Storia del Cristianesimo



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Annunciazione

Annunciazione a Maria

L'annunciazione a Maria inaugura la "pienezza del tempo" (Gal 4,4), cioè il compimento delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà "corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9). La risposta divina al suo: "Come è possibile? Non conosco uomo" (Lc 1,34) è data mediante la potenza dello Spirito: "Lo Spirito Santo scenderà su di te" (Lc 1,35).

La missione dello Spirito Santo è sempre congiunta e ordinata a quella del Figlio (cfr. Gv 16,14-15). Lo Spirito Santo, che è "Signore e dà la vita",[1] è mandato a santificare il grembo della Vergine Maria e a fecondarla divinamente, facendo sì che ella concepisca il Figlio eterno del Padre in un'umanità tratta dalla sua.

Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è "Cristo", cioè unto dallo Spirito Santo (cfr. Mt 1,20; Lc 1,35), sin dall'inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori (cfr. Lc 2,8-20), ai magi (cfr. Mt 2,1-12), a Giovanni Battista (cfr. Gv 1,31-34), ai discepoli (cfr. Gv 2,11). L'intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque "come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e potenza" (At 10,38).

(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 484-486)

L'Annunciazione a Maria è narrata in Lc 1,26-38: l'Angelo Gabriele annuncia a Maria che da lei nascerà Gesú.

L'intento del brano è eminentemente cristologico, ma da questo senso primario derivano alcune implicanze mariologiche:



« Con pochi tratti [..] e con timore riverenziale quasi muto, viene delineata un'immagine insondabile di Maria... Tutta la pericope è composta in funzione del messaggio cristologico, al quale Maria umilmente risponde con disponibilità totale. »

(HEINZ SCHÜRMANN, Il vangelo di Luca, Paideia, Brescia, 1983, vol. 1, p. 130)

Significato

Il racconto dell'Annunciazione costituisce un vertice teologico del Nuovo Testamento. Esso descrive in modo semplice l'incarnazione del Figlio di Dio.

Il racconto, pur non formulando l'idea della preesistenza del Verbo, riesce tuttavia a "fondare cristologicamente la messianicità e la "figliolanza divina" di Gesù". L'azione creatrice dello Spirito Santo rende realmente presente nel grembo verginale di Maria il "Figlio dell'Altissimo".

Contesto e genere letterario

L'annuncio a Maria è redatto in forma simmetrica con quello a Zaccaria, tanto che gli studiosi parlano di un doppio pannello, di un dittico degli annunzi .

Alcune differenze sono tuttavia significative, che il caratteristico parallelismo lucano mette in evidenza facendo notare il netto contrasto:



  • per Zaccaria l'evangelista aveva semplicemente detto che l'angelo "apparve";

    • qui invece viene sottolineata l'iniziativa di Dio con l'espressione "fu mandato da Dio": si prepara un evento fondamentale della storia della salvezza;



  • Zaccaria era membro della classe sacerdotale;

    • Maria è invece un'umile fanciulla;



  • l'apparizione a Zaccaria era avvenuta nel centro spirituale del giudaismo, nel tempio di Gerusalemme, e nel momento culminante della liturgia quotidiana;

    • Maria riceve l'annuncio nell'oscuro villaggio di Nazaret, mai nominato nelle Scritture;



  • Zaccaria rimane turbato alla visione dell'angelo;

    • Maria rimane turbata dall'annuncio che ascolta;



  • Zaccaria rimane incredulo alle parole dell'angelo;

    • Maria dice il suo sì umile e gioioso.

Il confronto tra i due racconti mette in evidenza subito la superiorità di Gesù.

Il genere letterario dei due racconti è identico, e si rifà agli schemi veterotestamentari degli annunzi. L'evento viene così inquadrato nel linguaggio sacro dei "racconti", "annunzi di Vocazioni" o secondo lo "schema di alleanza".







Temi significativi

L'identità del figlio che viene annunciato

In due momenti successivi le parole dell'angelo stabiliscono l'identità del figlio che nascerà da Maria.



  • Nei vv. 31-33 l'angelo annunzia chiaramente a Maria la maternità messianica a cui ella è chiamata, e lo fa (vv. 31) rifacendosi alla profezia di Is 7,14).

Mentre in Mt 1,21 l'incarico di dare il nome a Gesù è affidato a Giuseppe, qui è dato a Maria.

Il nome "Gesù" significa "YHWH salva" è stabilito da Dio, dalla cui iniziativa dipende la sua futura missione di salvezza.

Del figlio di Maria l'angelo dice che "sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo" (v. 32). A Zaccaria l'angelo aveva annunciato che Giovanni sarebbe stato "grande davanti al Signore" (1,15), di Gesù dice invece che "sarà grande" in senso assoluto, perché "sarà chiamato" (l'espressione è un semitismo per dire "sarà") "Figlio dell'Altissimo", cioè Messia sin dal primo istante della sua esistenza, per elezione divina.

I vv. 32a-33 rievocano poi la celebre profezia di Natan a Davide, profezia concernente la promessa di un trono eterno, cioè di una discendenza regale, che sarebbe durata per sempre (2Sam 7,12-16).



  • Dopo l'obiezione di Maria (v. 34), l'angelo dà un altro elemento rivelatire dell'identità del figlio: "Colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio"[4] (v. 35). La concezione verginale (cfr. vv. 34-35) e la nascita santa non sono certamente la causa della filiazione divina di Gesù, tuttavia servono a manifestarla pedagogicamente alla Chiesa: di fatto Gesù sarà riconosciuto Kyrios e Figlio di Dio a partire dalla sua glorificazione pasquale, quando, secondo le parole di San Paolo, viene "costituito Figlio di Dio con potenza secondo Spirito di santificazione" (Rm 1,4). Tale riconoscimento pasquale è anticipato nella riflessione teologica della Chiesa al momento del Battesimo di Gesù, e poi, come appare qui, fin dal suo concepimento. Giovanni poi approfondisce la verità della preesistenza del Cristo quale Verbo di Dio sin dall'eternità, e il suo farsi carne, fissando la sua tenda fra gli uomini (Gv 1,14).

L'espressione "sarà chiamato" (v. 33) è un semitismo, e significa semplicemente "sarà". Gesù quindi è "Figlio di Dio". Egli non nasce da un rapporto normale tra Giuseppe e Maria, ma per intervento diretto di Dio, che ben a ragione egli chiamerà "Padre mio"[5]. Anche come uomo non poteva avere due padri, ma era esclusivamente Figlio di Dio. La sua nascita verginale esprime per i credenti il suo rapporto specialissimo con il Padre ed è segno della sua filiazione divina[6]. Per il fatto che anche la sua origine umana è dovuta all'attività creatrice di Dio emergerà meglio che la sua missione dipende unicamente dalla libera iniziativa di Dio.

Il senso dell'espressione "Non conosco uomo"

All'annuncio del concepimento del re discendente di Davide (v. 31-33) Maria risponde all'angelo: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo" (v. 34).

Nello schema biblico degli annunzi l'obiezione di colui che riceve l'annuncio rappresenta un elemento normale. C'è da capire quindi se si tratta di un semplice passaggio redazionale oppure d'una reale difficoltà o richiesta di spiegazione avanzata da Maria. Al riguardo le opinioni sono discordanti.

L'interpretazione tradizionale è che Maria avesse fatto un voto di verginità. Tale interpretazione è ritenuta oggi arbitraria e anacronistica.

