in risposta, il re francese, nel giugno 1303 fece accusare il Papa di simonia ed eresia e lo citò in giudizio davanti ad un concilio per difendersi;



  • Bonifacio VIII dapprima confutò le accuse e poi si preparò ad emanare una bolla (la Super Petri solio) con la quale scomunicava e deponeva Filippo il Bello; ma il giorno prima della pubblicazione della bolla, il 7 settembre 1303, due sgherri del re, Guillaume de Nogaret e Sciarra Colonna, scesero ad Anagni, dove il Papa risiedeva, e lo fecero prigioniero (cfr. lo Schiaffo di Anagni). Una sollevazione popolare riuscì nell'intento di liberare il Papa, il quale però, scosso nel morale e nel fisico, morì un mese più tardi, l'11 ottobre 1303.

L'esilio del papato ad Avignone (1309-1377)

Alla morte di Bonifacio VIII, e dopo il breve papato di Benedetto XI, nel 1305, dopo 11 mesi di conclave, i Cardinali elessero Papa l'arcivescovo di Bordeaux, Bertrand de Got, che prese il nome di Clemente V e decise di non scendere a Roma, ritenuta insicura, ma di recarsi ad Avignone. Qui i Papi rimasero fino al 1377, quando, mosso dalle preghiere di Santa Caterina da Siena, Gregorio XI decise di ritornare definitivamente a Roma. Il Papato avignonese si caratterizza per tre aspetti:

  • I papi, anche se giuridicamente liberi e indipendenti, di fatto subiscono in pieno l'influsso della monarchia francese. I 7 pontefici avignonesi sono tutti francesi e la maggioranza dei cardinali è francese. Soprattutto Germania e Inghilterra protestavano contro la perdita del carattere di universalità del papato.



  • La lotta dura, aspra e inutile che Giovanni XXII iniziò contro l'imperatore tedesco Ludovico il Bavaro, fino alla morte di questi nel 1347. In questa lotta, la cosa saliente fu la dichiarazione emanata nella dieta di Francoforte del 1338, con la quale il Papa perdeva anche l'ultima autorità politica che gli era rimasta: la conferma pontificia dell'elezione dell'imperatore, che d'ora in avanti sarà riservata ai 7 grandi principi elettori tedeschi.



  • Infine, la cosa forse più grave che accrebbe l'avversione alla curia e al papato: durante il periodo avignonese aumentò a dismisura il fiscalismo curiale papale, e si accentuò la tendenza del papato a riservare a sé la nomina di molti uffici delle diocesi, fino allora eletti dalla base o conferiti dal vescovo locale. Tutto questo, oltre ad alienare molti animi dalla curia e dal papato, provocò numerosi opuscoli critici, che terminavano tutti con l'affermazione della necessità di una riforma della Chiesa.

Lo Scisma d'Occidente (1378-1417)

Il motivo scatenante lo scisma, fu la messa in dubbio della validità dell'elezione di Urbano VI (successo a Gregorio XI) avvenuta, sotto la pressione del popolo romano, la mattina dell'8 aprile 1378. Lo scisma divise la cristianità occidentale in due obbedienze, quella di Roma e quella di Avignone (città che divenne sede dei Papi che non riconoscevano la validità dell'elezione di Urbano VI), cui si aggiunse, nel 1409, l'obbedienza pisana (Concilio di Pisa), che, nel tentativo di risolvere la grave crisi del papato, finì per aggravarla ulteriormente. Di fatto c'erano tre papi, ognuno con un suo seguito; fatto che, come conseguenza, divise il mondo civile e politico, gli Ordini e le Congregazioni religiose; gli stessi Santi parteggiavano chi per un papa, chi per un altro (vedi Santa Caterina da Siena e San Vincenzo Ferrer). Di fronte all'impossibilità di riconciliare le parti, si fece strada nei teologi la teoria conciliare, già affermata, in vario modo, nel Medioevo: se un papa cade nell'eresia o nello scisma, può essere deposto da un concilio, convocato dai Vescovi o da chi abbia sufficiente autorità. Questa teoria, che aveva motivato il fallimentare Concilio di Pisa, portò alla convocazione, da parte dell'Imperatore Sigismondo del Concilio di Costanza (1414-1418), durante il quale i tre papi (di Roma, Avignone e Pisa) furono obbligati a dimettersi, e venne eletto il nuovo ed unico Papa, Martino V (1417-1431). Se l'unità della Chiesa è ristabilita, tuttavia il bisogno di riforma continua a farsi sentire. Alcuni teologi vedono la soluzione nella tenuta regolare di concili, soluzione adottata dal Concilio di Costanza nei decreti Haec sancta e Frequens: abbiamo così nel 1423 il Concilio di Pavia-Siena, che registrò una scarsa partecipazione, fu trasferito a Siena e infine sciolto; nel 1431 il Concilio di Basilea, che fallì nei suoi intenti e provocò un nuovo scisma (subito rientrato); nel 1437 il Concilio di Ferrara trasferito poi a Firenze.



