Storia del Cristianesimo


I rapporti tra il papato di Roma e le Chiese d'Oriente



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I rapporti tra il papato di Roma e le Chiese d'Oriente

La storia dei rapporti tra il papato di Roma e le Chiese d'Oriente è comprensibile solo se si tiene conto del contesto di forte rivalità, che coinvolse le persone e le sedi patriarcali ed episcopali. Quattro sono le tappe principali:

La prima grave crisi tra papato di Roma e Costantinopoli avviene con la lotta iconoclasta, di cui abbiamo accennato sopra.

Una seconda crisi scoppia nel IX secolo, in occasione della deposizione del patriarca Ignazio e della nomina come suo successore di Fozio, inizialmente non riconosciuto da Roma. In occasione di questa diatriba, viene evocata per la prima volta la questione del Filioque.

La più grave crisi, tuttora esistente, fu il Grande Scisma del 1054, quando il legato papale Umberto di Silvacandida e il patriarca Cerulario si scomunicarono a vicenda.

Infine, ciò che segnò profondamente le coscienze e, se possiamo dire, sancì definitivamente la divisione tra Occidente ed Oriente cristiano, furono le Crociate, che portarono ad uno scontro aperto tra latini e greci e al sacco di Costantinopoli del 1204. Malgrado alcuni tentativi di riconciliazione al secondo Concilio di Lione (1276) e al Concilio di Firenze (1439), falliti in quanto semplici mosse politiche non riconosciute dalla gerarchia ortodossa, le due chiese si estraniarono sempre più l'una dall'altra. Bisognerà aspettare il 1964, quando papa Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora si scambieranno reciproci saluti e, dopo nove secoli, aboliranno le rispettive scomuniche.

La Chiesa ortodossa dal 1054 alla caduta di Constantinopoli



L’Occidente cristiano

La Chiesa d'Occidente dai Carolingi al feudalesimo

A metà dell'VIII secolo, il papato e i Carolingi intessono delle relazioni che si riveleranno vantaggiose per le due parti e cariche di conseguenze per la storia dell'Occidente europeo. Su richiesta di Pipino il Breve, Papa Zaccaria con una lettera appoggia Pipino e da il suo sostegno morale per l'eliminazione della dinastia dei Merovingi. Pipino si fa consacrare re ed, in cambio, su richiesta di papa Stefano II manda due spedizioni militari in Italia (nel 754 e nel 756) per sconfiggere i Longobardi che minacciano Roma. In queste circostanze si afferma per la prima volta un’autorità politica del Vescovo di Roma su un territorio, non ben precisato ancora nei suoi limiti, ma che si estende oltre l'ex capitale dell'Impero Romano. Questa alleanza con la nuova dinastia dei Franchi si fa ancora più marcata con il figlio di Pipino, Carlo Magno, che sancisce definitivamente i limiti del territorio di quello che sarà lo Stato Pontificio, e soprattutto estende la liturgia romana su tutti i territori del suo nuovo impero e sugli Stati satelliti (eliminando in questo modo le peculiarità liturgiche locali).



Il Saeculum obscurum

L’espressione saeculum obscurum fu coniata da Cesare Baronio negli Annales Ecclesiastici per caratterizzare come cupo e disastroso il periodo della storia del Papato che va dall'880 circa (vale a dire dalla fine dell'impero carolingio) al 1046 (cioè l'inizio della riforma gregoriana).

E’ un periodo caratterizzato dalla elezione di 48 papi (con una media di circa un Papa ogni tre anni e mezzo), anche se non tutti si caratterizzarono come figure negative: infatti alcuni furono, individualmente, uomini degnissimi, come Benedetto IV (900-903) ed un certo numero di pontefici dell'epoca degli Ottoni (dopo il 962). Ma, nel complesso, l'immagine offerta dall'episcopato romano di questo periodo non fu affatto adeguata all'importanza universale del papato. Esso era ormai arrivato ad una fase tale di decadenza da sembrare un vescovato territoriale ed insieme divenne oggetto di aspre lotte scatenate dagli interessi politici della nobiltà romana.

Con Sergio III (904-911) arrivò al potere a Roma il partito dei Tuscolani, guidato da Teofilatto, il quale per alcuni decenni, insieme alla moglie Teodora e alle figlie Teodora e Marozia e al figlio di quest’ultima, fu di fatto il vero il padrone di Roma e del papato.

In questo periodo, per la prima volta, un Papa cambiò il proprio nome: il nipote di Marozia, Ottaviano, assunse nel 955 il nome di Giovanni XII.

La complessità dei rapporti tra Chiesa e Stato nel XI-XII secolo

Il Saeculum obscurum (X secolo) è il punto più basso toccato dal papato in tutta la sua storia; il papa perde il prestigio in tutta la cristianità e diventa un burattino nelle mani delle famiglie aristocratiche di Roma. Inoltre l'insieme del mondo religioso occidentale è sottomesso al sistema feudale, che considera i monasteri e le diocesi, i titoli di abate e vescovo come semplici titoli da trasmettere in eredità, come beni di famiglia. Si sente oramai la necessità di una riforma completa della Chiesa. Come all'epoca di Costantino, sono gli imperatori germanici a prendere in mano l'iniziativa, per dare avvio a quella che, nella storia, verrà chiamata Riforma gregoriana dal nome del papa più autorevole e deciso nella riforma, Gregorio VII (XI secolo).

Il programma di riforma di papa Gregorio VII è elaborato nel Dictatus Papae, ove afferma il principio del primato del papa di Roma e del potere spirituale sull'Imperatore e il potere temporale. Spetta al papa, e non all'imperatore, nominare o deporre vescovi. In questo modo il papa entra in conflitto con l'imperatore Enrico IV in quella che è chiamata la Lotta per le investiture. La disputa, che vedrà scomuniche e deposizioni, penitenze (umiliazione di Canossa) e ritrattazioni, si concluderà con i successori dei due contendenti, papa Callisto II e l'imperatore Enrico V, che ne 1122 a Worms raggiungono un compromesso: al papa spetterà l'investitura spirituale, mentre l'Imperatore si riserva l'investitura temporale dei vescovi e degli abati.

Il conflitto riprende a metà del XII secolo, e vede l'opposizione del papa Alessandro III con l'imperatore Federico Barbarossa, che, sconfitto dai Comuni in Lombardia dovrà rinunciare alle sue pretese.



Apogeo della società cristiana occidentale nel XIII secolo

Il complesso rapporto tra Chiesa e Impero trova il suo culmine con il XIII secolo, sotto il pontificato di Innocenzo III. Costui concepisce la funzione del papato in un modo elevato. Sul piano spirituale, la sua autorità è senza paragoni e si esercita su tutta la cristianità occidentale attraverso i legati pontifici. Sul piano temporale, egli distingue tra l'auctoritas, che è propria del papa, e la potestas che i sovrani ricevono dal papa. Infatti, per diritto divino, il papa ha ricevuto direttamente da Dio i due poteri (raffigurati come due spade), ed è solo per sua benevolenza che concede il potere temporale all'imperatore, che lo governa in nome del papa.

Le lotte tra papato e impero proseguono con alterne vicende. Il papa trova modo di ingerirsi nelle vicende interne dell'impero e degli stati nascenti (soprattutto Francia). La sconfitta definitiva della casa regnante degli Hohenstaufen tedeschi e il riconoscimento del primato del papa da parte dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo (al Concilio di Lione II nel 1274) sembrano decretare la vittoria definitiva del papato, ma sono successi di breve durata. L'unione con i bizantini è rigettata alla morte di Michele VIII Paleologo, e le continue ingerenze papali negli affari di stato irritano non poco i sovrani, ed in particolare il re di Francia Filippo il Bello, che inizia una nuova e lunga querelle con il papato di Roma, ed in particolare con Bonifacio VIII.

Monachesimo e vita religiosa

Nel Medioevo il monachesimo divenne uno «stato» ecclesiale e sociale stimato e determinante, che svolse in maniera monopolistica molti compiti importanti per la vita pubblica.

