Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

L’imbecille si sarà ubriacato. Cominciò a frugare nel cassetto del comodino cercando la 
mascherina per gli occhi e i tappi per le orecchie. Era stata tutto il giorno a Roma a 
cercare un tornio per la creta ed era distrutta. Non aveva nessuna voglia di mettersi a 
litigare. 
– Ridillo. Ridillo, se hai coraggio, che non vuoi fare l’amore con me. 
– Non voglio fare l’amore con te. Sei contento ora? –Trovò la mascherina. 
– Preferisci essere scopata da quelli delle spedizioni, vero?
Adesso, però, stava esagerando. Andava rimesso al posto suo. Si tirò su e ringhiò: – 
Sei impazzito? Ma come ti permetti? Io ti… – Ma non riuscì ad andare avanti perché, 
nonostante avesse le luci del corridoio negli occhi, le sembrava che Saverio fosse nudo 
e…No, non è possibile… Si è rapato a zero. Un brivido le sali lungo la colonna 
vertebrale.
– Lo sai che mi dicono ogni volta che vado in magazzino? Che potresti essere una 
pornostar. E in fondo non hanno tutti i torti visto come vai vestita. Che puttana che sei! 
Sei talmente puttana che dici che scopare è burino, però ti rifai le tette – . E prese a 
ridere sguaiatamente. 
Serena era pietrificata. Non respirava nemmeno, nel torace il cuore le batteva 
impazzito e il sangue le rombava nelle arterie. C’era qualcosa che non andava in suo 
marito. E non era perché era diventato improvvisamente geloso o perché si era tagliato i 
capelli. Sì, questi erano sintomi preoccupanti. Ma la cosa che la terrorizzava era la voce. 
Gli era cambiata. Non sembrava la sua. Era profonda e cattiva. E quella risata malvagia, 
da psicopatico, da posseduto. 
Serena Mastrodomenico era sempre stata cosciente che prima o poi a suo marito 
sarebbe potuta partire la brocca. Era un frustrato. Troppo compresso, troppo 
accondiscendente, troppo remissivo, troppo gentile con tutti. A lei piaceva così. Le 
ricordava quei cavalli da tiro che trascinano il carretto e prendono botte tutta la vita e 
muoiono stroncati dalla fatica. Dentro però sapeva che Saverio aveva un inferno che gli 
bruciava notte e giorno. E lei si divertiva a stuzzicarlo, per vedere fino a che punto 
resisteva, e se ogni tanto si lasciava scappare una vampata di rabbia. In dieci anni di 
matrimonio non era mai successo. 
Sta succedendo ora, porca puttana. Si ricordò di quel film. Era la storia di un 
impiegato modello, con famiglia perfetta, che intrappolato nel traffico mollava ogni 
freno e cominciava a fare una strage con un fucile a pompa. Suo marito era tale e quale a 
quello li.
Saverio avanzò lentamente verso il letto. – Tu non mi conosci Serena. Tu non hai 
neanche idea di cosa sono capace io. Tu credi di sapere tutto, ma non sai niente. 
Serena vide che suo marito impugnava lo spadone, le uscì un urletto e si appiccicò al 
muro. 
– Stai zitta! Stai zitta! Che svegli i bambini! Ahh… Giusto! Parliamo di bambini. 
Credi che io non sappia perché hai tanto insistito per farli in provetta. Non è per l’età. 
Credevi che me la fossi bevuta la stronzata dell’età. No! È perché ti faccio schifo – . 
46


Saverio sollevò le braccia e la spada mostrandosi nudo. – Dimmi, faccio tanto schifo? 
Serena Mastrodomenico non era esperta di sindromi psicotiche, nonostante avesse 
frequentato il biennio di Psicologia. Ma la saggezza popolare sosteneva che ai pazzi 
bisogna sempre dare ragione. E in quel momento le sembrava un comportamento più 
appropriato che mai. 
– No… No… che non fai schifo, – balbettò, stupita di avere ancora fiato per parlare. – 
Ascoltami Saverio. Posa quella spada. Mi dispiace per quello che ti ho detto – . Deglutì. 
– Lo sai che ti amo… 
Lui cominciò a sussultare in preda al riso. – No… Questa no, ti prego… Questa 
proprio non la dovevi dire. Mi ami! Tu mi ami? È la prima volta che ti sento dire che mi 
ami da quando ti conosco. Nemmeno quando ti ho dato l’anello di fidanzamento me lo 
hai detto. Mi hai chiesto se si poteva cambiare – . Voltò la testa verso la finestra, come 
se li ci fosse qualcuno. – Hai capito? Hai capito cosa bisogna fare per essere amati dalla 
propria moglie? E poi dicono che il matrimonio è un’istituzione in crisi. 
Doveva scappare. La finestra che dava sul terrazzino era chiusa e le tapparelle 
abbassate. E se anche fosse riuscita ad aprirla, erano al terzo piano e sotto c’era la 
spianata d’asfalto del parcheggio. E se avesse urlato aiuto, lui l’avrebbe colpita con la 
spada. L’unica cosa che le restava da fare era implorare pietà e appellarsi al vecchio e 
buon Saverio, che da qualche parte ancora doveva nascondersi dentro la mente malata di 
quello schizofrenico. 
Ma questo era impensabile. In quarantatre anni Serena non aveva chiesto pietà a 
nessuno. Nemmeno alle Orsoline che le colpivano le nocche con il righello. Il carattere 
di Serena Mastrodomenico era stato forgiato secondo la rigida etica luterana dei Mastri 
d’Ascia Tirolesi. Papà, che aveva passato gli anni della gioventù come apprendista in 
una falegnameria di Brunico, le aveva detto che i legni più pregiati si spezzano ma non 
si piegano. 
(E tu, stellina, sei dura e preziosa come l’ebano. E non ti farai mettere i piedi in testa 
da nessuno .Nemmeno da tuo marito. Promettimelo). 
Sì, paparino, te lo prometto.  
E quindi figuriamoci se avrebbe chiesto pietà a quel fallito pezzo di merda scroccone 
psicopatico di Saverio Moneta, figlio di un modesto operaio della Osram e di una 
massaia ignorante. Lei lo aveva ripulito, lo aveva fatto entrare nel suo letto, lo aveva 
fatto accettare a quel sant’uomo di suo padre, aveva accolto il suo sperma bacato per 
farci dei figli e adesso quello la minacciava con una spada. 
Serena afferrò la sveglia dal comodino e gliela lanciò contro digrignando i denti: – 
Fanculo! Uccidimi! Fallo se hai coraggio. Non ho paura di te, scarafaggio senza palle! – 
E con le mani gli fece segno di farsi avanti.

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