Storia del Cristianesimo



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Padre putativo di Gesù

I Vangeli e la dottrina cristiana affermano che Maria concepì Gesù "per opera dello Spirito Santo"[1], quindi senza che Giuseppe avesse rapporti sessuali con lei (cfr. Mt 1,25). Giuseppe, venne poi informato della gravidanza da un Angelo, durante un sogno. Comprendendo che questi erano i disegni divini, egli accettò di prenderla con sé e di riconoscere legalmente Gesù come proprio figlio. Per questo la tradizione cristiana usa per lui l'appellativo di padre putativo (dal latino puto, "credo") di Gesù: era cioè colui "che era creduto" suo padre (cfr. Lc 3,23).



Professione

In Matteo 13,55 la professione di Giuseppe viene nominata quando si dice che Gesù era figlio di un "téktón". Il termine greco téktón è stato interpretato in vari modi. Si tratta un titolo generico che veniva usato per operatori impegnati in attività economiche legate all'edilizia, dunque in senso stretto non doveva appartenere a una famiglia povera, non si limitava ai semplici lavori di un falegname ma esercitava piuttosto un mestiere con del materiale pesante che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio legno o pietra. Accanto alla traduzione - accettata dalla maggior parte dagli studiosi - di téktón come carpentiere, alcuni hanno voluto accostare quella di scalpellino.

Gesù a propria volta praticò il mestiere del padre. Il primo evangelista ad usare questo titolo è stato Marco che definisce Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazaret, osservando che i concittadini ironicamente si chiedono: "Non è costui il téktón, il figlio di Maria?" (Mc 6,3). Matteo, che probabilmente si trovava a disagio con questo sarcasmo e con questo titolo, riprendeva il racconto di Marco, ma con una curiosa variante: "Non è egli (Gesù) il figlio del téktón?" (Mt 13,55). Come è evidente, qui è Giuseppe ad essere iscritto a questa professione.

Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Palestina di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari ma veniva usato come vero e necessario materiale per costruire case e qualsiasi edificio. Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case palestinesi erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressata.



Origini e sposalizio con Maria

Le notizie dei Vangeli su san Giuseppe sono molto scarne. Parlano di lui Matteo e Luca: essi ci dicono che Giuseppe era un discendente del re Davide ed abitava nella piccola città di Nazaret.

Le versioni dei due evangelisti divergono in merito a chi fosse il padre di Giuseppe:


  • Lc 3,23: Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli [..]



  • Mt 1,16: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.

Secondo la tradizione degli apocrifi, in particolar modo il Protovangelo di Giacomo (II secolo) Giuseppe, discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme, prima del matrimonio con Maria si sposò con una donna che gli diede sei figli, quattro maschi (Giuda, Giuseppe, Giacomo e Simeone) e due femmine (Lisia e Lidia). Rimase però ben presto vedovo e con i figli a carico. Gli apocrifi cercavano in tal modo di giustificare la presenza di fratelli di Gesù nei Vangeli. La Chiesa cattolica rifiuta questa interpretazione, e sostiene che si trattasse di cugini o altri parenti stretti (in greco antico vi sono due termini distinti: adelfòi, fratelli, e sìnghnetoi, cugini, ma in ebraico una sola parola è usata per indicare sia fratelli sia cugini) oppure collaboratori.

Seguendo ancora la tradizione apocrifa, Giuseppe, già in età avanzata, si unì ad altri celibi della Palestina, tutti discendenti di Davide, richiamati da alcuni banditori provenienti da Gerusalemme. Il sacerdote Zaccaria aveva infatti ordinato che venissero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, futura madre di Gesù, allora dodicenne, che era vissuta per nove anni nel tempio. Per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all'altare il loro bastone, Dio stesso ne avrebbe poi fatto fiorire uno, scegliendo così il prescelto.

Zaccaria, entrato nel tempio, chiese responso nella preghiera, poi restituì i bastoni ai legittimi proprietari: l'ultimo era quello di Giuseppe, era in fiore e da esso uscì una colomba che si pose sul suo capo[3]. Giuseppe si schermì facendo presente la differenza d'età, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio. Allora questi, pieno di timore, prese Maria in custodia nella propria casa.

