attaccò. Doveva darsi da fare rapidamente. In quel gelo rischiavano una paresi. Che
fare? Saltarle addosso subito?
Non lo so… Sai come sono ’ste intellettuali anglosassoni.
Il dominatore delle classifiche, il terzo uomo più sexy d’Italia secondo il settimanale
femminile «Yes» (dopo un pilota di motociclette e un attore di sit–com mesciato) non
poteva assolutamente accettare un rifiuto. L’avrebbe costretto, probabilmente, ad anni di
psicoanalisi.
Il silenzio cominciava a diventare inquietante. Sparò li: – Hai tradotto pure i libri di
Irvin Parker, vero? – Mentre lo diceva si rese conto che era la cosa peggiore da dire per
un approccio rapido.
– Sì. Tutti tranne il primo.
– Ah… Lo hai conosciuto?
– Chi?
– Parker.
– Sì.
– E com’è?
– Simpatico.
– Veramente?
– Molto.
No! Non funzionava. E per di più la sentiva distratta. I venti centimetri che li
separavano sembravano venti metri. Era meglio rientrare e lasciare perdere. – Senti
for…
Alice lo guardò. – Ti devo dire una cosa – . Le brillavano gli occhi. – Una cosa uh po’
imbarazzante… – Prese fiato come se dovesse liberarsi di un segreto. – Quando ho finito
di leggere
La fossa dei leoni mi sono commossa… Sono stata male, pensa che quella
sera dovevo
uscire ma sono rimasta a casa, ero troppo scossa. E il giorno dopo l’ho
riletto di nuovo e l’ho trovato ancora più bello. Non so che dire, è stata un’esperienza
unica… Ho trovato tante analogie con la mia vita.
Ciba era attraversato da ondate di piacere, da cavalloni di endorfine che scendevano
dal capo verso il basso, turbinandogli nelle vene come petrolio in un oleodotto. Solo che
questa volta, al contrario che con Sawhney, il piacere gli si incanalò nell’uretere,
nell’epididimo, nelle arterie femorali e gli esplose all’interno dell’organo riproduttore,
che si riempi di sangue provocandogli una feroce erezione. Fabrizio l’afferrò per i polsi
e le infilò la lingua in bocca. E lei, che stava per confessare di avergli scritto una lunga
lettera, se la ritrovò tra le tonsille. Emise una serie di vocali: – Ei iaío! – che
significavano: «Sei impazzito!» Per istinto cercò di liberarsi dalla gastroscopia, ma non
riuscendoci si diede per spacciata e gli mise una mano tra i capelli e premette più forte le
labbra sulle labbra e cominciò a mulinellare la lingua piccola e carnosa.
Fabrizio, sentendola vinta, le cinse la schiena con le braccia e premette il petto contro
quello di lei sentendone la soda consistenza. Lei sollevò
una delle due meravigliose
gambe. Lui le spinse contro l’erezione. Lei allora sollevò l’altra meravigliosa gamba. E
lui le mise una mano tra le cosce.
36
Federico Gianni, l’amministratore delegato della Martinelli, e il suo fido scudiero
Achille Pennacchini erano appoggiati alla balaustra del grande terrazzo che dominava il
giardino e Roma.
Gianni era uno spilungone tutto azzimato nei suoi svolazzanti completi di Caraceni.
Da giovane aveva giocato a pallacanestro fino ad arrivare in serie A2 ma a venticinque
anni aveva abbandonato lo sport per prendere in mano la gestione di un’industria di
scarpe da ginnastica. Poi, attraverso chissà quali strade e contatti, era giunto all’editoria,
prima in una piccola casa editrice milanese e infine approdando alla Martinelli. Di
letteratura non capiva un accidente. Trattava i libri come scarpe e andava fiero del suo
modo di pensare.
Tutto
il contrario di Pennacchini, che Gianni aveva tirato fuori dall’Università di
Urbino, dove insegnava Letteratura comparata, e messo a dirigere la casa editrice. Era
un accademico, un uomo di lettere e tutto in lui lo dimostrava:
gli occhiali tondi di
tartaruga davanti a due occhi blu rovinati dai libri, la giacchetta a scacchi ciancicata, la
camicia di cotone grosso con i bottoni sul colletto, le cravatte di lana e i pantaloni di
cotone a righe. Parlava poco. Sempre a bassa voce. E tentennava. Non si riusciva mai a
capire quello che pensava davvero. – E anche questa è fatta – . Gianni si stiracchiò. –
Mi sembra che sia andata bene.
– Molto bene, – fece eco Pennacchini.
Roma sembrava un’enorme coperta sporca tempestata di luci.
– È grande questa città, – rifletté Gianni di fronte a quello spettacolo.
– Molto grande. Va dai Castelli fino a Fiumicino. È veramente immensa.
– Quanto sarà di diametro?
– Mah, non lo so… Almeno un’ottantina di chilometri… – buttò là Pennacchini.
Gianni diede un’occhiata all’orologio. – Tra quanto andiamo al ristorante?
– Tra una ventina di minuti al massimo.
– Il buffet faceva schifo. Ho mangiato due tramezzini al salmone tutti secchi. Ho fame
– . Fece una pausa. – E devo pure pisciare.
Pennacchini all’ultima affermazione del suo capo dondolò la testa in avanti e indietro
come un piccione.
– Io, quasi quasi, la faccio nel giardino. All’aria aperta. Non c’è niente di meglio che
pisciare davanti a ’sto spettacolo. Guarda laggiù, sembra che ci sia un temporale – .
Gianni si sporse dalla terrazza e guardò nella vegetazione scura. –
Mi controlli che
nessuno mi veda? Anzi se qualcuno viene da questa parte fermalo.
– E che gli dico? – mormorò incerto il direttore.
– A chi?
– A chi dovesse venire da questa parte.
Gianni ci pensò un attimo sopra. – E che ne so… Intrattienilo, bloccalo.
L’amministratore delegato scese gli scalini che portavano nel giardino abbassandosi la
lampo dei pantaloni. Pennacchini si piazzò, come una guardia svizzera, all’inizio delle
scale.
37
Larita.
Era lei la prescelta. Avrebbero sacrificato la cantante di
Chieti Scalo al Signore del
Male. Durante la festa Mantos l’avrebbe decapitata con la Durlindana.
– Altro che suore… Kurtz ti faccio vedere io, – sghignazzò Saverio prendendo a
saltare per il soggiorno.
Cosa sarebbe successo a livello planetario quando si fosse saputo che la cantante che
aveva venduto dieci milioni di copie tra Europa e America Latina e aveva cantato per il
papa il giorno di Natale era stata decapitata dalle Belve di Abaddon? La notizia sarebbe
apparsa sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Al livello di John Lennon e di
Janis Joplin…
Saverio ebbe un dubbio. Ma Janis Joplin era stata assassinata?
Do'stlaringiz bilan baham: