Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

 
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Parte III 
Katakumba 
But I’m a creep, 
I’m weirdo. 
What the hell am I doing here?
I’dont belong here.
RADIOHEAD, Creep. 
Il barone Pierre de Coubertin, nato a Parigi nel 1863, è ricordato per aver coniato 
l’odiosa frase: «L’importante non è vincere, ma partecipare» (che tra l’altro non è sua, 
ma di un vescovo della Pennsylvania). Oltre a questo, de Coubertin è noto per aver 
riformato il sistema educativo francese e per aver riportato in vita nel mondo moderno 
gli antichi giochi olimpici greci. Grande sostenitore dello sport e dell’ attività fisica nella 
formazione del carattere della gioventù, il barone fu incaricato dal governo francese di 
formare una società sportiva internazionale. Dopo aver consultato quattordici nazioni, 
fondò il Comitato olimpico internazionale che organizzò nel 1896 le prime Olimpiadi 
moderne ad Atene. Fu un enorme successo, replicato quattro anni dopo a Parigi. La terza 
Olimpiade si tenne nel 1904 a Saint Louis, negli Stati Uniti. Per la quarta edizione il 
barone sperava di portare i giochi olimpici a Roma, volendo ricreare la mitica rivalità tra 
Roma e Atene, le due potenze del mondo antico. Ma l’Italia in quel periodo, tanto per 
cambiare, aveva problemi economici e declinò l’offerta. 
Il 16 giugno del 1955, il sogno del barone de Coubertin diventò finalmente realtà: la 
città di Roma, dopo un avvincente testa a testa con Losanna, conquistò il diritto di 
ospitare i Giochi della diciassettesima Olimpiade previsti per il 1960. 
Il governo italiano investi circa cento miliardi di lire per mostrare a tutto il mondo che 
anche l’Italia faceva parte dell’esclusivo club dei Paesi ricchi. 
La Città Eterna si trasformò in un cantiere per prepararsi all’evento. Furono costruite 
nuove strade e fu edificato, tra Villa Glori e la sponda del Tevere, un villaggio olimpico 
per ospitare gli atleti provenienti da tutto il mondo. Un grande comprensorio di moderne 
palazzine immerse nel verde a pochi chilometri dal centro storico. Vennero eretti due 
palazzetti dello sport. Lo stadio Olimpico fu ristrutturato per contenere fino a 
sessantacinquemila spettatori. E poi nuove piscine, velodromi, campi da hockey. E, per 
la prima volta nella storia delle Olimpiadi, le immagini delle gare vennero trasmesse in 
tutta Europa dalla Rai. 
Roma si fece notare nel mondo per la bellezza dei campi di gara : le Terme di 
Caracalla ospitavano la ginnastica, la basilica di Massenzio la lotta, mentre la 
maratona partiva dal Campidoglio e seguendo l’Appia Antica si chiudeva sotto l’Arco 
di Costantino. Proprio nella maratona avvenne qualcosa di straordinario. Abebe Bikila, 
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un piccolo atleta della Guardia imperiale etiope, vinse la gara correndo a piedi nudi. 
Tagliò il traguardo con il nuovo record del mondo. 
Con la bellezza di  36 medaglie l’Italia si collocò al terzo posto del medagliere, dietro i 
sovietici e gli americani. 
Tutto ciò è risaputo. Quello che invece pochissimi sanno è cosa successe a un piccolo 
gruppo di atleti sovietici durante la notte della chiusura dei giochi. 
L’Urss partecipava ai giochi olimpici solo da due edizioni. Nel 1952 a Helsinki c’era 
stata la prima apparizione di atleti sovietici. Prima di allora i dirigenti del Partito 
comunista consideravano i giochi «un mezzo per distogliere i lavoratori dalla lotta di 
classe e offrire loro l’addestramento per nuove guerre imperialistiche».In realtà, 
l’atteggiamento diffidente del Cremlino celava l’intenzione di presentarsi alla ribalta 
olimpica solo quando l’Unione Sovietica avesse avuto la possibilità di recitarvi un ruolo 
da protagonista. Dal 1952 in poi le due superpotenze, congelate dalla guerra fredda, 
trovarono nelle Olimpiadi un perfetto campo di battaglia per dimostrare tutta la propria 
forza. Da una parte l’Unione Sovietica, con una ferrea organizzazione paramilitare che 
studi scientifici incrementavano incessantemente, sollevando sospetti e insinuazioni 
sull’uso di medicinali per potenziare i loro atleti. Dall’ altra gli Stati Uniti, protagonisti 
di tutte le edizioni dei Giochi dal 1896 in poi, sorretti dalla possibilità di selezionare i 
migliori tra le migliaia di sportivi dei college e delle università. 