Il dubbio dinanzi alla gravidanza di Maria

La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l'episodio dell'Annunciazione: Nel sesto mese l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria (Lc 1,26-27).

Giuseppe è presentato come il discendente di Davide, sposo della Vergine divenuta protagonista del Mistero dell'Incarnazione. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio "che sarà chiamato Figlio dell'Altissimo". L'angelo a conferma dell'evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza.

In queste circostanze "Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto" (Mt 1,19). L'uomo non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie: certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile.

Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che gli disse: "Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21). Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone il mistero della maternità e le successive responsabilità.

Giuseppe, custode di Maria e del neonato Gesù

Circa tre mesi dopo insieme a Maria, Giuseppe si spostò dalla città di Nazaret, in Galilea, a Betlemme, in Giudea, a causa di un censimento (vedi Censimento di Quirinio) della popolazione di tutto l'impero, per il quale anche lui doveva registrarsi nella sua città d'origine, insieme alla sposa; mentre i due si trovavano a Betlemme, venne il momento del parto e la ragazza diede alla luce il figlio "che fasciato fu posto in una mangiatoria, perché non vi era posto per loro nell'albergo" (Lc 2,7).

A questo punto Giuseppe fu testimone dell'adorazione del piccolo da parte di pastori avvisati da un angelo, e più tardi anche di quella dei magi, venuti dal lontano Oriente, secondo l'indicazione ottenuta dagli astri e da una stella in particolare. I magi "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono" (Mt 2,11: Giuseppe non è citato né visto ma certamente era presente all'avvenimento.

Dopo otto giorni dalla nascita, secondo la legge di Mosè, avvenne la circoncisione del bambino, cui Giuseppe impose il nome Gesù. Quaranta giorni dopo lui e Maria portarono il neonato a Gerusalemme e lì assistettero alla profetica esaltazione del vecchio Simeone che predisse un futuro glorioso per il bambino, segno di contraddizione e gloria del suo popolo Israele. Dopo la presentazione al tempio, l'evangelista Luca ci narra che fecero ritorno in Galilea, alla loro città Nazaret.

La Sacra Famiglia rimase a Betlemme per un periodo non ben determinato, sembra da un minimo di 40 giorni (Lc 2,22; 2,39) a un massimo di due anni (Mt 2,16), dopo di che secondo Matteo, avvertiti in sogno da un angelo, Giuseppe con la sposa e il figlio fuggì in Egitto a causa della persecuzione del re Erode che, avendo udito il racconto dei magi, voleva liberarsi di quel "nascituro re dei Giudei", massacrando tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù. Dopo un periodo di esilio non ben determinato, ricevuto in sogno l'ordine di partire, poiché Erode era morto (4 a.C.), tornò con la famiglia a Nazaret, non sostando però a Betlemme a causa della monarchia di Archelao, non meno pericolosa di quella del padre. Luca non menziona il soggiorno in Egitto, ma concorda sul ritorno a Nazaret, dove Gesù visse fino all'inizio della sua vita pubblica.

La vita "nascosta" di Nazaret

I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della fanciullezza di Gesù, durante il quale questi, attraverso una vita apparentemente normale, si preparava alla sua missione. Un solo momento è sottratto a questa "normalità" ed è descritto dal solo Luca.

Gesù, a dodici anni, partì come pellegrino insieme coi genitori verso Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi però i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme, senza che Maria e Giuseppe se ne accorgessero. Passato un giorno se ne resero conto e iniziarono a cercarlo, trovandolo dopo tre giorni di ricerche nel tempio, seduto a discutere con i dottori. Maria gli domandò: "Figlio, perché hai fatto così? Ecco tuo padre e io, angosciati ti cercavamo". La risposta di Gesù "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" lasciò i genitori senza parole.

La morte

Tornato a Nazaret, Gesù cresceva giovane e forte, sottomesso ai genitori. Quando iniziò la sua vita pubblica, molto probabilmente Giuseppe era già morto. Infatti non è mai più menzionato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (talvolta Gesù è chiamato "figlio di Giuseppe", ma questo non implica che fosse ancora vivente), e quando Gesù è in croce, affida Maria al suo discepolo Giovanni, il quale "da quel momento la prese nella sua casa", il che non sarebbe stato necessario se Giuseppe fosse stato in vita.

Secondo l'apocrifo "Storia di Giuseppe il falegname" che descrive dettagliatamente il trapasso del santo, Giuseppe aveva ben centoundici anni quando morì, godendo sempre di un'ottima salute e lavorando fino al suo ultimo giorno. Avvertito da un angelo della prossima morte si recò a Gerusalemme e al suo ritorno venne colpito dalla malattia che l'avrebbe consumato. Stremato nel suo letto, sconvolto dai tormenti, è travagliato nella mente e solo la consolazione di Gesù riesce a calmarlo. Circondato dalla sposa e dai figli del primo matrimonio, viene liberato dalla visione della morte e dell'Oltretomba, scacciate subito da Gesù stesso. L'anima del santo viene quindi raccolta dagli arcangeli e condotta in paradiso. Il suo corpo viene poi sepolto con tutti gli onori alla presenza dell'intera Nazaret.

Ancora oggi non sappiamo dove si trovi la tomba del santo, nelle cronache dei pellegrini che visitarono la Palestina si trovano alcune indicazioni circa il sepolcro di San Giuseppe. Due riguardano Nazaret e altre due Gerusalemme, nella valle del Cedron. Non esistono, tuttavia, argomenti consistenti a riguardo. Alcuni santi presumevano che egli fosse stato assunto in cielo in anima e corpo al tempo della resurrezione di Cristo.

Giuseppe nella Tradizione cristiana

Nei Vangeli apocrifi

Dal secolo II, vennero composti vangeli apocrifi secondo le intenzioni delle sette gnostiche, in cui si nota però un desiderio di approfondire misticamente le visioni del padre di Gesù e le parole dell'angelo durante i sogni, e anche di considerare l'esistenza di Giuseppe in rapporto ad alcuni brani profetici e spirituali del­l'Antico Testamento. Nessuno degli antichi scritti è stato accettato come divinamente ispirato, dalla Chiesa. In primo luogo per la tardività di tali scritti (II secolo e oltre) e in secondo luogo per le vistose contraddizioni presenti in essi, e rispetto ai vangeli canonici. La notorietà di tali scritti ha portato comunque al fatto che essi hanno dato materia per artisti e scrittori, e per questo motivo non è mancato un influsso sui pittori cristiani e anche sulla pietà dei monaci antichi.

Questo fatto non può essere dimenticato, anche se i teologi sottolineano giustamente che in questi scritti apocrifi si tratti di ricerche maniacali per met­tere il prodigioso nella vita di Giuseppe e della sua famiglia e che dal punto di vista teologico si incon­trano fatti ed episodi che rasentano il volgare, l'invero­simiglianza di alcune narrazioni bibliche. Eppure, ciò non toglie che gli scritti apocrifi siano tuttora una lettura importante per comprendere il comune sentire del cristianesimo primitivo, perché questi racconti ne alimentavano l'immaginario e la pietà e perfino le aspettative.

Cominciando col Protovangelo di Giacomo (o «Primo Vangelo» o Storia di Giacomo sulla nascita di Maria), questi è un testo composto nella seconda metà del secolo II, probabilmente in Egitto, con l'impegno di difendere la verginità di Maria. Già nelle prime pagine vi è una narrazione del suo fidanzamento con Giuseppe, all'età di dodici anni. Maria viene soltanto "affidata alla custodia di Giu­seppe"[4], non per vivere in futuro con relazioni matrimoniali. Però i figli di Giuseppe vengono considerati come "fra­telli di Gesù". Non si parla dell'età di Giuseppe. È un uomo vecchio, però ancora in grado di lavorare. Così egli lascia Maria a casa e si allontana "per costruire costruzioni", cioè per lavorare per costruire edifici. La frase dice: egli fu muratore.