Il Papato rinascimentale

L'età del Rinascimento, almeno dopo la morte di Paolo II nel 1471, costituisce uno dei periodi più oscuri del papato: allo splendore culturale e civile si contrappone la mancanza di un autentico spirito religioso al vertice della gerarchia ecclesiastica. Se da un lato il Papato e la chiesa in genere accolsero favorevolmente lo sviluppo culturale umanista (uno tra i più grandi umanisti fu proprio un Papa, Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II), da un altro non mancarono gli aspetti negativi. Molti umanisti furono accolti alla corte papale e si sviluppò un ampio mecenatismo, che ben presto trasformò Roma in una città pienamente rinascimentale, trasformata dalle nuove e costose opere. La curia romana viveva in un lusso fastoso: ogni cardinale aveva la sua corte, con palazzi e ville entro e fuori le mura. Il nuovo tenore di vita esigeva forti spese, alle quali si faceva fronte con tutti mezzi, leciti e illeciti (si diffonde a Roma in questo periodo la cosiddetta pasquinata: Il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che viva e paghi). A questo bisogna aggiungere la vita privata dei Papi, che oltre al nepotismo diffuso (per favorire non solo i nipoti, ma spesso i propri figli illegittimi), era macchiata da gravi immoralità, il cui apice negativo fu Alessandro VI (1492-1503).

Il secolo delle riforme (XVI secolo)

Alla fine del XV secolo la Chiesa viveva una profonda crisi morale, spirituale e di immagine. A livello del Papato e dell'Alto Clero questa crisi si manifestava con l'assunzione di pratiche e comportamenti che niente avevano a che vedere con la fede. La prima preoccupazione dei Papi era la difesa strenua del proprio Stato, con continue guerre che dissanguavano le economie dello Stato Pontificio, e la preoccupazione di arricchire se stessi più che difendere la religione. Il nepotismo era diffuso a tutti i livelli, a cominciare dai Papi. La consuetudine di accumulare i benefici ecclesiastici (con le rendite ad essi connessi) era pratica comune. Il basso clero, pochissimo istruito e senza alcuna preparazione specifica, viveva come poteva (contrabbando, caccia, prostituzione), e contribuiva a fare della religione un insieme di pratiche più vicine alla superstizione che alla fede.

Oggi gli storici rivalutano certe prese di posizione in ambito cattolico, per sottolineare come alcuni fermenti di riforma erano già presenti nel mondo cristiano cattolico prima di Lutero e indipendentemente dalla Riforma luterana (vedi Controriforma).

La Riforma protestante in Germania

Tutta la teologia e il pensiero di Lutero si possono sintetizzare in tre celebri affermazioni:

  • sola fide: tormentato dall'idea della propria salvezza personale, Lutero scopre, nella lettura della lettera di San Paolo Apostolo ai Romani la risposta a ciò che lo angosciava: Iustus autem ex fide vivit – Il giusto vivrà per la sua fede (1,17); scopre cioè che era sufficiente abbandonarsi alla azione salvifica di Dio, bastava credere per sapersi e sentirsi salvato;



  • sola gratia: se ciò che salva è solo la fede in Dio, allora per Lutero nessuna azione umana può cambiare ciò che Dio ha già deciso; solo la grazia di Dio salva, non le azioni, i meriti acquisiti dall'uomo; in quest'ottica perciò l'uomo è simul iustus et peccator: è un peccatore, perché nessuno può cancellare il peccato originale, ma insieme è giusto, nel senso di giustificato dalla misericordia di Dio che opera nell'uomo; Lutero scopre così di essere un grande peccatore, ma nello stesso tempo, anche senza compiere opere buone, si sente salvo per il semplice fatto di abbandonarsi al suo Signore;



  • sola Scriptura: la Sacra Scrittura per Lutero non solo contiene tutte le verità rivelate da Dio, ma non ha bisogno di essere illuminata e chiarita dalla tradizione, in quanto è in sé sufficiente per dare da sola alla Chiesa la certezza su tutte le verità rivelate; in questo modo il riformatore tedesco abolisce la tradizione e la mediazione della Chiesa con il suo magistero, con le sue strutture (Papa e gerarchia ecclesiastica) e con i suoi sacramenti; il credente non ha bisogno di tutto questo (magistero, gerarchia, sacramenti), non ha bisogno di mediazioni umane per entrare in rapporto con Dio: « La Chiesa è una comunità spirituale di anime unite in una sola fede... una unità spirituale sufficiente a formare la Chiesa ».

