Storia del Cristianesimo



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L'epoca degli Apostoli

Gli Apostoli iniziarono quindi la loro missione il giorno di Pentecoste, quando ricevettero il dono dello Spirito Santo, annunziando con franchezza la risurrezione di Gesù e la salvezza offerta in lui (At 2); coloro che accettarono la testimonianza degli Apostoli e ricevettero il Battesimo formavano il primo nucleo della Chiesa, cioè il nuovo popolo di Dio (cfr. 1Pt 2,10), da lui convocato. Le testimonianze storiche rivelano chiaramente che la Chiesa primitiva radunava persone provenienti dall'Asia, dall'Africa e dall'Europa.

Le prime comunità cristiane non si considerano una nuova religione: piuttosto, esse riconoscono in Cristo il Messia che era stato promesso nell'Antico Testamento, e si riconoscono come il resto fedele del popolo d'Israele (cfr. 2Cor 6,16; 1Gv 4,6; 5,20), all'interno del quale permangono, con il quale pregano (cfr. At 2,46; 3,1: la preghiera nel Tempio di Gerusalemme), anche se spezzano il pane radunandosi nelle case (At 2,42.46; 20,7.11), obbedienti al comando di Gesù nell'Ultima Cena.

Accanto ai libri sacri del popolo ebraico, si venne formando a poco a poco un complesso di scritti "cristiani": i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, le lettere, soprattutto quelle di San Paolo, l'Apocalisse: in assenza degli Apostoli, e sopratutto dopo la loro morte, la loro lettura divenne parte integrante della preghiera liturgica. Nei secoli seguenti verrà precisato a quali di essi veniva riconosciuto valore canonico.

La comunità dei discepoli di Cristo si radunava attorno agli Apostoli; gli stessi Apostoli imponevano però le mani ad alcuni tra i discepoli per renderli partecipi del loro ministero, che così si perpetuava nella vita della Chiesa (cfr. At 6,6; 1Tim 4,14; 5,22; 2Tim 1,6) in coloro "che già anticamente sono chiamati Vescovi, presbiteri, diaconi".

In pochi anni la fede cristiana si diffuse in Asia e in tutti i maggiori porti del Mediterraneo, e iniziò a penetrare all'interno dei continenti. "Dovunque arriva, il messaggio cristiano ha la capacità di innestarsi sul patrimonio spirituale preesistente; i valori religiosi ed umani sparsi in ogni popolo vengono assunti, liberati ed elevati in Cristo"

Apostolo

Il termine apostolo (traslitterazione del greco απόστολος, apóstolos, letteralmente "inviato", pl. απόστολοι, apóstoloi) è un titolo che è usato in riferimento a numerose persone nel Nuovo Testamento.

In senso proprio è usato per i Dodici (Mt 10,2; Ap 21,14) discepoli che Gesù volle unire più strettamente a sé, "perché stessero con lui e per mandarli a predicare" (cfr. Mc 3,14) la Buona Novella del Regno.

In senso più lato il titolo viene applicato anche ad altri discepoli non facenti parte dell'originario gruppo dei Dodici: Mattia (At 1,26), successore di Giuda Iscariota, Paolo (Rm 1,1; 11,13; 1Cor 1,1; Ef 1,1; Col 1,1), Barnaba (At 14,14), Andronico e Giunia (Rm 16,7), Sila e Timoteo (1Ts 1,1; 2,6), Apollo (1Cor 4,6.9).

Un uso così esteso di questo titolo può far sorgere la domanda: quale rapporto c'è tra i Dodici e gli altri apostoli? Per rispondere occorre analizzare anzitutto l'uso del termine, e poi in che maniera se ne parla in relazione alle varie figure.

Il termine

Il sostantivo apòstolos è ignoto al greco letterario[2], ma il verbo da cui deriva (ἀποστέλλω, apostéllo, "inviare"), ne esprime bene il contenuto, che è precisato dalle analogie dell'Antico Testamento e dagli usi giudaici.

L'Antico Testamento conosce l'uso degli ambasciatori che devono essere rispettati come il re che li manda (2Sam 10); i profeti esercitano missioni dello stesso ordine (cfr. Is 6,8; Ger 1,7; Is 61,1-3), benché non ricevano mai il titolo di apostolo.

Invece il giudaismo rabbinico, dopo l'anno 70 dell'era cristiana, conosce l'istituzione di inviati ufficiali (selihîm), il cui uso sembra molto anteriore, e che i testi stessi del Nuovo Testamento rifletterebbero:

sembrerebbe porsi in questa linea il fatto che Paolo "domanda lettere per le sinagoghe di Damasco" al fine di perseguitare i fedeli di Gesù (At 9,2; 22,5): è un delegato ufficiale munito di lettere ufficiali (cfr. At 28,21-22);

la Chiesa eredita questo uso quando, da Antiochia e da Gerusalemme, manda Barnaba e Sila con le loro lettere (At 15,22), oppure fa di Barnaba e Paolo i suoi delegati (At 11,30; 13,3; 14,26; 15,2);

Paolo stesso manda due fratelli che sono gli apòstoloi delle Chiese (2Cor 8,23).

Gesù viene detto "apòstolos di Dio" (Eb 3,1); egli insegna che l'apostolo rappresenta colui che lo manda (Gv 13,16).

In base a tutti questi dati, strettamente legati all'uso dell'epoca, l'apostolo non sarebbe in primo luogo un missionario, o un uomo dello spirito, e neppure un testimone: sarebbe un emissario, un delegato, un plenipotenziario, un ambasciatore.

Prima di essere un titolo, quindi, l'apostolato è una funzione. Soltanto al termine di una lenta evoluzione esso è attribuito in modo privilegiato alla cerchia ristretta dei Dodici (Mt 10,2).

Rimane comunque il fatto che il Nuovo Testamento non fornisce una definizione del termine. Però, a livello dei Vangeli, normalmente Matteo e Marco chiamano i Dodici con il termine "discepoli" (μαϑηταί, mathetaí), e solo quando li presentano nella funzione di evangelizzatori itineranti li designano col termine ἀπόστολοι, apóstoloi (Mc 6,30}; Mt 10,2). Invece Luca, che conosce l'invio dei settantadue, tende a usare il termine come designazione costante dei Dodici.

I dodici apostoli

I Dodici Apostoli sono quei dodici discepoli che Gesù ha voluto porre a fondamento del nuovo Israele; come il primo Israele aveva come fondamento i dodici patriarchi figli di Giacobbe, così i Dodici Apostoli rappresentano le colonne della Chiesa, nuovo popolo di Dio.

Fin dall'inizio della sua vita pubblica Gesù volle moltiplicare la sua presenza e diffondere il suo messaggio per mezzo di uomini che fossero altri se stesso:


  • chiama i primi quattro discepoli perché siano pescatori di uomini (Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-11);

  • ne sceglie dodici perché stiano "con lui" e perché, come lui, annuncino il vangelo e scaccino i demoni (Mc 3,14-15; Mt 10,1; Lc 6,13);

  • li manda in missione a parlare in suo nome (Mc 6,7-13; Mt 10,5-8; Lc 9,1-6), muniti della sua autorità: "Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato" (Mt 10,40):

  • sono incaricati di distribuire i pani e i pesci moltiplicati nel deserto (Mt 14,19; Mc 6,41; Lc 9,16);

  • ricevono un'autorità speciale sulla comunità che devono dirigere (Mt 16,18; 18,18).

I Dodici, in una parola, costituiscono i fondamenti del nuovo Israele, di cui saranno i giudici nell'ultimo giorno (Mt 19,28; Lc 22,29-30); ed è questo che il numero dodici del collegio apostolico simboleggia.

Ai Dodici il Risorto, sempre presente con essi sino alla fine dei secoli, dà l'incarico di ammaestrare e di battezzare tutte le nazioni (Mt 28,18-20). L'elezione di un dodicesimo apostolo in sostituzione di Giuda (At 1,15-26) appare quindi indispensabile perché la figura del nuovo Israele si ritrovi nella Chiesa nascente.





L'elezione

Il momento della costituzione dei Dodici è collocato in maniera diversa nei Sinottici:



  • Marco la colloca nel primo periodo della predicazione a Cafarnao (3,13-15);

  • Matteo la situa in un momento indeterminato (10,1-4);

  • Luca la presenta (6,12-16) prima del grande Discorso della pianura corrispondente al Discorso della montagna di Matteo.

Gli invii in missione

Gesù manda i Dodici in missione dando loro potere sui demoni (potere d'esorcismo) e di operare guarigioni.

Gli apostoli ricevono le istruzioni per la loro missione nei discorsi attribuiti a Gesù prima del loro invio, ed ognuno dei Sinottici presenta particolarità proprie:


  • Secondo Marco (Mc 6,7-13 gli apostoli non devono aver con sé altro che un bastone e i calzari; è fatto loro divieto di portare denaro e una doppia tunica: hanno diritto all'ospitalità e al vitto gratuito. A chi li accoglie trasmettono la benedizione di pace, ma la tolgono a chi li respinge, e devono scuotere dai piedi, in segno di testimonianza, la polvere di quei luoghi che rifiutano di accoglierli.



  • In Matteo (c. 10) le condizioni della missione appaiono anche più dure: gli apostoli non devono portar con sé neppure il bastono e i calzari. Devono inoltre limitare la loro missione al territorio giudaico e non passare in territorio pagano o samaritano. Prima che terminino l'annunzio alle città d'Israele si manifesterà il Figlio dell'uomo. Il loro messaggio è l'annunzio del [regno di Dio]], imminente (10,7: Template:Trasliettera). Devono concedere gratuitamente i carismi della loro missione, e ricevere gratuitamente ospitalità e vitto. Anche in Matteo è prospettata la possibilità dell'accoglienza e del rifiuto del loro messaggio e del loro augurio di pace. Una sorte peggiore di Sodoma e Gomorra colpirà, nel giorno del giudizio, le terre ribelli all'invito evangelico. Poi il discorso si amplifica con una serie di elementi che, più che all'apostolato, si riferiscono genericamente alla situazione dei discepoli di Cristo nel mondo: persecuzioni, processi, testimonianza, assistenza dello Spirito Santo, ricompensa futura.



  • Anche in Luca troviamo le stesse condizioni inasprite della povertà come in Matteo: inoltre Luca suddivide gran parte del contenuto dei discorsi di missione riportati dei due primi evangelisti nei due discorsi ai Dodici e ai settantadue (9,1-6; 10,1-16), con alcune ripetizioni. Secondo molti critici il raddoppiamento rappresenta la missione cristiana in Israele e in Samaria, quest'ultima la terra infedele per eccellenza, a significare i popoli pagani.

Il primato di Pietro

All'interno del gruppo dei Dodici Gesù affida un ruolo speciale a Pietro, lo costituisce roccia per la sua fede, gli affida le chiavi del Regno dei Cieli, gli dà l'autorità di legare e sciogliere (Mt 16,17-19). Nell'Ultima Cena prega per lui perché non vacilli la sua fede, e gli affida la missione di confermare i suoi fratelli (Lc 22,30-31). Dopo la sua risurrezione gli rinnova il mandato di pascere il suo gregge (Gv 21,15-19).

Dopo la Pentecoste Pietro è presentato sistematicamente dagli Atti in posizione primaziale rispetto agli altri undici (1,13.15; 2,14-41; 4,8-12; 5,1-11.29-32; 9,32.36-42; 10,1-48; 15,7-11).

Il Primato di Pietro o Primato petrino è la preminenza che Cristo ha accordato all'apostolo Pietro all'interno del gruppo dei dodici e in seno alla prima comunità cristiana; essa "è talmente evidente che nessuno storico osa più metterla in dubbio".

La Tradizione della Chiesa ha sempre avuto chiaro che, come in un corpo una funzione vitale non può fermarsi, così nella Chiesa, organismo vivente e vivificatore, bisogna che Pietro, in un modo o nell'altro, sia sempre presente per comunicare senza sosta ai fedeli la vita di Cristo.

La dottrina di un ufficio primaziale nella Chiesa, ricoperto inizialmente da Pietro, e dopo di lui dai suoi successori sulla cattedra di Roma, è stata definita dal Concilio Vaticano I, ed è stata ripresa e riproposta a tutti i fedeli dal Concilio Vaticano II.

I dati del Nuovo Testamento

La documentazione neotestamentaria sul primato di Pietro è chiara, coerente, e abbondante. Il primato di Pietro nel collegio apostolico ed in seno alla chiesa primitiva non fa questione per nessun esegeta.



Nei Vangeli

Nel cuore della comunità dei suoi discepoli Gesù pone sin dall'inizio la presenza e le prerogative del collegio apostolico, e a capo di esso Pietro.

Gli evangelisti notano sistematicamente il ruolo particolare assunto da Pietro nel gruppo degli apostoli:


  • Pietro prende volentieri la parola a nome del gruppo dei discepoli, soprattutto nel momento in cui afferma solennemente la messianicità di Gesù (Mt 16,16; Mc 8,29; Lc 9,20; Gv 6,68).