Segue il racconto molto romanzato dell'Annun­ciazione. Giuseppe soffre, ha numerosi sospetti, in cui si riporta la celebrazione del rito dell'oblazione di gelosia di Nm 5,11-31. Dopo sei mesi di lavori di costruzione, Giuseppe torna a casa. Vedendo Maria, è spaventato dal misterioso fatto di vederla incinta. Ma l'angelo gli appare, gli spiega il mistero, obbligandolo a "guardare a Maria". Così parte con lei per Betlemme, dove nasce il bambino. Una donna saggia, di nome Salomè viene a visitare Maria e con­stata la sua verginità anche dopo il parto. Segue la narrazione dell'adorazione dei magi, con alcuni altri eventi, ma non si nomina Giuseppe, più volte chiamato "servo obbediente degli ordini del­l'Altissimo" e "fedele custode di Maria".

Per l'infanzia di Gesù esi­stono nei vari apocrifi anche altre narrazioni inven­tate, ma ben accolte dalla devozione popolare nei secoli seguenti. Per esempio, nel cosiddetto Vangelo dell'infanzia di Tommaso, si hanno numerose menzioni del "padre del Sal­vatore che con molta fatica e pazienza si è dedicato all'educazione del bambino Gesù". Questo Vangelo dell'infanzia, che nella sua forma attuale risale al secolo IV, è diventato celebre per la narrazione dei miracoli compiuti da Gesù fra i cinque e i dieci anni.

Comincia con il racconto che Giuseppe inviò Gesù a scuola per imparare l'alfabeto greco. Quando ha otto anni, il bambino comincia a lavorare con Giuseppe, per diventare, come lui, un agricoltore e carpentiere. Quando nel Vangelo dell'infanzia ven­gono riportati i miracoli di Gesù, ripresi probabilmente quelli compiuti in Egitto, si conclude con la meravi­gliosa guarigione di uno dei figli di Giuseppe mortal­mente ferito da un serpente velenoso[7]. In tutto Giuseppe appare come uomo onesto e apprez­zato per la sua vicinanza, un padre presentato in modo agiografico, usando il termine di san Giuseppe.

Per concludere, san Girolamo smentirà l'idea di un Giuseppe vecchio e già con figli, egli pensa che il santo non era sposato prima di scegliere Maria e che era ancora giovane. Seguendo la sua espo­sizione, viene detto: Giuseppe "contrasse matri­monio con Maria: questa era sui 14 o 15 anni, lui sui 18 o 20 anni. Queste le età solite per il matrimonio presso gli ebrei... Giuseppe e Maria vivono assieme, sotto il medesimo tetto. I giorni passano, e per Maria si avvicina il tempo del parto".



Negli scritti patristici

Scopo prin­cipale dei primi teologi cristiani è stato liberare la figura del Santo dalle varie devozioni ed eresie scaturite dagli Apocrifi ed arrivare così, attraverso lo studio dei vangeli, a un accurato esame della genealogia di Gesù, del matrimonio di Giu­seppe e Maria e della costituzione della Sacra Fami­glia. Questi tre momenti essenziali ritornano in tutte le loro ricerche; talvolta si aggiungono anche riflessioni cri­stologiche, per poter interpretare certe ipotesi che riguardano la legge del matrimonio, la giustizia di Giuseppe, il valore dei suoi sogni ma non si arriva mai a poter presentare un suo profilo biografico.

Il primo autore che ricorda Giuseppe è Giustino. Nel III secolo Origene in un'omelia ha voluto mettere in luce che "Giuseppe era giusto e la sua ver­gine era senza macchia. La sua intenzione di lasciarla si spiega per il fatto di aver riconosciuto in lei la forza di un miracolo e di un mistero grandioso. Per avvi­cinarsi ad esso, egli si ritenne indegno"

Nel secolo IV sono stati san Cirillo di Gerusalemme, San Cromazio di Aquileia e Sant' Ambrogio a fare qualche riflessione sulla verginità di Maria, sul matrimonio di Giuseppe con lei, sulla vera paternità del suo sposo. Per esempio, san Cirillo fa un para­gone per spiegare la paternità di Giuseppe e lo riallaccia alla figura di Sant'Elisabetta.