Lo sviluppo delle vicende storiche si possono sintetizzare così.

  • Lutero manifestò pubblicamente per la prima volta le sue idee nelle 95 tesi sulle indulgenze, la vigilia di Ognissanti del 1517, inviando il testo a diversi teologi; queste tesi ebbero larga diffusione in tutta la Germania



  • Papa Leone X, davanti alla crescente diffusione delle tesi luterane, nel 1518 fece sottoporre ad esame le asserzioni sulle indulgenze e intimò a Lutero di presentarsi a Roma per il processo; ma grazie all'intercessione del suo grande protettore, Federico di Sassonia, Lutero venne interrogato ad Augusta nell'ottobre del 1518 dal Card. Caietano.

  • Nel 1519 a Lipsia si svolse una disputa fra Lutero e Johannes Eck: il riformatore non abbondò le sue posizioni, ma anzi fu costretto a chiarire per la prima volta tutta la sua dottrina.



  • Nel 1520, a Roma si conclude il processo contro Lutero e venne promulgata la bolla Exsurge Domine, con la quale il Papa intimava al riformatore tedesco di ritrattare le sue tesi entro 60 giorni; Lutero rispose bruciando pubblicamente la bolla papale. Ormai è scontro aperto.



  • Il 3 gennaio 1521, con la bolla Decet Romanum Pontificem, Lutero e tutti coloro che lo sostenevano venivano scomunicati.



  • Nell'aprile del 1521, in una dieta a Worms, l'imperatore Carlo V bandì Lutero dall'impero e ordinò di bruciare tutti i suoi scritti. Ma grazie all'aiuto di Federico di Sassonia, il riformatore poté evitare l'arresto e si rifugiò nel castello della Wartburg, ove rimase per dieci mesi.



  • Nel frattempo, sull'onda delle tesi luterane e spinti dagli eccessi del momento, la popolazione iniziò a sollevarsi contro qualsiasi tipo di autorità (che fosse l'imperatore o il semplice vescovo). Negli anni 1521-1522, si sollevò la piccola nobiltà e i cavalieri, guidati da Franz von Sickingen. Successivamente, nel 1522-1524, furono gli anabattisti, guidati da Thomas Müntzer, che predicavano propositi chiaramente anarchici. Lo stesso Lutero dovette scendere in campo per richiamare all'ordine e alla pace. Infine, negli anni 1524-1525, furono le classi agricole, i contadini, a sollevarsi con stragi e incendi, che si diffusero ben presto in tutto il centro-sud della Germania: furono sconfitti a Frankenhausen dal duca di Lorena, che fece sgozzare più di ventimila rivoltosi. Anche in questo caso, Lutero era sceso in campo, e se dapprima aveva ritenuto giuste alcune rivendicazioni dei contadini, in seguito, dopo le stragi e gli eccessi, invitò pubblicamente con un opuscolo i Principi a soffocare nel sangue la sommossa. Questa evoluzione di Lutero è sintomo di uno smarrimento del riformatore: di fronte all'anarchia e al caos che si stavano diffondendo in Germania, era assolutamente necessario trovare un principio su cui fondare ordine e stabilità; avendo eliminato il Papa e la gerarchia, non restava che lo Stato che potesse dare appoggio alla nuova chiesa fondata da Lutero.



  • Segue un periodo di relativa calma: gli anni 1525-1532 sono gli anni degli incontri, degli accordi, delle diete. A Spira nel 1526 fu permesso ai Principi che lo volevano di abbracciare il luteranesimo. Ancora a Spira nel 1529, l'imperatore Carlo V vietò ogni ulteriore novità: cioè gli stati luterani potevano rimanere tali, gli altri dovevano rimanere fedeli al cattolicesimo. Ad Augusta nel 1530 venne esaminata una confessione di fede proposta dai riformatori, la Confessione augustana, opera di Filippo Melantone, che fu però condannata dall'imperatore, che impose ai Principi protestanti la restituzione dei beni ecclesiastici sottratti alla Chiesa cattolica; questi, a loro volta, per paura di ritorsioni imperiali, si unirono nella Lega di Smalcalda, pronti alla guerra aperta. Nel 1532, in una nuova dieta a Norimberga, Carlo V ritirò le disposizioni severe di Augusta.



  • Svanite le speranze di un accordo con i riformatori, l'imperatore Carlo V si decise alla guerra aperta contro la Lega di Smalcalda, la prima delle guerre di religione che devasteranno l'Europa per almeno un secolo.