Sotto il profilo ecclesiale e spirituale, i monasteri funsero da struttura ecclesiale accanto alla parrocchia, tanto potente da intaccare il potere dei vescovi. I monasteri medievali furono centri economici, specie di aziende agricole con esteso potere. Inoltre la diversa specializzazione dei monaci portava il monastero a godere di ampia autonomia in campo di previdenza, di medicina, di formazione scolastica. In alcuni casi i monasteri erano delle vere e proprie fortezze militari, come rifugio e punto di appoggio.

Le riforme monastiche dei secoli X e XI

Nel pieno del Saeculum obscurum, quasi per compensazione, sorsero una serie di centri monastici che esercitarono una straordinaria autorità morale sulla cristianità.

Il principale di essi fu Cluny, che ebbe la fortuna di avere abati longevi e validi: Bernone (910-927), Maiolo (948-994), consigliere dell'Imperatore Ottone III, Odilone (944-1048), Ugo (1049-1109), padrino dell'Imperatore Enrico IV e mediatore nella lotta delle investiture; infine Pietro il Venerabile (1122-1157), contemporaneo di San Bernardo di Chiaravalle.

Altri centri di riforma e di moralità furono le abbazie di Gorze (vicino a Metz), Hirsau, San Vittore di Marsiglia, Sant'Emmeram di Ratisbona, San Massimino di Treviri.

Le nuove fondazioni eremitiche e monastiche dei secoli XI e XII

Quasi contemporaneamente alla Riforma gregoriana, anche il paesaggio religioso e monastico fu percorso da diversi movimenti.

Il movimento eremitico toscano. San Romualdo (950-1027), nobile di Ravenna, fondò la comunità eremitica di Camaldoli, vicino ad Arezzo e un gran numero di eremitaggi in altre parti d'Italia. La sua idea madre era di unire il cenobitismo con l'eremitismo. La vita monastica comunitaria di « fondovalle » doveva costituire il presupposto spirituale, pedagogico ed economico per gli eremiti abitanti sulle « alture ». Dal monastero di Camaldoli uscirono santi riformatori come Pier Damiani e Giovanni Gualberto (990-1073), che fondò una comunità eremitica a Vallombrosa, vicino a Firenze.

Certosini. Brunone di Colonia (1032-1101), già canonico nella sua città e maestro della scuola del capitolo di Reims, visse per un certo periodo vicino a Roberto di Molesme, futuro fondatore di Citeaux. Nel 1084 fondò la Grande Certosa. I monaci vivevano in piccole casette, dove pregavano, studiavano e svolgevano il loro lavoro domestico (per lo più il giardinaggio). In comune questi monaci avevano le grandi celebrazioni liturgiche e i pasti. Vigeva come grande regola quella del silenzio, l'obbligo di una rigorosa mortificazione e una severa contemplazione.

Cistercensi. Nel 1098 Roberto di Molesme, assieme ad altri due santi, Alberico e Stefano, fondò il monastero di Citeaux presso Digione. Con l'intento di uscire dal quadro del monachesimo tradizionale e dalle usuali forme economiche e di governo, essi assunsero l'osservanza stretta della lettera della regola ed un forte rigorismo ascetico, vivevano strettamente del lavoro delle proprie mani (nel senso che non accettavano offerte di alcun genere, né chiedevano tasse), fecero proprie semplicità e purezza nell'architettura, nella vita e nella liturgia. Così i Cistercensi furono in sostanza monasteri di contadini, per il cui lavoro istituirono i fratelli laici (chiamati conversi) reclutando tra la popolazione contadina. Tra i più grandi e riconosciuti Cistercensi troviamo soprattutto Bernardo di Chiaravalle, che estese l'organizzazione di Citeaux a tutta la cristianità. Alla sua morte nel 1153 l'ordine contava 350 abbazie. Nel 1300 erano più di 700.

Premonstratensi. San Norberto di Xanten (1080-1134) fondò l'Ordine dei Premonstratensi e successivamente divenne arcivescovo di Magdeburgo. Caratteristica di questo ordine era la predicazione itinerante. E come i Cistercensi prendevano come modello gli Apostoli, così i Premonstratensi avevano come loro modello l'apostolo Paolo. Nel loro peregrinare apostolico trovavano simpatia e accoglienza e ben presto alcune donne si unirono a loro. In questo modo i loro monasteri erano doppi, maschili e femminili (come per es. a Fontevrault). Il pericolo che la missione itinerante potesse portare all'eresia, spinse il Vescovo di Laon ad offrire a Norberto il monastero di Prémontré, che, oltre a dare il nome al nuovo ordine, divenne il centro del nuovo movimento monastico.