Numerosi esegeti, soprattutto cattolici, interpretano la risposta di Maria come l'espressione della sua intenzione di restare vergine, nonostante il suo sposalizio con Giuseppe. Il senso dell'obiezione in tal caso sarebbe: "Come posso diventare la madre del Messia dal momento che ho deciso di non averrapporti sessuali con Giuseppe?". Si ammette che volesse contrarre il matrimonio con Giuseppe, ma con la ferma intenzione, cioè con il proposito, di nonconsumarlo.

Questa determinazione sembra a prima vista assurda nell'ambiente giudaico, dove la verginità non era apprezzata e la mancanza di prole era considerata una vergogna, un castigo di Dio. Ci si domanda come possa Maria, una fanciulla di tredici anni circa (l'età del matrimonio in Israele), essere pervenuta a una tale decisione, dal momento che ogni donna ebrea allora aspirava alla maternità, anche per dovere religioso, cioè per non ritardare la nascita del Messia con il proprio disimpegno.

Alcuni dati però aprono spiragli sulla possibilità di pensare a una vita di astinenza sessuale:


  • a Qumràn gli esseni praticavano il celibato come forma di purificazione in prepararazione alla venuta del regno di Dio, e lo stesso facevano delle donne;

  • i sacerdoti erano tenuti ad astenersi dai rapporti matrimoniali prima delle celebrazioni liturgiche;

  • l'astensione temporanea è descritta in altri passi della Bibbia come esigenza spirituale per qualche missione;

  • San Paolo consiglia la verginità come condizione migliore del matrimonio per una consacrazione totale al Signore (1Cor 7,25-27).

Tenendo conto dei particolari carismi di cui era certamente dotata Maria, numerosi esegeti affermano che ella giunse alla determinazione di consacrare interamente la sua vita a Dio, rinunciando alle gioie della maternità, per una particolare illuminazione dello Spirito Santo, per amore a Dio. La risposta dell'angelo, con la menzione dello Spirito Santo (v. 35), si colloca in quest'ordine di idee.

Più sopra (v. 27) l'evangelista aveva presentato Maria come "vergine", e ora Maria manifesta l'intenzione di non avere rapporti matrimoniali.



« Ella protesta di non conoscere non un uomo, ma nessun uomo. [..] Il testo fa senz'altro pensare a una situazione particolare di Maria, a un suo rifiuto o a una sua impossibilità di avere un figlio, nonostante che sia già sposata. »

(Ortensio da Spinetoli, Luca. Il Vangelo dei poveri, Cittadella, Assisi 1982, p. 73s.)

Il verbo "non conosco", d'altronde, è "un presente di stato", come quando diciamo: "non bevo", "non fumo". È quindi un proposito quello che Maria esprime.

Altri commentatori interpretano l'obiezione di Maria in riferimento alla sua situazione di promessa sposa: in tale situazione i rapporti sessuali, pur legittimi, erano considerati sconvenienti. Maria avrebbe frainteso le parole dell'angelo, pensando di dover diventare subito madre del Messia; avrebbe capito il "concepirai" come "tu stai concependo" oppure "tu hai già concepito". Obbietterebbe cioè: "Poiché io non sono ancora stata introdotta nella casa di mio marito e non ho avuto alcun rapporto sessuale, e, come fidanzata, neanche nel prossimo futuro [..] ne avrò", come posso diventare madre del Messia?

Altri esegeti ancora rifiutano entrambe le spiegazioni precedenti a causa dei loro presupposti psicologici o storicizzanti. Per essi l'obiezione di Maria costituisce semplicemente un elemento redazionale, previsto negli schemi degli annunci; Luca se ne sarebbe servito per approfondire l'identità del nascituro e non per descrivere la situazione psicologica e storica di Maria; l'evangelista non intendeva trasmettere il dialogo tra l'angelo e Maria come da registrazione: effettua solo un montaggio redazionale, secondo il modello letterario degli annunzi, che "prevede un'obiezione da parte di colui che riceve la visione". Con l'artificio del dialogo l'evangelista non vuole rilevare l'atteggiamento psicologico di Maria, ma piuttosto l'ascendenza davidica e la filiazione divina di Gesù: Dio con un intervento diretto, con un atto creativo rende fecondo il grembo verginale di Maria. Viene così sottolineata l'origine soprannaturale di Gesù.

Altri dettagli esegetici



v. 26-27 Nel sesto mese

Le prime parole collegano strettamente il racconto con quello precedente dell'annuncio a Zaccaria (1,5-25): sia l'indicazione cronologica precisa - l'angelo è mandato da Dio al sesto mese dall'annuncio a Zaccaria - sia la presenza dello stesso angelo stabiliscono da subito la connessione logica dei due racconti.



da Dio

Gabriele è inviato "da parte di Dio"; 1,45 rimanderà al mittente dell'annuncio.



una città della Galilea

Per Luca la Galilea è il teatro della prima parte del ministero di Gesù.



a Nazareth

Nazareth era una città senza nessuna importanza; non è nominata né nell'Antico Testamento, né in Giuseppe Flavio, né nella letteratura talmudica; la sua poca importanza potrebbe essere diventata proverbiale (cfr. Gv 1,46).



a una vergine

Di Maria si dice che è una "vergine" (παρθένος, parthénos); il termine è ripetuto due volte in questo versetto, forse per alludere in anticipo alla concezione verginale di Gesù, ma anche per indicare che Maria non aveva ancora celebrato le nozze per la coabitazione con Giuseppe (μεμνηστευμένην, memnesteuménen, "promessa sposa"; cfr. Mt 1,18).



promessa sposa di un uomo della casa di Davide

Giuseppe appartiene alla casa di Davide: secondo la mentalità del tempo, l'ascendenza davidica di Gesù dipendeva solo dal padre, ancorché, come nel caso di Giuseppe, "padre putativo". In nessun luogo del Nuovo Testamento di afferma che Maria appartenesse alla stirpe di Davide; anzi, la sua parentela con Elisabetta (1,36) potrebbe indicare la sua origine levitica, ma la cosa resta incerta.



si chiamava Maria

Il nome Maria (Μαριάμ, Mariám) era molto comune in Israele, dove ha la forma Myriam. È il nome di Miriam, la sorella di Mosé e Aronne (Nm 25,59). Una leggenda ebraica accenna ad un'apparizione angelica a questa Myriam[11], e qualche esegeta crede che se ne debba tener conto come parallelo possibile al racconto dell'annunciazione.

L'etimologia è oscura, ma il significato più probabile è quello di "signora", "principessa", "padrona"; si è supposta anche una derivazione dalla radice rûm, "essere elevato".

v. 28 Rallegrati

L'angelo era apparso a Zaccaria e non l'aveva salutato; ora, invece, saluta Maria con parole ossequienti e misteriose. Sembra che ogni elemento dell'espressione usata da Gabriele trascenda il significato normale di semplice cortesia, e che implichi una connotazione messianica, tanto da provocare un turbamento in Maria.