  • Il nome di Pietro appare sempre per primo nelle liste dei dodici (Mt 10,2; Mc 3,16; Lc 6,14; At 1,13). Ugualmente, nelle circostanze significative in cui Gesù si fa accompagnare da tre apostoli soltanto, Pietro è sempre presente, ed è menzionato sempre per primo.

Pietro fu tra i primi ad essere chiamato da Gesù a seguirlo (Gv 1,35-42); in quel primo incontro con il pescatore Simone, Gesù gli cambia il nome in Pietro: "Tu sei Simone, figlio di Giona: tu sarai chiamato Pietro (Kephas)" (Gv 1,42). Il fatto è singolare già in se stesso: Pietro è l'unico discepolo a cui Gesù cambia il nome; esso è significativo però anche e soprattutto per il significato del nome che Gesù sceglie per lui: pietra. Tale nome sta ad indicare la funzione che Simone dovrà svolgere in mezzo ai suoi seguaci: la funzione di base, di pietra fondamentale.

L'intenzione di Gesù di fare di Pietro la pietra si ritrova costantemente in tutti i successivi rapporti che Gesù ha con lui:



  • A Cafarnao, Gesù va ad alloggiare in casa dello stesso Pietro, e gli guarisce miracolosamente la suocera (Mc 1,29-31; Mt 8,14-15).

  • Per preparare l'Ultima Cena Gesù manda Pietro insieme a Giovanni (Lc 22,8).

  • Gesù inizia da Pietro la lavanda dei piedi (Gv 13,6).

  • L'annuncio della risurrezione di Gesù da parte degli angeli alle donne contiene una menzione speciale per Pietro (Mc 16,7.)

Inoltre si nota che Pietro è il primo ad entrare nella tomba vuota (Gv 20,6). Nella prima proclamazione della risurrezione di Gesù, poi Pietro è menzionato come il primo testimone del Signore risorto: Cristo "apparve a Cefa e quindi ai dodici" (Lc 24,34; cfr. 1Cor 15,5).

Ma sono soprattutto tre i testi nei quali risulta un'intenzione chiara di Gesù di conferire a Pietro un primato sulla sua comunità.



Matteo 16

A Cesarea di Filippo, a fronte della domanda di Gesù sulla sua identità, Pietro professa la fede nella messianicità, Figlio del Dio vivente (Mt 16,16; cfr. Mc 8,29; Lc 9,20). Alla professione di fede di Pietro Gesù articola quello che viene considerato il principale testo di conferimento del primato:



« Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. »(Matteo 16,17-19)

Pietro viene proclamato "roccia": in virtù di questo nuovo nome, Simon-Pietro è partecipe della saldezza duratura e della fedeltà incrollabile di YHWH e del suo Messia; in quanto roccia è la cava da cui vengono estratte pietre viventi (cfr. Is 51,1-3; Mt 3,9), fondamento sul quale Cristo edifica la propria comunità escatologica.

Pietro riceve una missione di Cui deve beneficiare tutto il popolo: contro le forze del male, che sono potenze di morte, la Chiesa edificata su Pietro ha l'assicurazione della vittoria.

La missione suprema di radunare gli uomini in una comunità, in Cui ricevono la vita beata ed eterna, è affidata a Pietro, che ha riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente.

Il solenne conferimento del primato a Pietro è narrato nel Vangelo secondo Matteo (16,17-19).

Il brano di Matteo non ha paralleli diretti negli altri Vangeli; un insegnamento simile si trova però in Lc 22,31-32 e in Gv 21,15-17.

Studio letterario

Canonicità

Qualcuno ha sostenuto che il brano è stato inserito tardivamente nel Vangelo secondo Matteo. Tale ipotesi non è sostenibile , data l'unanime testimonianza dei manoscritti più antichi. Esso va quindi ritenuto a tutti gli effetti parte del primo Vangelo.



Contesto

Il conferimento del primato fa seguito alla Confessione di Pietro, narrata subito prima (16,13-16), e presente anche negli altri sinottici (Mc 8,27-29; Lc 9,18-20).

Al brano segue l'ordine ai discepoli di non divulgare l'identità di Gesù (16,20).