Canonici Agostiniani. Già dai tempi di Carlo Magno erano chiamati canonici regolari quei sacerdoti di vita apostolica (dunque non monaci) che avevano la vita, l'abitazione e la mensa in comune, avevano una forma comune di abbigliamento, pregavano assieme e seguivano una regola, quella di Sant'Agostino. In genere i canonici erano preti secolari, dunque non monaci, che officiavano insieme nelle cattedrali, formando il cosiddetto capitolo delle cattedrali. Sulla spinta delle riforme del XI e XII secolo, molti capitoli delle cattedrali furono riformati, nel senso che vennero regolati sulla regola di Sant'Agostino. Altri vennero fondati col medesimo presupposto. I principali centri riformati di canonici regolari furono soprattutto in Germania, a Salisburgo, a Passau, a Frisinga. Un importante centro culturale fondato dai canonici regolari fu la Scuola di San Vittore a Parigi.



Gli Ordini mendicanti

I quattro grandi Ordini mendicanti del Medioevo furono i Domenicani, i Francescani, i Carmelitani e gli Eremitani agostiniani. Alcuni storici (H. Grundmann) vedono negli Ordini mendicanti il corrispettivo ecclesiale delle tendenze eterodosse del Movimento pauperistico dei secoli XII e XIII.

I Domenicani fondati da Domenico di Guzman (1170-1221).

I Francescani fondati da Francesco d'Assisi (1181-1226).

I Carmelitani furono fondati da Bertoldo di Calabria (morto nel 1195), che radunò sul Monte Carmelo, in Terra Santa, una colonia di eremiti, cui, nel 1207, il patriarca di Gerusalemme diede una regola, poi confermata dal Papa. Quando gli Stati crociati tramontarono, i Carmelitani si ritirarono in Europa e si trasformarono in un ordine mendicante, con l'opera di San Simone Stock (1165-1265). Con i riformatori spagnoli del XVI secolo, Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, l'ordine assunse un singolare dosaggio di vita contemplativa e di spirito apostolico.

Gli Eremitani agostiniani. Questo ordine deriva dall'azione del cardinale Riccardo Annibaldi e di papa Alessandro IV (1254-1261), che con la bolla Licet Ecclesiae catholicae del 1256 unirono d'autorità gruppi già esistenti di eremiti in un ordine costituito sul tipo di quello dei mendicanti e nell'ambito della tradizione agostiniana.

Il risveglio religioso del XII secolo



Le riforme monastiche dei secoli X-XI avevano già manifestato l'esigenza di ritornare alla povertà della Chiesa primitiva. La vita apostolica era strettamente connessa all'ideale di una vita povera di predicatore itinerante, conforme all'esempio offerto da Cristo e dai suoi apostoli. Questo desiderio, per l'influenza esercitata dal movimento crociato, favorì lo sviluppo di un vasto movimento popolare che ben presto si estese a tutto l'Occidente. L'immagine del Salvatore povero s'impresse nell'animo non solo di coloro che erano ritornati dalla Terra Santa, ma anche in chi era restato nel proprio paese e incitò gli uni e gli altri alla imitazione di Cristo. Si volle conoscere meglio il Vangelo. Monaci e chierici si dedicarono alla lettura della Sacra Scrittura; ma anche semplici laici, che desideravano ardentemente imparare a conoscere dalla Bibbia la vita di Cristo e degli apostoli, si riunirono in piccoli gruppi per ricevere insegnamenti e spiegazioni del testo sacro. Il popolo cristiano era addirittura affamato della Parola di Dio e spesso non esitava ad affrontare lunghi viaggi per ascoltare grandi predicatori come Bernardo di Chiaravalle.

In verità, era evidente il contrasto esistente fra la vita povera di Gesù Cristo e la Chiesa istituzionale del tempo. La Chiesa feudale del medioevo era ricca non solo in Germania – ove i vescovi erano principi – ma anche in Francia, in Inghilterra e in Italia. Ovunque i vescovati erano in mano di nobili o di potenti. Il clero determinava la vita spirituale ed era intimamente legato ai signori feudali.

E mentre nella società andava sorgendo una classe borghese, nella Chiesa cominciò a destarsi la coscienza del laicato, il quale volle formarsi un'opinione personale sui problemi religiosi e perciò ricorse alla Bibbia. La Chiesa non in tutti i casi ha saputo far proprie queste tendenze religiose e alcune di queste si sono rivolte contro di essa.



3.Storia del Cristianesimo, XIV-XVIII secolo – L'epoca moderna

3.Storia del Cristianesimo, XIV-XVIII secolo

La Chiesa Ortodossa

Bisanzio e la dominazione ottomana

Con la fine dell'Impero bizantino e l'inizio di quello ottomano (1453), la situazione della Chiesa Ortodossa di Costantinopoli cambia radicalmente. La fine del regno porta i fedeli cristiani a vedere nel Patriarca la vera ed unica guida: ai cristiani ridotti in schiavitù, egli appariva non solo come il successore dei patriarchi, ma anche come l'erede degli imperatori. Questo venne favorito anche dai nuovi padroni. Benché fosse vietato ogni tipo di proselitismo tra i musulmani, e a patto che i cristiani si sottomettessero al dominio del califfato e all'amministrazione politica musulmana, la chiesa ortodossa godeva di una certa libertà. Il Patriarca di Costantinopoli divenne il punto di riferimento, non solo per i cristiani, ma anche per il Sultano e l'amministrazione pubblica: egli aveva autorità su tutti i cristiani dell'Impero turco, con diritto di amministrazione, di esazione di tasse e di esercizio della giustizia. In questo modo, paradossalmente, sotto il governo musulmano, il Patriarca accrebbe il suo prestigio e la sua autorità, non solo su Costantinopoli, ma anche sugli antichi Patriarcati, ora tutti in mano ai turchi ottomani (Alessandria, Gerusalemme, Antiochia): questo permise la sopravvivenza, almeno entro certo limiti, della Chiesa Ortodossa, e favorì il monopolio greco cristiano sugli altri Patriarcati, di fatto governati dal Patriarca di Costantinopoli, e soprattutto il monopolio delle elezioni episcopali. Inoltre, nel XVIII secolo, il Patriarca di Costantinopoli soppresse l'autonomia (autocefalia) delle Chiese ortodosse serba e bulgara, arrivando così a governare lui direttamente tutti i cristiani dell'Impero Ottomano.

Circa le relazioni tra Chiesa Ortodossa d'Oriente e Chiesa latina di Roma, la debole unione ottenuta al Concilio di Firenze (nel 1439) finì non appena i Turchi occuparono Costantinopoli (1453), primo perché ai nuovi padroni non interessava una relazione con l'Occidente, e in secondo luogo perché tale unione, solo politica, era avversata dalla stessa Chiesa Ortodossa. D'ora in avanti difficili saranno le relazioni con la Chiesa di Roma, cosa che aumentò l'avversione e la distanza tra le due Chiese.

Nascita e sviluppo della Chiesa Ortodossa russa

Dopo la conversione al cristianesimo di Vladimiro il Grande (988), nei territori dell'attuale Ucraina e Russia nacque una Chiesa locale, non ancora autocefala, governata da un metropolita. Nel 1448 essa divenne autocefala, cioè indipendente, e governata da un « metropolita di tutta la Russia », residente a Mosca.

Ma parte della chiesa ucraina era sotto il controllo del re polacco, cattolico romano, che istituì un altro « metropolita di Kiev e di tutta la Russia », fedele al Papa di Roma. Da tempo vi erano tendenze verso una separazione della Chiesa ucraina da quella moscovita. Così nel 1596, a Brest-Litovsk molti vescovi ucraini, contro il parere e la volontà dei loro fedeli, accettarono l'unione con Roma. Nel 1620, venne ristabilita una gerarchia ortodossa fedele a Mosca, che qualche decennio dopo (1686), fu unita al Patriarcato di Mosca con l'approvazione di Costantinopoli.

Per quanto riguarda la Russia, con la caduta di Costantinopoli, si prese sempre più coscienza di essere l'ultimo baluardo della vera ortodossia. Nel 1510 il monaco Filoteo si rivolse al principe Basilio III chiamandolo « tsar » (imperatore) e riconoscendo in lui il Capo della Terza Roma. Nel 1547 il principe Ivan IV si fece incoronare imperatore di tutte le Russie. Lo sforzo per fare di Mosca la « terza Roma » mancava di una sanzione finale: il capo della Chiesa russa mancava del titolo di « patriarca ». La cosa fu sancita nel 1589 quando il patriarca di Costantinopoli, Geremia II, in Russia per un viaggio, su pressione dei suoi ospiti, insediò il metropolita Giobbe come « patriarca di Mosca e di tutta la Russia », titolo che venne poi confermato dagli altri patriarchi orientali.

La Chiesa russa sotto Pietro il Grande (XVII-XVIII secolo)

Il periodo di regno dello zar Pietro il Grande resta uno dei più significativi della storia della Russia. Dal punto di vista ecclesiastico, il suo regno segna la svolta verso una centralizzazione della Chiesa nelle mani del governo. Infatti:

  • nel 1700, alla morte del patriarca di Mosca Adriano, seguì un lungo periodo di sede vacante; in seguito, il sovrano, nel 1721 abolì del tutto il patriarcato e trasformò l'amministrazione centrale della Chiesa in un dipartimento dello stato, con il nome di Santo Sinodo di governo.



  • Inoltre, affidò l'amministrazione del Patriarcato ad un alto funzionario imperiale, che doveva presenziare a tutte le riunioni, e di fatto agiva come l'amministratore degli affari della Chiesa.



  • Lo zar Pietro pubblicò anche un lungo Regolamento Spirituale, che servì come base legale per ogni attività religiosa in Russia.

La chiesa ortodossa di Russia non riuscì in alcun modo a difendere i propri diritti, e accettò passivamente le riforme. Con questa politica zarista, la Chiesa di Russia entrò in un nuovo periodo della sua storia, che durò fino al 1917.

Alla lunga le conseguenze furono negative per l'Ortodossia, in virtù dell’assoluta mancanza decisionale e giurisdizionale: questo portò, per esempio, ad una sempre più diffusa secolarizzazione, che influì soprattutto sulla vita monastica, che visse un periodo di profonda crisi. Ma nell'immediato, la Chiesa ottenne qualche beneficio: l'introduzione di un sistema occidentale di istruzione religiosa e teologica, una maggiore opera di evangelizzazione nelle steppe dell'Asia, una ricca produzione di letteratura spirituale legata alle figure di grandi santi ortodossi (San Mitrofane di Voronezh, morto nel 1703; San Tikhon di Zadonsk, morto nel 1783; Platone Levshin, metropolita di Mosca, morto nel 1803). Tutti i tentativi di sfidare il potere dello zar sulla chiesa, tuttavia, incontrarono sempre il fallimento. Il metropolita di Rostov, che si oppose alla secolarizzazione delle proprietà della chiesa da parte dell'Imperatrice Caterina la Grande, fu deposto e morì in prigione (1772).

La Chiesa cattolica

La crisi del Papato tra XIV e XV secolo

Con la fine del 1200 e l'inizio del 1300 il Papato, che meno di un secolo prima, con Innocenzo III aveva raggiunto il suo apogeo, entra in crisi, per una forte decadenza del prestigio e dell'autorità papale causata dalle vicende dei secoli XIII e XIV. Alcuni storici vedono in queste vicende storiche i prodromi della rivolta luterana. In particolare furono quattro i motivi della crisi del Papato in questi due secoli:

  1. la lotta tra Bonifacio VIII e il re francese Filippo il Bello (1296-1303);

  2. l'esilio del papato ad Avignone (1309-1377);

  3. lo Scisma d'Occidente (1378-1417);

  4. la decadenza del Papato nell’età rinascimentale.


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