"Rallegrati" (Χαῖρε, Chaîre) non significa soltanto "ave" o "ti saluto". Il saluto ebraico era שָׁלוֹם, shalòm, "pace", che, nel Nuovo Testamento, viene reso normalmente con la parola greca eirène, "pace". È probabile che il saluto dell'angelo a Maria non connoti il consueto shalòm, ma renda l'ebraico ronnì ("rallegrati") o ghelì ("esulta"), alludendo agli inviti messianici, rivolti da Dio a Israele, impersonato dalla città di Sion, per la venuta imminente del Signore in mezzo ad esso. L'evangelista ha presenti le profezie di Sof 3,14 ("Rallégrati, figlia di Sion", in ebraico: Ronnì bat Ṣion), di Zc 9,9 ("Esulta grandemente, figlia di Sion", Ghelì meòd bat Ṣion), o di Gl 2,21). Maria rappresentava la nuova Gerusalemme (bat Ṣion, "figlia di Sion") nel cui grembo Dio fissava la sua dimora; cfr. anche Sof 3,15, "Il Signore è in mezzo a te", in ebraico YHWH beqirbèk, che nel v. 31 è reso con "concepirai nel seno".

piena di grazia

L'espressione traduce κεχαριτωμένη, kecharitoméne: tale parola esprime la pienezza di grazia con cui Dio aveva arricchito Maria, tutto il cumulo di benedizioni elargite alla madre del Messia. Letteralmente il termine significa "favorita", "privilegiata". Ma i verbi greci in òō denotano una trasformazione del soggetto: "charitòo non significa perciò solo guardare con favore, ma trasformare mediante questo favore o grazia". C'è da osservare qui che l'esegesi protestante sottolinea la grazia nella sua fonte, cioè nell'iniziativa di Dio, più che nel suo effetto in Maria. Il titolo kecharitoméne esprime l'elezione, la predestinazione alla maternità del Messia; esso "anticipa per grazia e in modo reale ed effettivo ciò che viene promosso dopo: la grazia di Dio prepara la madre vergine del Messia": ciò è confermato dal perfetto passivo, che esprime l'effetto della grazia in Maria, il cumulo di doni con cui fu arricchita. Keckaritoméne, poi, indica una propensione, un desiderio profondo in Maria della verginità, ispiratole dalla grazia, per prepararla alla maternità verginale.



il Signore è con te

L'espressione (in greco ὁ Κύριος μετὰ σοῦ, ho Kýrios metà soû) va inteso in senso pregnante. L'espressione ricorre spesso nell'Antico Testamento, ed è associata all'assistenza che Dio garantisce alla persona interpellata per una missione. L'angelo rassicura Maria, perché il Signore le è vicino con il suo aiuto.



v. 29 fu molto turbata

Maria non si turba come Zaccaria per la comparsa dell'angelo (1,12), bensì per le parole misteriose da lui pronunciate. Il fatto che Maria, secondo la descrizione di Luca, non si lasci sopraffare dall'emozione, ma che riesca a riflettere sul significato del saluto angelico, dimostra il perfetto equilibrio delle sue facoltà.

Il turbamento rientra come elemento strutturale negli annunzi; ma ora Luca conferisce ad esso una dimensione messianica, esaltando nel contempo la figura di Maria.

si domandava

L'espressione (διελογίζετο, dieloghízeto, verbo all'imperfetto) esprime un'azione ponderata. Con questi accenni, anche se non oggettivi sotto il profilo storico, Luca "intende presentare Maria nella sua semplice e umile riservatezza e nella sua spirituale assennattezza"[15].



v. 30-33

Dopo il saluto, l'angelo inizia a comunicare il messaggio, che contiene l'annuncio della nascita del Messia. Il linguaggio è solenne, sacro; i vv. 30-33 sono strutturati in quattro distici armoniosi e bilanciati, conformi allo stile poetico semitico.



v. 35

L'angelo chiarisce a Maria come concepirà il Messia senza rapporto con uomo, ma per l'intervento diretto dello Spirito Santo.



Lo Spirito Santo scenderà su di te

Il ruolo creativo dello Spirito per il concepimento verginale di Gesù, annotato anche in Mt 1,20, è un dato della Tradizione più antica. L'espressione "Spirito Santo" non indica qui necessariamente la terza persona divina, ma l'onnipotenza (δύναμις, dýnamis) creatrice di Dio, che renderà feconda Maria. Si può affermare ciò in ragione di vari elementi:

dalla struttura sinonimica della frase;

dal fatto che l'espressione "Spirito Santo" non è preceduta dall'articolo.

L'espressione si riferisce quindi a un attributo divino, alla sua forza, con una probabile allusione allo spirito di Dio (ruah ʾElohìm in ebraico) che "aleggiava sulle acque" del caos primitivo nella creazione del cosmo (Gen 1,2).

e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra L'espressione "ti coprirà con la sua ombra" è un richiamo alla nube che coprì la tenda del convegno, cioè alla "Gloria del Signore [che] riempì la Dimora" (Es 40,35) alla sua inaugurazione. Maria diviene l'arca vivente, la dimora di Dio nel senso più reale.

C'è anche una certa assonanza tra il verbo greco episkiàzein, "adombrare" e l'ebraico shakàn, dal quale deriva anche l'uso rabbinico del termine shekinàh al posto del nome di Dio per indicare l'Altissimo, la Dimora, il Luogo santo. Il medesimo verbo (ἐπεσκίασεν, epeskíasen, "coprì") ricorre nella trasfigurazione, in riferimento alla nube indicante la presenza di Dio che avvolge i tre discepoli (Lc 9,34).

Al momento dell'annunciazione, Dio prende veramente possesso del grembo di Maria, che diviene la sua dimora vivente, quale figlia di Sion, cioè rappresentante del nuovo popolo eletto.



v. 30 Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio

Gabriele rassicura Maria, secondo lo schema del genere letterario degli annunci; poi la chiama per nome, "Maria", dimostrando la sua conoscenza soprannaturale; infine le garantisce il favore divino, "hai trovato grazia presso Dio".



v. 36-37 Ed ecco, Elisabetta, tua parente...

L'angelo offre spontaneamente a Maria un segno. Anche questo elemento rientra nello schema degli annunzi. Si nota tuttavia la differenza tra l'atteggiamento incredulo di Zaccaria (v. 18) e l'umile adesione di fede da parte di Maria, che non aveva esigito nessun segno, ma si fidava pienamente della Parola di Dio.



v. 38 Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola

Maria esprime il suo consenso incondizionato, offre la sua disponibilità totale, dichiarandosi "serva del Signore" (δούλη Κυρίου, doúle Kyríou); si tratta di un'espressione carica di risonanze dell'Antico Testamento: essa colloca la Vergine sulla scia dei giusti che nella storia della salvezza sono stati scelti per una missione speciale in favore del popolo eletto. Maria "esprime nella maniera più elevata la passiva disponibilità unita all'attiva prontezza, il vuoto più profondo che s'accompagna alla più grande pienezza".



Avvenga

Il termine traduce l'ottativo greco γένοιτό, ghénoitó, che implica una sfumatura di disponibilità umile e pronta, che non si può rendere in italiano.

Maria era stata denominata dall'angelo con il titolo onorifico di kecharitoméne ("piena di grazia") e poi Maria, il suo nome familiare. Ora ella chiama se stessa "serva" o meglio "schiava", assumendo l'atteggiamento del Servo di YHWH.

Maria, autentica "figlia di Sion", rinnova il rapporto sponsale tra YHwH e il suo popolo, e offre il suo assenso responsabile per la svolta decisiva della storia della salvezza, per l'attuazione del progetto divino. Il suo fiat rievoca il "sì" del popolo d'Israele all'alleanza del Sinai (Es 19,8; 24,3-7). Il suo servizio le costerà molte sofferenze, ma si tratterà d'una schiavitù d'amore, ricolma di benedizioni e di consolazioni divine.



E l'angelo si allontanò da lei

È il consueto ritornello della partenza del messaggero tipico dello schema dell'annuncio.



Nell'arte

L'Annunciazione è, per l'arte, uno dei temi più affascinanti dell'intero Vangelo di Luca.

È un soggetto in cui si mescolano mistica e realismo, e bene si presta ad essere inserito sia nei cicli di pitture dedicate a Maria, sia come scena isolata.

La facile divisione delle immagini dell'Annunciazione in due sezioni ha favorito la diffusione del tema sul retro delle ante mobili di trittici o altari a sportelli.