Umiliata nelle Olimpiadi di Helsinki, e vincitrice di misura a Melbourne, l’Unione 
Sovietica era arrivata a Roma con l’intenzione di mostrare la superiorità del regime 
comunista. 
La rappresentanza sovietica era separata da tutte le altre e occupava delle palazzine 
riservate. Gli atleti non dovevano aver alcun contatto con quelli delle nazioni che erano 
il simbolo del capitalismo occidentale corrotto. Erano costantemente tenuti sotto 
controllo da addetti del Partito. 
Fra gli atleti c’erano Arkadij e Ljudmila Brusilov. Lui lanciatore di giavellotto, lei 
ginnasta artistica. Si erano sposati nel 1958 a Kutuko, un paese vicino Mosca. Entrambi 
avevano nel cuore un sogno : abbandonare l’Urss e andare a vivere in Occidente. 
Detestavano il regime autoritario comunista e volevano dare alla luce i loro figli nel 
mondo libero. Ma questo era solo un sogno, nessuno poteva lasciare il Paese. E ciò 
valeva ancor di più per degli atleti considerati rappresentanti ufficiali dell’ ideologia e 
della forza sovietica in tutto il mondo. 
Durante i giochi, i due cominciarono a organizzare un piano per scappare e rifugiarsi 
in Occidente. Il giorno dopo aver vinto la medaglia d’argento, Ljudmila si fece sfuggire 
con Irina Kalina, una saltatrice con l’asta che divideva con lei l’alloggio, i progetti di 
fuga. Irina li pregò di portarla con loro. Le spiegarono che era pericoloso e che quella 
scelta avrebbe condizionato il resto della sua esistenza. Il Kgb non avrebbe dato loro 
tregua. Dovevano rifugiarsi in un luogo segreto e vivere in completa clandestinità. 
– Non importa… Sono disposta a tutto, – fece Irina, il cui nonno era finito in un gulag 
in Siberia. 
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Lentamente il segreto cominciò a girare tra gli atleti. E alla fine si ritrovarono in 
ventidue, fra uomini e donne, a organizzare l’evasione. 
Visto come progredivano le gare, era evidente che sarebbero stati i sovietici a 
conquistare il palmarès. E dopo la chiusura dei Giochi si sarebbe sicuramente brindato 
per aver battuto, per la seconda volta e in modo ancora più cocente, gli imperialisti 
americani. 
E così fu. I dirigenti organizzarono una cena per tutta la delegazione con portate di 
insalata russa, carpa bollita, patate al cartoccio e stufato di cipolle, il tutto innaffiato da 
litri di vodka. Già alle nove di sera organizzatori, allenatori, atleti e addetti di partito 
erano ubriachi. C’era chi cantava, chi intonava vecchie poesie, chi suonava ballate al 
pianoforte. L’atmosfera era all’apparenza gioiosa, ma il tutto era velato da una terribile 
nostalgia. 
I ventidue dissidenti avevano riempito d’acqua le loro bottiglie di vodka. A un cenno 
prestabilito di Arkadij tutto il gruppo si ritrovò nel giardino del padiglione. Le due 
guardie giacevano addormentate su una panchina. Fu facile scavalcare il recinto e 
fuggire, protetti dalla notte romana. 
Corsero veloci lungo il Tevere fino ai campi sportivi dell’Acqua Acetosa, da li 
risalirono senza mai fermarsi verso i Parioli e si ritrovarono di fronte a una grande 
collina coperta di boschi. Non lo sapevano, ma quello era Forte Antenne, la punta 
estrema di un immenso parco chiamato Villa Ada. 
Ci entrarono, e di loro non si seppe più nulla. 
Ovviamente le autorità sovietiche negarono la cosa. Non potevano ammettere al 
mondo che alcuni dei loro più gloriosi atleti erano fuggiti, ripudiando il comunismo e il 
proprio Paese. Sguinzagliarono i servizi segreti per rintracciarli e fargliela pagare. Per 
anni gli agenti li cercarono in ogni parte del mondo. Nulla. Un buco nell’acqua. 
Sembravano essersi dissolti, come se qualche Paese occidentale li avesse aiutati a far 
perdere le loro tracce.
Come abbiamo detto, il sottosuolo di Villa Ada è attraversato dalle antiche catacombe 
di Priscilla. Oltre quattordici chilometri di gallerie e cubìcoli scavati nel tufo, divisi in 
tre piani stipati dei resti degli antichi cristiani. Il nome della necropoli sotterranea si 
deve alla romana Priscilla, nata nella seconda metà del secondo secolo d.C. Sembra che 
la donna abbia regalato il terreno ai cristiani, che vi scavarono il loro cimitero. 
Lì dentro si nascosero Arkadij e la compagnia dei dissidenti. Dopo aver perlustrato la 
necropoli dall’alto in basso, organizzarono le loro dimore nella galleria del piano più 
profondo, a oltre cinquanta metri dalla superficie terrestre. Questa zona, fresca d’estate e 
calda d’inverno, era stata esplorata, mappata e infine chiusa al pubblico e dimenticata. I 
turisti visitavano solo parte del primo piano, nella zona antistante il monastero delle 
monache benedettine. 
I russi, solo di notte, quando il parco era chiuso, risalivano le gallerie e uscivano fuori 
per cercare cibo. La loro alimentazione si basava principalmente su ciò che i romani 
abbandonavano durante il giorno : resti dì panini, frittate, patatine e Cipster, merendine, 
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snack, il fondo delle lattine di Coca- Cola. La loro era un’economia sostanzialmente 
incentrata sulla raccolta dei rifiuti. Simile, per certi versi, a quella delle popolazioni 
raccoglitrici del paleolitico. Si vestivano con tute, felpe e berretti che la gente distratta 
dimenticava sui prati o perdeva nei percorsi sportivi attrezzati. Gli etologi potrebbero 
paragonare la relazione che si era instaurata tra gli atleti sovietici e i romani alla 
simbiosi tra gli ippopotami e gli aironi. Questi splendidi uccelli vivono sul dorso dei 
grossi mammiferi nutrendosi dei parassiti della pelle. Nello stesso modo i romani si 
ritrovavano la Villa sempre pulita, e i russi cibo e vestiti. 
Nelle gallerie delle catacombe la piccola comunità cominciò a riprodursi e lentamente 
si ingrandì. Ovviamente, essendo una piccola popolazione, gli incroci tra consanguinei 
avvenivano di frequente, generando una deriva genetica incontrollata e accelerata. 
Anche la vita ipogea, nel buio dei cunicoli, e una dieta ricca di carboidrati e grassi 
contribuì a trasformarli morfologicamente. Le nuove generazioni erano obese, con gravi 
problemi dentari, e assai pallide. In compenso avevano una vista adattata al buio e, 
discendendo in linea diretta da atleti, erano molto agili e forti. 
Sembra incredibile, ma in quasi cinquant’anni nessuno notò la loro presenza. Solo tra 
gli spazzini e gli addetti alla manutenzione di Villa Ada girava la leggenda degli uomini 
talpa. Sì raccontava che di notte uscissero dai fori di areazione delle catacombe e 
ripulissero tutta l’immondizia del parco, levandogli il grosso del lavoro. C’era chi invece 
giurava di averli visti saltare da un albero all’altro, compiendo acrobazie incredibili. Ma 
sembrava solo un’altra leggenda metropolitana. 
L’acquisto della Villa da parte di Chiatti ruppe il delicato rapporto tra il parco e i suoi 
ospiti sotterranei.
Da un giorno all’altro i russi non trovarono più i cestini che rigurgitavano resti di 
cibo. E lentamente il parco si era popolato di bestie feroci. Non essendo cacciatori ma 
raccoglitori, e con un metabolismo che richiedeva costantemente glucosio e colesterolo, 
gli abitanti delle catacombe cominciarono a stare male e ad ammalarsi nutrendosi di 
topi, insetti e altri piccoli animaletti. 
Rompendo l’antica e assoluta regola che sì erano imposti quando erano entrati nelle 
catacombe, e che vietava di uscire all’aperto durante il giorno, il vecchio re Arkadij 
inviò in superficie un piccolo drappello di esploratori muniti di occhiali da sole, 
capitanato da suo figlio Ossacatogna, per capire che diavolo stesse succedendo nella 
Villa. 
Quando gli esploratori tornarono, raccontarono che il parco era stato chiuso ed era 
diventato una specie di zoo privato di un uomo molto potente, che stava organizzando 
una grande festa. 
Fu convocato immediatamente il consiglio dei vecchi atleti, al quale sovrintese anche 
il re, oramai del tutto cieco e devastato dalla psoriasi. Lui sapeva cosa stava succedendo. 
Quello che aveva sempre temuto in cinquant’anni di vita sotterranea. L’impero sovietico 
alla fine aveva trionfato, con i suoi eserciti aveva invaso l’Italia e ora il comunismo 
regnava incontrastato sul pianeta intero. 
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Sicuramente quel parco era diventato la residenza di un burocrate, un pezzo grosso del 
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