  • Nel 1546 Lutero morì. Le sue ultime parole scritte furono: « Siamo mendicanti, è vero ».

  • La guerra terminò nel 1555 con la Pace di Augusta, che sancì definitivamente la divisione religiosa della Germania. Tre furono le clausole principali: a) Cuius regio, eius et religio: cioè il Principe poteva scegliere liberamente a quale religione appartenere, i sudditi invece dovevano o scegliere la religione del proprio Principe, o emigrare in un altro Stato; b) Reservatum ecclesiasticum: i Principi che d'ora in avanti abbandoneranno il cattolicesimo, perderanno tutti i loro beni; c) Declaratio secreta: per compensare il reservatum, in un accordo segreto venne riconosciuto ai nobili, alle città e ai villaggi che da anni avevano abbracciato il luteranesimo, il diritto di restare liberamente nella loro fede.

La Riforma protestante in Svizzera e Francia

In Svizzera la riforma ebbe luogo contemporaneamente alla Germania, dapprima con Ulrich Zwingli (1484-1531), che ben presto però si allontana dal luteranesimo e si aliena così l'appoggio dei Principi tedeschi, e viene ucciso sul campo di battaglia che opponeva i cantoni svizzeri cattolici contro Zurigo. La riforma ebbe successo a Ginevra col Riformatore Giovanni Calvino, francese di origine, che ben presto abbracciò il luteranesimo e dovette per questo lasciare Parigi. A Basilea, nel 1536, pubblicò la sua opera principale, l'Institutio christianae religionis, con la quale influenzò molte menti in tutta Europa. La sua opera riformatrice ebbe successo a Ginevra e in Scozia, ed in parte nei Paesi Bassi, in Polonia e in Ungheria.

Le idee di Giovanni Calvino trovarono largo consenso in Francia, ma provocarono al contempo una lunga guerra di religione, in cui i motivi religiosi furono largamente soverchiati da motivi politici e di interesse. La lunga guerra (chiamata la guerra dei tre Enrico) tra la lega cattolica, guidata da Enrico III e da Enrico di Guisa, contro Enrico di Borbone, calvinista, candidato al trono di Francia, ebbe il suo momento peggiore nella strage di S. Bartolomeo: il 24 agosto 1572, festa di S. Bartolomeo, migliaia di calvinisti vennero trucidati a Parigi e nel resto della Francia. Papa Gregorio XIII, saputa la notizia, felice della disfatta degli eretici, festeggiò l'avvenimento con un Te Deum di ringraziamento e con una medaglia commemorativa. La riconciliazione in Francia fu raggiunta con la conversione di Enrico di Borbone al cattolicesimo: Parigi val bene una messa; e con l'Editto di Nantes del 1598, con il quale Enrico IV riconosceva ai calvinisti libertà di coscienza, libertà di culto in determinate località, pienezza di diritti civili e politici. Papa Clemente VIII accettò a malincuore questo editto, giudicandolo una sconfitta del cattolicesimo a favore del protestantesimo.

La Riforma protestante in Inghilterra

In Inghilterra la rottura con Roma del 1534 non è dovuta solo alle passioni e alle iniziative di Enrico VIII, ma fu l'ultimo atto di un lungo processo, in corso dalla fine del Trecento, che da un lato vedeva aumentare sempre più l'ostilità contro il clero e la gerarchia corrotta, dall'altro tendeva alla costituzione di una Chiesa autonoma dal Papa. Si possono delineare quattro tappe della rottura tra la Chiesa inglese e il Papato di Roma.

  • Enrico VIII (1509-1547). Le passioni amorose del sovrano inglese furono la causa scatenante la riforma in Inghilterra. Il rifiuto del Papa Clemente VII di concedere la nullità del matrimonio con Caterina d'Aragona, figlia del cattolicissimo re di Spagna e zia dell'imperatore Carlo V, portò il re inglese, dapprima a farsi proclamare capo della chiesa inglese (1531), e poi, nel novembre 1534, ad emanare l' Atto di Supremazia, con il quale si attribuirono al sovrano i diritti sulla chiesa inglese che prima spettavano al papa di Roma. Di fatto, ad esclusione del primato del papa, tutto il resto dell'antica fede venne mantenuto. Il popolo e la gerarchia inglese accettarono senza troppo fiatare le decisioni del sovrano, il quale decise anche la soppressione dei monasteri inglesi e la confisca dei beni ecclesiastici. Alla morte del re, la chiesa inglese era sostanzialmente ancora cattolica: era sì in atto uno scisma, ma la fede era ancora quella tradizionale.



  • Edoardo VI (1547-1553). Con il nuovo sovrano vennero introdotte profonde modifiche religiose, cosicché dallo scisma si passò all'eresia. Nel 1549 venne pubblicato un nuovo rituale liturgico, il Book of Commun Prayer, di stampo protestante, e nel 1553 una professione di fede di tendenze calviniste circa la dottrina eucaristica.



  • Maria la Cattolica (1553-1558). Figlia di Enrico VIII, era sempre rimasta fedele al cattolicesimo, e salita al trono volle restaurare l'antica fede. Ma non riuscì a guadagnarsi il favore popolare, cui pose rimedio con la condanna a morte di decine di oppositori.



  • Elisabetta I (1558-1603). È con Elisabetta che l'Inghilterra accoglie definitivamente le idee riformatrici che circolavano in Europa. Nel 1559 venne promulgata la legge che riconosceva la regina supremo governatore della Chiesa d'Inghilterra e che impose agli ecclesiastici un giuramento di fedeltà. Fino al 1570 i cattolici inglesi godettero di una certa tolleranza. Ma il 25 febbraio 1570 Pio V, con una mossa del tutto oramai anacronistica, scomunicò e depose la regina, in forza della concezione medievale del potere del papa sui sovrani. Questo provocò la reazione di Elisabetta che finì per considerare i cattolici come ribelli politici, bandendoli dal regno.

La Controriforma Cattolica

Resta aperto oggi, tra gli storici, il problema se la riforma in seno alla Chiesa di Roma sia semplicemente una reazione alla riforma luterana (e dunque da considerarsi Controriforma), oppure se vi sono elementi per dire che, in seno alla Chiesa cattolica, vi erano germi di riforma indipendenti da Lutero (e dunque cronologicamente prima del 1517), e tali da potersi considerare come una vera Riforma cattolica. Al di là del dibattito storico tuttora in corso, si possono rilevare questi elementi:

  • vi è un crescente sviluppo delle associazioni laiche tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, con l'intento di svolgere azioni di carità verso i poveri e gli ammalati, soprattutto con la fondazione o il restauro di ospedali per malati cronici o incurabili; la più grande associazione italiana è la Compagnia del Divino Amore, nata a Genova alla fine del Quattrocento per opera di Ettore Vernazza, che ben presto si diffonde in molte città dell'Italia settentrionale, ma anche a Roma e a Napoli;



  • i vecchi ordini religiosi tendono a riformarsi al loro interno, così che, accanto a monasteri con la vecchia regola, troviamo monasteri che adottano una regola riformata; un classico esempio è la riforma del Carmelo ad opera di Santa Teresa d'Avila e San Giovanni della Croce; assistiamo pure alla nascita di nuovi ordini da altri di vecchia data: è l'esempio dei francescani Cappuccini, fondati da Matteo da Bascio ed approvati nel 1528;



  • soprattutto tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, vediamo la nascita di nuovi ordini religiosi, tra cui i Gesuiti, i Camilliani, i Teatini, nonché di ordini femminili dediti alla vita attiva, come le Orsoline di Sant'Angela Merici;



  • né bisogna dimenticare che, nel malcostume comune, alcuni vescovi si distinguono per le loro capacità e per il loro zelo pastorale, arrivando a convocare sinodi, a promuovere la predicazione, a preoccuparsi della formazione del clero, a visitare regolarmente le loro diocesi; si distinsero soprattutto Nicolò da Cusa (detto Cusano), vescovo di Bressanone, e il card. Francisco Jiménez de Cisneros, arcivescovo di Toledo.

Certamente la grande azione della Chiesa cattolica per contrastare il luteranesimo da un lato, e per riformarsi al suo interno dall'altro, fu il Concilio di Trento (1545-1563).

Le missioni cattoliche dopo il XIV secolo

Facendo un passo indietro, si può dire che a cavallo dell'anno Mille, i popoli europei erano quasi tutti cristianizzati, eccezion fatta per le tribù dei vendi (o serbi) tra l'Elba e l'Oder, e dei popoli del Baltico a nord-est della Vistola. La missione in questi territori portò a compimento, verso il 1270, la cristianizzazione dei popoli europei. Nel tardo medioevo la missione ebbe come punti di interesse i mussulmani di Grenada e la missione fra i mongoli, imprese portate avanti soprattutto dai Francescani e dai Domenicani. Il fallimento della Crociata fece tramontare anche l'idea che la diffusione della fede dovesse essere accompagnata dalla forza delle armi. Ma la scoperta di nuove ed immense terre dopo il 1492 cambiò la modalità della missione cristiana nel mondo.


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