La sensibilità dei pittori e degli scultori ha saputo cogliere di volta in volta le reazioni psicologiche di Maria, la natura affascinante dell'Arcangelo, la volontà di Dio, l'arredo, i dettagli descrittivi carichi di particolare simbologia.

Gesù nella storiografia moderna

A partire dal Settecento, con lo svilupparsi del moderno metodo storico-critico, numerosi studiosi hanno cercato di ricostruire e interpretare la figura storica di Gesù. È possibile distinguere più fasi.

La prima fase (first quest) inizia alla fine del Settecento con Reimarus ed è caratterizzata dall'utilizzo delle metodologie dell'epoca per cercare di distinguere elementi storici ed elementi mitologici. Questa fase termina tradizionalmente all'inizio del Novecento con l'opera di Schweitzer, che evidenzia la frammentarietà dei risultati conseguiti.

Segue quindi una fase di calo di interesse per la ricerca storica su Gesù, nella quale viene comunque proposto (Bultmann) di filtrare il linguaggio delle fonti antiche, tenendo conto del contesto del tempo e della natura teologica degli scritti.

La ricerca riprende slancio alla metà del XX secolo (new quest): si cerca di conciliare le diverse nature di Gesù, ma si è ancora concentrati sui vangeli canonici.

Lo studio sulla figura di Gesù si è quindi ampliato notevolmente negli ultimi decenni, estendendo la base documentale e considerando anche testi quali i vangeli apocrifi e i manoscritti non biblici di Qumran. Questa nuova fase (third quest) si caratterizza inoltre per l'interesse e l'attenzione posti nell'analisi del contesto storico e sociale del tempo.

Le varie correnti di pensiero sul Gesù storico possono oggi essere raggruppate con larga approssimazione in quattro filoni principali, qui elencati progressivamente da una maggiore a una minore pretesa di storicità:

Secondo alcuni studiosi e confessioni cristiane di stampo fondamentalista (tra le quali la cattolica Scuola esegetica di Madrid), i vangeli rappresentano dei fedeli resoconti storici della vita e dell'operato di Gesù. Eventuali discordanze interne, tra i racconti evangelici o con fonti storiche non cristiane, a un esame approfondito possono essere spiegate e appianate in vario modo.


  • Secondo la Chiesa cattolica e la maggior parte delle Chiese protestanti, le quali non accettano la completa inerranza biblica, i vangeli non sono vere e proprie biografie di genere storico, ma sono racconti principalmente teologici, fondati comunque su solide basi storiche, redatti dalla Chiesa del I secolo col non secondario intento di dare una risposta alle situazioni problematiche che si trovava ad affrontare (di qui il concetto di Sitz im Leben, "situazione di vita").



  • Secondo molti storici non cristiani, e alcuni teologi e biblisti cristiani, seppure caratterizzati da notevoli differenze nei presupposti e nelle conclusioni della ricerca, le fonti evangeliche non sarebbero totalmente attendibili: sarebbe perciò effettivamente esistito all'inizio del I secolo un predicatore ebreo itinerante chiamato Gesù (nome comune all'epoca), un uomo di grande levatura morale, secondo alcuni un Esseno o un Nazireo, che avrebbe terminato in croce la sua esistenza. La comunità dei suoi credenti lo avrebbe poi esaltato, attribuendogli miracoli e prodigi. Per risalire al vero Gesù storico occorre pertanto "demitizzare" i vangeli, privandoli delle aggiunte e reinterpretazioni attuate dai suoi fedeli. Secondo alcuni di questi studiosi Gesù sarebbe «un uomo trasformato in un dio».



  • Altri studiosi privano di qualunque valore storico i vangeli, negando in più casi la stessa esistenza storica di Gesù e relegandolo alla sfera del mito.



  • La cosiddetta "corrente mitica" sostiene infatti - all'opposto della corrente storica - che Gesù sarebbe «un dio trasformato in un uomo»: leggende e miti preesistenti all'anno zero sarebbero stati applicati ad un predicatore ebreo in realtà mai esistito.





Ricerca sul Gesù storico

La ricerca storica su Gesù ha come scopo quello di risalire al cosiddetto "Gesù storico", cioè a determinare le effettive e reali caratteristiche della persona, della vita e del messaggio del predicatore palestinese che la tradizione cristiana ha identificato come il messia atteso dalla tradizione veterotestamentaria e il Figlio di Dio fatto uomo.

Dato che le principali fonti storiche analizzate sono i Vangeli, che sono opere fondate storicamente ma redatte con precisi intenti teologici, il lavoro storiografico (basato sul metodo storico critico) è strettamente legato a determinati criteri ermeneutici e, spesso, con i pregiudizi-preconcetti dei ricercatori che si accostano ai testi evangelici. Per questo i risultati della ricerca, iniziata nel XVIII secolo e tuttora in corso, non sono univoci e hanno prodotto diverse immagini (talvolta contrastanti) di quello che dovrebbe essere il Gesù storico. Una corrente minoritaria di studiosi ha negato a Gesù l'esistenza storica, considerandolo un mito storicizzato dai primi cristiani (mito di Gesù). Nonostante la pretesa oggettività della ricerca, le conclusioni degli studiosi circa la vita e il ministero di Gesù non sono concordi e unanime:

a un estremo, alcuni studiosi vedono Gesù come un riformatore morale che ha cercato, fallendo, di riformare e migliorare la società del tempo, pur senza pretese propriamente politiche e rivoluzionarie

all'altro estremo, altri studiosi vedono Gesù come un entusiasta profeta apocalittico che ha annunciato un mondo futuro e migliore.

La tradizione cristiana si colloca in una equilibrata posizione intermedia, riconoscendo nell'opera di Gesù il "già" dell'inizio del Regno e allo stesso tempo il "non ancora" dell'attualizzazione futuro del Regno grazie alla sua risurrezione.

Fonti storiche

Non esistono riferimenti archeologici diretti (come epigrafi) riferibili con assoluta certezza alla vita e all'operato di Gesù. Il più antico artefatto archeologico potenzialmente a lui correlabile è la cosiddetta Iscrizione di Nazaret: in questa lapide databile attorno alla metà del I secolo e ritrovata nel 1878 a Nazaret viene punita, da parte dell'autorità romana, la profanazione dei sepolcri e lo spostamento dei cadaveri in essi contenuti. È possibile, ma non sicuro, che questa direttiva fosse collegata all'accusa rivolta ai primi cristiani di aver trafugato il corpo di Gesù sostenendone la risurrezione (Mt28,11-15).



Le fonti testuali relative a Gesù possono essere raggruppate in quattro tipologie:

  • le lettere paoline, poi incluse nel Nuovo Testamento: scritte approssimativamente tra il 51 e il 63 da Paolo di Tarso, che non conobbe direttamente Gesù, rappresentano i documenti noti più antichi, ma non contengono dati biografici su Gesù che possano risultare utili per studiarne la figura storica. Sono tuttavia testimonianza di come venisse descritto il personaggio Gesù alle più antiche comunità cristiane.



  • i quattro vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni). Secondo una parte degli storici tali scritti sono giunti alla forma attuale nella seconda metà del I secolo, dopo essere stati redatti in più versioni e preceduti da una decennale tradizione orale o di appunti scritti, mentre per altri avrebbero raggiunto la loro forma definitiva, sempre a seguito di diverse redazioni, solo intorno alla metà del II secolo. Raccontano dettagliatamente la vita pubblica di Gesù, cioè il periodo della predicazione negli ultimi anni della sua vita, mentre sulla sua vita privata precedente forniscono scarne informazioni. Rappresentano i principali documenti sui quali converge il lavoro ermeneutico degli storici. In epoca moderna si sono sviluppate differenti correnti di pensiero circa l'effettiva attendibilità dei vangeli e la storicità di Gesù;



  • i vangeli apocrifi. Generalmente non sono accolti dagli studiosi come fidati testimoni del Gesù storico (data la composizione tarda, a partire dalla metà del II secolo, sono al più utili per ricostruire l'ambiente religioso dei secoli successivi a Gesù), anche per il genere letterario favolistico-leggendario che contraddistingue gran parte delle loro narrazioni. La loro testimonianza è variegata:



    • i cosiddetti vangeli dell'infanzia (quali il Tommaso e il Matteo) presentano un carattere abbondantemente e gratuitamente miracolistico che sfocia spesso nel magico-fiabesco, in netto contrasto con la sobrietà dei quattro vangeli canonici. Gesù appare come un bimbo prodigio, talvolta capriccioso e vendicativo;



    • i vangeli gnostici (tra i quali il Giacomo, il Filippo e il Tommaso), contenenti prevalentemente rivelazioni private e inedite espresse in raccolte di loghia (detti), dipingono Gesù come una particella di divino intrappolata nella carne, insegnante ad abbandonare la carne e la materialità per raggiungere la salvezza;



    • i cosiddetti vangeli della passione (ad esempio Pietro, Nicodemo) non aggiungono molto alle descrizioni della passione contenute nei vangeli canonici, caratterizzandosi però con l'intento di discolpare Ponzio Pilato e far ricadere la colpa della morte di Gesù sulle autorità religiose e sul popolo ebreo;



  • fonti storiche non cristiane su Gesù. In alcune opere di autori antichi non cristiani si trovano alcuni sporadici accenni a Gesù o ai suoi seguaci, il più antico dei quali è il cosiddetto Testimonium Flavianum. Le informazioni fornite da tali fonti non sono di particolare aiuto nell'indagine su Gesù, limitandosi prevalentemente a confermare la sua esistenza.

Metodo

La metodologia di ricerca usata per risalire al "Gesù storico" è il metodo storico critico, che comprende un insieme di principi e criteri filologici ed ermeneutici sviluppati a partire dal XVII secolo. Validi in ogni campo, non solo per i vangeli e la figura di Gesù, tali criteri mirano a ricostruire la lezione originaria di un testo, allorquando se ne sono tramandate diverse varianti, e a valutare il contenuto storico della narrazione del testo.



Metodo storico critico

Con metodo storico critico si intende l'insieme di principi e criteri, propri della filologia e dell'esegesi (o ecdotica), che cerca di valutare la lezione originaria di un passo biblico (laddove i manoscritti siano discordanti) e il valore storico di un testo.





Principali criteri

Di seguito sono elencati i principali criteri su cui si basa il metodo storico critico[1].



  • criterio d'imbarazzo (Schillebeeckx) o di contraddizione (B.F. Meyer)

difficilmente la Chiesa primitiva avrebbe ideato e messo per iscritto elementi che mettono in cattiva luce i suoi protagonisti o il suo operato. Per esempio, il battesimo di Gesù da parte del Battista, che lo subordina a lui, o il rinnegamento di Pietro, che mette in cattiva luce il capo della Chiesa;

criterio di discontinuità

  • relativo a informazioni che sono in contrasto col contesto dell'autore. Per esempio, difficilmente la Chiesa avrebbe inventato la proibizione di Gesù del giuramento o del ripudio, poiché sono insegnamenti in discontinuità con le normative religiose e la prassi dell'epoca;



  • criterio della molteplice attestazione

difficilmente un evento o detto narrato da autori diversi in modalità e contesti diversi può essere frutto di una molteplice e indipendente invenzione. Per esempio, la nascita di Gesù a Betlemme (variamente affermata da Mt, Lc e Gv) o la descrizione dell'Ultima Cena (sinottici e 1Cor);

  • criterio della coerenza

un detto o fatto è tanto più storicamente verosimile quanto più è in accordo e congruente con i dati preliminari. Per esempio, la nascita di Gesù in occasione del censimento "su tutta la terra" di Augusto verso gli ultimi anni del regno di Erode (†4 a.C.) è compatibile con indicazioni storiche romane che datano un suo censimento all'8 a.C.;

  • criterio del rifiuto

Gesù terminò in modo violento e conflittuale il suo ministero poiché si pose in contrasto con la società e i capi dell'epoca. Può essere considerato una variante del criterio di discontinuità;

  • criterio degli indizi aramaici (Jeremias)

una frase o un termine che richiama parole o strutture aramaiche, cioè conformi al contesto vitale degli eventi narrati, ha un maggiore grado di probabilità di essere un dato originale e non un'elaborazione personale degli autori. Per esempio, i semitismi dello stile di Mc o alcuni detti in aramaico in esso contenuti;

  • criterio dell'ambiente palestinese

simile nella sostanza al criterio precedente e al criterio di coerenza, afferma la storicità di indicazioni delle fonti che sono in accordo con usi e tradizioni sociali, giudiziali, politiche, economiche, commerciali, culturali della Palestina del I secolo;

  • criterio della vivacità della narrazione (Taylor)

l'indicazione di dettagli non rilevanti per l'intento principale del racconto difficilmente può derivare dalla, per così dire, inutile fatica creativa del narratore, ed è verosimile che abbia un fondamento storico;

  • criterio delle tendenze di sviluppo della tradizione sinottica (Bultmann)

talvolta in antitesi e controparte del precedente, presuppone che col tempo la narrazione orale e/o scritta si sia precisata di particolari e ampliata su alcuni punti, per cui ampliamenti e amplificazioni possono essere considerati elaborazioni successive. Per esempio, i "molti" malati guariti da Gesù in Mc 1,34 diventano "tutti" nel parallelo e più tardivo Mt 8,16;

  • criterio della presunzione storica (McEleney)

partendo dal presupposto che i resoconti antichi sono redatti da testimoni degli eventi, afferma che l'onere della prova per rigettare informazioni da essi fornite è a carico dei detrattori: in dubio pro traditio. Nella sostanza questo criterio coincide col principio di falsificabilità, basilare nella ricerca scientifica contemporanea: una teoria (basata su senso comune, ragionamenti o esperimenti) rimane valida fino a che non viene falsificata, cioè giudicata falsa su basi fondate.

Oltre a questi criteri sommariamente delineati da Meier, il lavoro ermeneutico dello storico ed esegeta si basa su altri criteri di vario tipo (esegetici, epistemologici, logici):



  • criterio di fondatezza sulle fonti

le affermazioni e le ipotesi devono fondarsi su precisi dati storici e non essere infondate e ipotetiche;

  • criterio dell'antichità della fonte

quanto più una fonte è antica e dunque vicina agli eventi narrati, tanto più è verosimile che i suoi resoconti siano fedeli e storicamente fondati, in particolare se su alcuni punti appare in contrasto con fonti tardive;

  • criterio della lectio difficilior

quando le fonti testuali presentano diverse lezioni su un punto deve essere privilegiata quella "più difficile". In parte si sovrappone al criterio d'imbarazzo. Per esempio, in Mc 1,41 alcuni manoscritti riportano che Gesù "si adirò" alla richiesta di un lebbroso, mentre la maggioranza riporta "si commosse": difficilmente la seconda variante può essersi mutata nella prima,mentre è verosimile il contrario;

  • criterio della lectio brevior

coincide col criterio di sviluppo applicato all'estensione dei testi, per cui è più verosimile che tra due testi simili quello più ampio sia un ampliamento del precedente, che non viceversa;

  • criterio sinottico

quando le fonti descrivono parallelamente persone o situazioni, questo permette in alcuni casi di dedurre informazioni non presenti esplicitamente nella narrazione considerata singolarmente. Per esempio, il Silvano citato nelle epistole neotestamentarie viene dai biblisti comunemente fatto coincidere col Sila degli Atti, arricchendo così le informazioni disponibili su questo personaggio;

  • criterio di economia

una enunciazione del cosiddetto "rasoio di Occam" recita che entia non sunt multiplicanda sine necessitate, "gli enti non devono essere moltiplicati senza necessità". Come il principio della falsificabilità, rappresenta uno dei principi fondamentali del sapere scientifico moderno: nell'enunciazione e nella ricerca di nuove teorie gli scienziati cercano di formulare ipotesi senza presupporre distinzioni tra gli elementi in gioco inutili e gratuite, senza introdurre ad hoc elementi o eventi ignoti, mirando a modelli teorici che siano invece semplici, chiari, ordinati, pratici, funzionali, in una parola sola eleganti. Nel campo storiografico il principio di economia si sovrappone in parte al criterio sinottico allorquando unifica personaggi con caratteristiche coincidenti.

  • argomento del silenzio (argumentum ex silentio)

dal punto di vista logico rappresenta una fallacia del pensiero che si manifesta allorquando si trae una conclusione da una premessa non presente. Le valutazioni dal silenzio possono essere utili, per quanto non certe, ma vanno valutate alla luce degli altri criteri, in particolare quello sinottico e di economia.

Storia e valutazione ecclesiale

I vari principi del metodo storico critico, a partire dal 1700, sono stati ideati, esaminati e applicati principalmente da studiosi protestanti, che in base al principio della sola scriptura hanno dedicato allo studio della Bibbia particolare cura e interesse, e da studiosi di stampo illuminista-razionalista, che hanno indagato i testi biblici con un forte pregiudizio agnostico. Per decenni i risultati del metodo storico-critico, all'interno della cosiddetta prima ricerca sul Gesù storico, sono stati sinonimo di banalizzazione o de-storicizzazione dei contenuti biblici, elemento che ha portato gli studiosi cattolici a guardarne con un certo sospetto l'applicazione.

In seguito però il magistero della Chiesa Cattolica ha indicato nello studio critico della Bibbia un utile alleato nell'approfondimento delle verità di fede. Nella sua enciclica Providentissimus Deus (18 novembre 1893) Leone XIII ha esortato i docenti accademici ecclesiastici a essere "più dotti e più esercitati nella vera scienza dell'arte critica" nello studio della Bibbia.

Cinquant'anni più tardi, dopo l'istituzione della Pontificia Commissione Biblica (1902) e del Pontificio Istituto Biblico (1909), Pio XII nella sua Divino Afflante Spiritu (30 settembre 1943) ha elogiato e incentivato l'applicazione dell'"arte della critica testuale":

« Scopo di essa infatti è restituire con tutta la possibile precisione il sacro testo al suo primitivo tenore, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, dalle trasposizioni di parole, dalle ripetizioni e da simili difetti d'ogni genere, che negli scritti tramandati a mano pei molti secoli usano infiltrarsi. È vero che di tal critica alcuni decenni or sono non pochi abusarono a loro talento, non di rado in guisa che si direbbe abbiano voluto introdurre nel sacro testo i loro preconcetti". [..] Fornito così della conoscenza delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri. »

Il Concilio Vaticano II, ribadendo che "lo studio della Bibbia è l'anima della Teologia", anche se non usa termini specifici ha affermato nella Dei Verbum (18 novembre 1965):



« È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani. »

Sono così riprese le indicazioni dei documenti precedenti e sono unite le prospettive durature della teologia patristica, della tradizione, del magistero e le nuove conoscenze metodologiche dei moderni, fornendo una sintesi completa.

Dal Vaticano II la gamma metodologica degli studi esegetici si è ampliata in modo considerevole. Il documento della Pontificia Commissione Biblica L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993) ha cercato di fare il punto della situazione. Evidenzia innanzitutto la potenziale utilità degli strumenti del metodo storico critico:

« È un metodo che, utilizzato in modo obiettivo, non implica per sé alcun a priori. Se il suo uso è accompagnato da tali a priori, ciò non è dovuto al metodo in se stesso, ma a opzioni ermeneutiche che orientano l'interpretazione e possono essere tendenziose. [...] Lo scopo del metodo storico-critico è quello di mettere in luce, in modo soprattutto diacronico, il senso espresso dagli autori e redattori. Con l'aiuto di altri metodi e approcci, essa apre al lettore moderno l'accesso al significato del testo della Bibbia, così come l'abbiamo. »

(I.A.4)


Elenca quindi i vari tipi di approcci metodologici che sono sorti recentemente: analisi retorica, narrativa, semiotica, approccio canonico, approccio mediante il ricorso alle tradizioni interpretative giudaiche, approccio attraverso la storia degli effetti del testo, approccio sociologico, antropologico, psicologico-psicanalitico, liberazionista, femminista, fondamentalista. Conclude affermando che

« la natura stessa dei testi biblici esige che, per interpretarli, si continui a usare il metodo storico-critico, almeno nella sue operazioni principali. »

Una valutazione del metodo storico-critico è espressa anche da Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione (2007). Prendendo atto che in passato i risultati della ricerca sono stati nebulosi, contrastanti e frutto di proiezione dei ricercatori, afferma che "il metodo storico critico - proprio per l'intrinseca natura della teologia e della fede - è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico" (p. 11); "è una delle dimensioni fondamentali dell'esegesi, ma non esaurisce il compito dell'interpretazione per chi nei testi biblici vede l'unica Sacra Scrittura e la crede ispirata da Dio" (p. 12); "il metodo storico dovrà necessariamente risalire all'origine dei singoli testi e quindi collocarli dapprima nel loro passato, per poi completare questo viaggio a ritroso con un movimento in avanti seguendo la formazione delle unità del testo" (p. 13).

Orientamenti della ricerca

Per secoli il mondo cristiano non ha operato distinzioni tra il "Gesù storico" (pre-pasquale) e il "Cristo della fede" (post-pasquale), Messia e Figlio di Dio incarnato, assumendo senza dubbi come valide le informazioni contenute nei vangeli, incluse quelle soprannaturali e miracolistiche. A partire dal XVII secolo, cioè dal periodo dell'illuminismo e contemporaneamente allo sviluppo del metodo storico critico, si avverte la necessità di esaminare criticamente i dati forniti dalle fonti storiche per risalire al loro nucleo "autentico". La ricerca storica su Gesù è solitamente suddivisa in tre (più una) grandi stagioni.



Prima ricerca

La "prima ricerca" (First Quest, oppure Old Quest) ha origine con Hermann Samuel Reimarus (1694-1768), professore di lingue orientali ad Amburgo, che compose tra il 1735 e la sua morte una Apologia, parzialmente pubblicata postuma da Lessing nel 1774-78. Caratteristica principale di questo autore, come degli studiosi a lui seguenti, è stato il presupposto della scissione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede predicato e tramandato, indagata con gli occhi del razionalismo illuminista: "Io credo che vi siano forti motivi per tenere ben distinto ciò che gli apostoli raccontano nei loro propri scritti da ciò che Gesù nella sua vita ha realmente espresso e insegnato" (p. 358). Per Reimarus Gesù fu un rivoluzionario politico e terreno, combattente per la liberazione degli Ebrei dal dominio romano, che fallì la sua impresa nella morte in croce. I discepoli rubarono il suo cadavere e lo trasformarono in un risorto, messia spirituale e annunciatore di un regno celeste, mutando il suo fallimento in croce in un sacrificio salvifico.