Struttura del testo

La struttura del brano è perfetta, e può essere così articolata:



  • beatitudine o macarismo (v. Mt 16,17)

  • promessa e missione (v. Mt 16,18)

  • investitura (v. Mt 16,19)

  • Il piccolo brano gioca su vari contrasti:

  • terra - cielo

  • carne e sangue (cfr. il riferimento a "la gente" del v. Mt 16,13) - il Padre dei cieli

  • le forze di morte - la roccia su cui Gesù edifica la Chiesa

Genere letterario

Il genere letterario del brano è quello della dichiarazione-istituzione, e della catechesi solenne sul ruolo ( Chiesa|ecclesiale di Pietro.)



Stile

Lo stile è solenne. Esso, e la teologia che lascia trasparire, sono riscontrate anche in altri passi dello stesso evangelista: 18,18-20; 19,28; 28,18-20.

Il brano riporta alcune espressioni caratteristiche: "bar-Jonah", "carne e sangue", "porte della morte", "chiavi del regno", "legare e sciogliere". Esse hanno carattere semitizzante, e si radicano nel linguaggio dell'Antico Testamento. Anche se non si ipotizza per esse un originale semitico-aramaico o una tradizione giudaico-palestinese soggiacente, è tuttavia certa la loro origine in ambiente giudeo-cristiano.

L'intonazione del passo è post-pasquale.

Storicità

Gli esegeti hanno espresso dubbi e perplessità circa l'autenticità, l'unità e l'origine storico-letteraria del brano, in base alle osservazioni stilistiche sullo stile matteano del brano e al fatto che nei racconti paralleli della confessione di Pietro di Marco (8,27-30) e di Luca (9,18-21) i versetti in questione non sono presenti.

L'analisi letteraria porta ad affermare che il brano è un ampliamento che l'evangelista Matteo ha realizzato sulla base del racconto di Marco della confessione di Pietro; Matteo avrebbe raccolto ed elaborato una tradizione petrina i cui echi si trovano in Lc 22,31-32 e in Gv 21,15-17.

Sono state formulate varie ipotesi sulle circostanze originarie in cui Gesù ha pronunciato le parole del brano:

Si tratterebbe delle parole storiche di Gesù a Pietro a Cesarea di Filippo; tale ipotesi non più sostenuta dagli esegeti.

Il testo rifletterebbe un riflesso del discorso di Cristo a Pietro nella prima apparizione pasquale, menzionata in Lc 24,34; 1Cor 15,5; Gv 15-17; ma nel testo attuale non vi è nessun indizio evidente di apparizione o teofania pasquale. Tale ipotesi risulta essere in ribasso tra gli esegeti.

Oscar Cullman suggerisce di collocare il brano nel contesto della passione di Gesù, nell'Ultima Cena, per analogia con Lc 22,31-32. Si tratta di un'ipotesi precaria e senza alcun fondamento.

Sulla base del testo attuale è impossibile ricostruire la situazione in cui tale tradizione è maturata. Tale discussione sembra comunque irrilevante, tenendo conto della consueta tecnica letteraria di Matteo. Il fatto importante è che il passo riflette una precisa volontà di Gesù per l'istituzione della Chiesa, nella stessa linea del resto della tradizione neotestamentaria.

Esegesi

Le parole di Gesù a Pietro prendono spunto dalla sua professione di fede, ma ne dilatano l'orizzonte: esse annunciano il ruolo e il destino futuro del primo degli Apostoli.



Il macarismo (v. 17)

L'espressione si riallaccia all'inno di giubilo di Mt 11,25-27: Dio si è compiaciuto di svelare ai "piccoli", per bocca di Pietro, la misteriosa identità di Gesù.

"Carne e sangue" è un'espressione biblica per indicare l'uomo nella sua debolezza e fragilità (Sir 14,18; 17,26; Gv 1,13; 1Cor 15,50; Ef 6,12; Eb 2,14), e qui sta ad indicare le doti naturali: non è grazie ad esse, ma per rivelazione del Padre, che Pietro ha potuto conoscere l'identità del suo maestro. Le parole di Gesù sono cariche di tensione gioiosa per il dono fatto a Pietro.

Vi è un contrasto tra il Padre di Gesù e il padre di Simone-Pietro (Bariona, "figlio di Giona"): la distanza è quella esistente tra Dio e l'uomo, tra il Creatore e la creatura; dal padre terreno Pietro riceve la fragilità umana, dal Padre del cielo la conoscenza ineffabile del mistero di Cristo, che solo Dio può comunicare: cfr. Mt 11,27: "nessuno conosce il Figlio se non il Padre".



La promessa del primato (v. 18)

Il cambio del nome

L'imposizione di un nuovo nome designa, nella tradizione biblica, il conferimento di un incarico. Nell'Antico Testamento sono significativi i cambiamenti del nome di Abramo, costituito "padre di una moltitudine (Gen 17,5) e quello del nome di Giacobbe, che ha combattuto con Dio e gli uomini e ha vinto (Gen 32,29).



La roccia/pietra

A differenza del greco, nel quale "roccia" (petra) e "pietra" (petros: pezzo di roccia staccato) sono due termini distinti, il termine aramaico Kepha esprime i due significati; la frase di Gesù ha in aramaico un significato univoco: "Tu sei Roccia e su questa roccia io edificherò la mia Chiesa": Pietro, come primo ed esemplare discepolo di Gesù, che per l'iniziativa salvifica del Padre dei cieli riconosce l'identità di maestro, costituirà la salda roccia su cui Cristo eleverà il solido edificio della sua comunità.

Probabilmente il substrato veterotestamentario dell'affermazione è il passo di Is 28,16; è significativo anche il midrash su Is 51,1-2, che afferma di Abramo: "Guardate, ho trovato una pietra, sulla quale potrò edificare e fondare il mondo". Nell'Antico Testamento comunque il termine roccia è riferito principalmente a YHWH (Dt 32,4.15.18; Sal 17[16],3; 72[71],26; 88[87],27; 93[92],22; Is 17,10; Ab 1,12) e al Messia (Is 28,17; Dn 2,34-35; cfr. soprattutto Sal 117[116],22, ripreso e interpretato più volte in chiave messianica nel Nuovo Testamento: Mt 21,42-44; Mc 12,10-11; Lc 20,17; Rm 9,33; 1Pt 2,4-8; 1Cor 3,11; Ef 2,20). Nella comunità di Qumran è attestata l'immagine della roccia per indicare la stabilità della comunità o la fiducia dei singoli, fondata su YHWH.

Nel Nuovo Testamento la funzione di "fondamento" (themélion, 1Cor 3,11) è attribuita a Cristo, che è detto anche "pietra angolare" (kehpalè gonías, Mt 21,42) e "chiave di volta" (agrogoniàios, Ef 2,20); ma anche gli apostoli sono chiamati "fondamento" (Ef 2,20; Ap 21,14): essi, come Pietro, sono le colonne, le fondamenta della Chiesa; ma a loro volta poggiano sull'unico fondamento, che è Cristo.

L'attributo di YHWH che è roccia è trasferito poi nel Nuovo Testamento anche a Cristo (At 4,11; Rm 9,33; 1Cor 10,4; 1Pt 2,4-7).

Nel nostro testo la "pietra", con l'annessa costruzione, è contrapposta al simbolo delle "porte di morte".



La Chiesa

Nei Vangeli il termine ekklesía ("Chiesa", nel senso di "convocazione") ricorre solo altre due volte, in un solo versetto, Mt 18,17.

Il termine greco ekklesía deriva dal verbo greco ekkaléo ("convocare"), che sottolinea l'iniziativa di Dio.

Nei LXX il termine traduce per settanta volte il termine ebraico qahàl ("adunanza", "assemblea"). Il sinonimo ebraico hedàh viene solitamente tradotto dai LXX con synagogé, che ha sostanzialmente lo stesso significato di ekklesía, ma i cristiani riservarono il termine ekklesía per la loro comunità, e usarono synagogé per quella giudaica. Quella che era la "Chiesa di YHWH o di Dio" diventa la Chiesa di Cristo, la comunità messianica della quale Pietro è costituito fondamento; non si tratta di un'assemblea locale come quella di Mt 18,17, ma di quella comunità che prende il posto di Israele, e della quale entrano a far parte tutti quelli che riconoscono Gesù come Messia, Figlio del Dio vivente.

Le parole di Gesù costituiscono Pietro fondamento della Chiesa, che è resto santo di Is 6,13, l'attuazione del popolo di Dio escatologico, aperto a tutte le genti (Mt 28,19-20).

Le porte degli inferi

L'espressione "porte della morte" può avere due significati:



  • Può riferirsi simbolicamente alle potenze di morte; in questo caso la Chiesa è associata allo statuto del Messia, che ha già vinto la morte.

  • Può designare le forze del male, rappresentate dall'avversario, che contrasta l'azione di Dio e la perseveranza dei credenti (Mt 13,19.39).

In entrambi i casi la promessa di Gesù garantisce alla sua comunità quella stabilità spirituale e storica che è ben simboleggiata dalla roccia, fondamento sul quale è costruita.

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