All'interno della prima ricerca vanno collocati numerosi autori protestanti, collettivamente identificati come scuola liberale, impegnati nell' '800 a presentare un Gesù maestro morale e tendenzialmente privo di numerose caratteristiche soprannaturali. Il luterano tedesco Heinrich Eberhard Gottlob Paulus (1761-1851) nella sua Vita di Gesù (1828) si è concentrato sulla spiegazione razionalistica dei miracoli di Gesù, che in realtà furono basati su fenomeni di suggestione ed equivoci: p.es. il miracolo della moltiplicazione dei pani non fu altro che una condivisione di cibo, la stessa risurrezione di Gesù va ricondotta alla ripresa da uno stato di catalessi.

Il luterano tedesco David Friedrich Strauss (1808-1878), nella sua Vita di Gesù (1835-36), è ancora più radicale, negando valore storico agli eventi evangelici miracolosi e considerandoli miti, cioè narrazioni astoriche prodotte dai discepoli che manifestavano così la loro fede in Gesù, considerato Figlio di Dio e salvatore. Diversi studiosi successivi (Bruno Bauer, 1809-1882; Arthur Drews, 1865–1935) sono andati oltre Strauss, sostenendo che la miticità di Gesù va estesa non solo ai racconti della sua vita ma alla sua stessa esistenza.

La Vita di Gesù composta nell' '800 che ha avuto più fortuna è stata quella del francese Ernest Renan (1823-1892), pubblicata nel 1863 e che al 2011 conta circa 600 edizioni. Scritta in maniera romanzata, semplice e accattivante, in essa Renan sostiene che Gesù era un predicatore di grande levatura morale, senza però alcunché di divino e miracoloso.

All'interno della "Prima ricerca" va posta anche la riflessione del luterano tedesco Johannes Weiss (1863-1914), che nel 1892 ha sottolineato la componente escatologica del messaggio predicato da Gesù: non era precipuamente un maestro religioso e morale ma un profeta escatologico, annunciatore del futuro Regno di Dio. Il poliedrico (teologo, medico, musicista, missionario) Albert Schweitzer (1875-1965), premio nobel per la pace nel 1952, in un'opera del 1906 giunge alle stesse conclusioni di Weiss: "Gesù entra nella storia solo quando in Galilea predica che il regno è vicino" (p. 496). Il messaggio di Gesù e la consapevolezza del suo operato erano centrati su un'escatologia conseguente, su un regno a lui futuro che doveva manifestarsi presto. La scelta e l'accettazione della propria passione aveva lo scopo di facilitare l'irrompere del regno. Alcuni studiosi contemporanei, tra cui Dale Allison e Bart Ehrman, hanno ripreso il Gesù profeta apocalittico di Weiss e Schweitzer.

Schweitzer è però noto soprattutto per aver decretato, con il suo studio, la fine della Prima ricerca: l'ideale di risalire al Gesù della storia, privato dei rivestimenti ideologici derivanti dalla fede, si era dimostrato di fatto impossibile dato che gli studiosi che si erano cimentati nell'opera erano giunti a risultati contrastanti tra loro e conformi alle proprie opinioni: "Strano destino quello della ricerca sulla vita di Gesù. Partì per trovare il Gesù storico, pensando di poterlo collocare nel nostro tempo com'egli è, come maestro e come salvatore. Spezzò le catene che da secoli lo tenevano legato alle rocce della dottrina ecclesiastica, gioì quando la vita e il movimento penetrarono di nuovo la sua figura e quando vide l'uomo storico venirle incontro. Egli tuttavia non si fermò, passò davanti al nostro tempo, lo ignorò e ritornò nel suo. La teologia degli ultimi decenni ne fu scandalizzata e spaventata, perché divenne consapevole che tutte le sue tecniche interpretative e le sue manipolazioni non erano in grado di trattenerlo nel nostro tempo, ma dovevano lasciarlo andare nel suo" (pp. 744-45).




Nessuna ricerca

Qualche anno prima che Schweitzer proclamasse la fine della "prima ricerca", il protestante tedesco Martin Kähler (1835-1912) aveva gettato il seme (ignorato da Schweitzer) di quella che è diventata la fase successiva della ricerca sul Gesù storico, la cosiddetta "No quest", nessuna ricerca. In un'opera del 1892[22] Kähler afferma che "i Gesù delle 'Vite di Gesù' sono una sottospecie moderna dei prodotti dell'arte inventiva umana" (p. 62); "Il Cristo reale, cioè il Cristo efficace, quello che attraversa la storia dei popoli, col quale milioni di uomini hanno intrattenuto un rapporto di fede filiale [...], il Cristo reale è il Cristo predicato" (p. 83), cioè il Cristo della fede. Mentre la prima ricerca aveva dunque mirato al Gesù storico, facendo il possibile per eliminargli di dosso i rivestimenti dogmatici del Cristo della fede, Kähler si limita a constatare il fallimento di questi tentativi e afferma la necessità di accettare il Gesù che la storia e le fonti ci hanno tramandato, cioè il Cristo della fede.

Questa posizione è stata fatta propria e divulgata dal protestante tedesco Rudolf Bultmann (1884-1976), al quale è maggiormente legata l' "etichetta" della No quest. Bultmann afferma, da buon luterano aderente al "sola fide", che nel rapporto tra il cristiano e Cristo è la fede il lui la cosa essenziale, non necessita di un'indagine e dell'appoggio sul Gesù terreno. I singoli fatti della vita di Gesù non sono importanti per il loro accadere nella storia ma per il significato teologico che rivestono per il credente. Per esempio, la nascita verginale di Gesù non va intesa come fatto biologico, ma un evento di grazia; la risurrezione di Gesù vuole indicare la sua presenza ed attività all'interno dell'evangelizzazione. Per Bultmann dunque, in un'ottica di pura fede, è ininfluente l'alternativa se i racconti dei vangeli hanno un fondamento storico oppure no, ma opta decisamente per la prima alternativa: "Non ci si può servire della luce elettrica e della radio, o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici e nello stesso credere nel mondo degli spiriti e dei miracoli propostici dal Nuovo Testamento" (Il manifesto della demitizzazione).

Seconda ricerca

La "seconda ricerca" (New Quest o Second Quest) vede il suo inizio in una conferenza del 1953 del luterano tedesco Ernst Käsemann (1906–1998), allievo di Bultmann, dal titolo "Il problema del Gesù storico".[23] In essa Käsemann rigetta (come Schweitzer) la pretesa della prima ricerca di risalire al Gesù storico privandolo delle interpretazioni dogmatiche, ma rigetta anche il Cristo della fede demitizzato di Bultmann. Käsemann nota infatti come tale aut-aut non sia presente nei vangeli, dove si trova piuttosto un et-et: il Signore della fede, verbo di Dio incarnato e risorto, è lo stesso Gesù terreno, anche se la tradizione protocristiana lo ha raccontato e predicato con gli occhi della fede. Il materiale pervenutoci va dunque esaminato criticamente per risalire al Gesù storico. Il principale criterio è quello di discontinuità: "Abbiamo un terreno in un certo senso solido sotto i piedi solo in un caso: quando una tradizione, per un qualche motivo, non può essere né desunta dal giudaismo, né attribuita alla cristianità primitiva, e specialmente quando il giudeo-cristianesimo ha temperato o ritoccato del materiale ricevuto dalla tradizione, perché troppo audace" (p. 48).

L'applicazione più efficace ed evidente dell'orientamento tracciato da Käsemann è stata l'opera Gesù di Nazaret (1956) del luterano tedesco Günther Bornkamm (1905-1990), anch'egli ex-allievo di Bultmann.

Terza ricerca

Con terza ricerca (Third Quest) si intende l'orientamento prevalente della ricerca storiografica su Gesù. Come la seconda ricerca è ben consapevole che Gesù ci è pervenuto in maniera indistinta dal Cristo della fede, ma rivolge maggiore attenzione al contesto storico, religioso e culturale della Giudea dell'epoca, che negli ultimi decenni ci è più noto grazie anche ai ritrovamenti dei manoscritti di Qumran (1947) e di numerosi scritti gnostici, in particolare da Nag Hammadi (1945).

Al pari della prima ricerca, anche in questa fase contemporanea però i risultati non sono concordi. Alcuni studiosi sottolineano l'indole escatologica del messaggio di Gesù, proteso al regno futuro (E.P. Sanders, B.F. Meyer, J.P. Meier), mentre altri sottolineano la natura etica e sapienziale della sua predicazione, rivolta al presente (Borg, Mack, Downing, Crossan, R.W. Funk e il Jesus Seminar), e una minoranza riprende l'idea di Reimarus di un Gesù rivoluzionario antiromano (R. Eisler, S.G.F. Brandon) o attivo contro la classe dominante giudaica (Horsley). Altri vedono Gesù e i suoi discepoli come un pacifico apolide itinerante (G. Theissen), o come un giudeo pio e osservante (D. Flusser), o come uno dei tanti maghi che popolavano l'oriente romano (M. Smith).

Risultato della ricerca

I risultati delle varie correnti di pensiero sul Gesù storico possono oggi essere raggruppate con larga approssimazione in quattro filoni principali, qui elencati progressivamente da una maggiore a una minore pretesa di storicità:



  • Secondo alcuni studiosi e confessioni cristiane di stampo fondamentalista (tra le quali i Testimoni di Geova e la cattolica Scuola esegetica di Madrid), i vangeli rappresentano dei fedeli resoconti storici della vita e dell'operato di Gesù. Eventuali discordanze interne, tra i racconti evangelici o con fonti storiche non cristiane, a un esame approfondito possono essere spiegate e appianate in vario modo.



  • Secondo la Chiesa cattolica e la maggior parte delle Chiese protestanti, le quali non accettano la completa inerranza biblica, i vangeli non sono vere e proprie biografie di genere storico, ma sono racconti principalmente teologici, fondati comunque su solide basi storiche, redatti dalla Chiesa del I secolo col non secondario intento di dare una risposta alle situazioni problematiche che si trovava ad affrontare (di qui il concetto di Sitz im Leben, "situazione di vita").



  • Secondo molti storici non cristiani, e alcuni teologi e biblisti cristiani, seppure caratterizzati da notevoli differenze nei presupposti e nelle conclusioni della ricerca, le fonti evangeliche non sarebbero totalmente attendibili: sarebbe perciò effettivamente esistito all'inizio del I secolo un predicatore ebreo itinerante chiamato Gesù (nome comune all'epoca), variamente identificato come un uomo di grande levatura morale e/o proteso verso il regno futuro e/o un rivoluzionario politico e sociale, secondo alcuni un Esseno o un Nazireo, che avrebbe terminato in croce la sua esistenza. La comunità dei suoi credenti lo avrebbe poi esaltato, attribuendogli miracoli e prodigi. Per risalire al vero Gesù storico occorre pertanto "demitizzare" i vangeli, privandoli delle aggiunte e reinterpretazioni attuate dai suoi fedeli. Gesù sarebbe dunque "un uomo trasformato in un dio".



  • Altri studiosi privano di qualunque valore storico i vangeli, negando in più casi la stessa esistenza storica di Gesù e relegandolo alla sfera del mito. Leggende e miti preesistenti all'epoca di Gesù sarebbero stati applicati ad un predicatore ebreo in realtà mai esistito: Gesù sarebbe dunque "un dio trasformato in un uomo".







Mito di Gesù

Con mito di Gesù si intende l'ipotesi secondo la quale Gesù non è mai esistito e sarebbero stati i primi cristiani a inventarne la vita, opere e detti. Il modello di riferimento per l'invenzione sarebbe stata la figura del dio che muore e risorge, particolarmente popolare nei culti misterici del panorama religioso del mediterraneo greco-romano (Osiride, Mitra, Dioniso, Attis).

Di contro, non è chiaro il motivo per cui i primi cristiani avrebbero dovuto inventare questa figura mitico-leggendaria: secondo le fonti storiche furono perseguitati prima dagli Ebrei e poi dai Romani, senza ottenere quindi nessun vantaggio dall'invenzione e dalla predicazione del messaggio di una persona inesistente. Si tratta di un'ipotesi complessivamente marginale nel panorama storico contemporaneo che non gode di particolare credito e risalto nel mondo scientifico e accademico.

Cristologia



La cristologia è quella parte della teologia cristiana che definisce e studia razionalmente, sulla base della rivelazione, la figura di Gesù Cristo. Quattro sono i temi principali, strettamente legati tra loro, sui quali si è soffermata nella tradizione cristiana la riflessione cristologica:

  • il ruolo della morte e risurrezione di Gesù nella redenzione e salvezza del genere umano (cristologia soteriologica). La riflessione in tal senso è già presente nei testi neotestamentari – soprattutto nella Lettera agli Ebrei e nelle Lettere paoline. Due sono in particolare gli aspetti soteriologici del mistero pasquale:



    • la morte di Gesù[28], che è contemporaneamente vittima e sacerdote, costituisce il compimento e il superamento dei sacrifici dell'Antico Testamento, che non sono più necessari per l'espiazione del peccato (Eb 9,14; 10,5-10). Grazie a questo sacrificio "tutti" hanno ottenuto la giustificazione (Rm 5,19), cioè il ristabilimento dell'originale stato di grazia tra Dio e gli uomini, che si era corrotto in conseguenza del peccato originale;



    • la risurrezione di Gesù, oltre a compartecipare con la morte al processo di giustificazione (Rm 4,25; 6,4), permette all'umanità riscattata di poter ricevere la cosiddetta «adozione filiale» – cioè di partecipare alla vita di natura divina propria del Figlio nella risurrezione futura (1Cor 15,20-22);



  • il rapporto tra la natura umana e divina in Gesù (cristologia antropologica). Il Nuovo Testamento attribuisce a Gesù sia la natura umana – secondo la quale Gesù, come tutti gli uomini, è nato, ha patito ed è morto –, sia quella divina, secondo la quale Gesù-Logos esiste fin dall'eternità (Gv 1,1; 8,58; 17,5), è stato la causa della creazione dell'universo (Gv 1,3) ed esisterà per l'eternità (Ap 22,13).



  • Non sono però fornite indicazioni sul modo nel quale queste nature, di per sé inconciliabili, coesistano nella persona di Gesù. Il problema è stato vivacemente e ampiamente dibattuto nei primi secoli della cristianità in particolare durante i concili ecumenici, in risposta alle varie eresie cristologiche;



  • in che modo la natura divina di Gesù si relaziona con quella del Padre e dello Spirito Santo (cristologia trinitaria). Anche in questo caso il Nuovo Testamento accenna fugacemente alla "Trinità" in alcuni passi (Mt 28,19; 1Cor 12,3; 2Cor 13,13), ma solo nei successivi concili ecumenici verrà chiarito il legame tra le tre persone divine;



  • in epoca moderna, con lo svilupparsi del metodo storico-critico applicato ai libri del Nuovo Testamento, si è sviluppato il binomio "cristologia esplicita" (cosa i testi dicono di lui, il «Cristo della fede») e "cristologia implicita" (come era realmente Gesù e cosa ha detto di sé, il «Gesù della storia»). Obiettivo della cristologia implicita è risalire al reale Gesù storico, privato delle successive interpretazioni della tradizione cristiana.

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illaa billahil
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