L'interpretazione di Cromazio

Di san Cromazio sono rimaste 18 pre­diche che riprendono i primi capitoli del Vangelo di Matteo. Egli afferma: "Non a torto Matteo ha ritenuto di dover assicurare che Cristo Signore nostro è figlio sia di Davide che di Abramo, dal momento che sia Giuseppe sia Maria traggono origine dalla schiatta di Davide, e cioè essi hanno un'origine regale".

Nella terza predica Cromazio si dedica a un approfondimento teologico del racconto di Mt 1,24-25:

« Continua a narrare l'evangelista: Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli avesse rapporti carnali con lei; partorì un figlio, che egli chiamò Gesù. Dunque, Giuseppe viene illuminato sul sacramento del mistero celeste mediante un angelo: Giuseppe obbedisce di buon grado alle rac­comandazioni dell'angelo; pieno di gioia dà esecuzione ai divini comandi; prende perciò con sé la Vergine Maria; può menare vanto delle promesse che annun­ciano tempi nuovi e lieti, perché, per una missione unica, qual è quella che gli affida la maestà divina, viene scelta ad essere madre una vergine, la sua sposa, come egli aveva meritato di sentirsi dire dall'angelo. Ma c'è un'espressione dell'evangelista: Ed egli non la conobbe fintanto ché lei non generò il figlio, che attende una chiarificazione, dal momento che gente senza cri­terio (gli eretici e lettori di libri apocrifi) fanno que­stioni a non finire; e poi dicono che, dopo la nascita del Signore, la Vergine Maria avrebbe conosciuto car­nalmente Giuseppe. Ma la risposta all'obiezione mossa da coloro, viene sia dalla fede che dalla ragione della stessa verità: l'e­spressione dell'evangelista non può essere intesa al modo in cui l'intendono quegli stolti! Dio ci guardi dall'affer­mare una cosa simile, dopo che abbiamo conosciuto il sacramento di un sì grande mistero, dopo la condi­scendenza (il concepimento) del Signore che si è degnato di nascere dalla Vergine Maria. »

Credere che lei possa aver poi avuto dei rapporti carnali con Giuseppe, Cro­mazio lo esclude e, per vincere categoricamente tale opi­nione esistente ai suoi tempi, porta l'esempio della sorella di Mosè, che volle conservare la verginità. Nomina anche Noè che



« sì impose una perenne asti­nenza dal debito coniugale. Se vogliamo un altro esempio, Mosè, dopo aver percepito la voce di Dio nel roveto ardente, anche lui si astenne da qualsiasi rap­porto coniugale per il tempo che seguì. E sarebbe per­messo credere che Giuseppe, che la Scrittura definisce uomo giusto, abbia mai potuto avere relazioni carnali con Maria, dopo che ella aveva partorito il Signore? La spiegazione del testo evangelico: ed egli non la conobbe fintanto che lei non generò il figlio, è la seguente: spesso la Scrittura divina suole assegnare un termine a quelle cose che per sé non hanno termine e deter­minare un tempo per quelle cose che per sé non sono chiuse entro un determinato tempo. Ma anche per questo caso ci viene in soccorso la Scrittura; tra i molti esempi possibili ne scegliamo alcuni pochi. »

L'ultima ripresa della figura di Giuseppe è legata al racconto sul ritorno dalla fuga in Egitto.



Secondo Ambrogio ed Agostino

Simili interpretazioni si possono dimostrare anche in sant'Ambrogio che, leggendo i racconti degli evan­gelisti, sottolinea quanto egli fosse sincero e privo di menzogna e nel vivo desiderio di presentare Giuseppe come uomo giusto, Ambrogio avverte che l'evangelista, quando spiega "l'immacolato concepimento di Cristo" vide in Giuseppe un giusto che non avrebbe potuto contami­nare "Sancti Spintus templum, cioè la Madre del Signore fè econdata nel grembo dal mistero" dello Spirito Santo".

Nel commento classico del Vangelo, fatto poco dopo il Natale del 417 da sant'Agostino nel suo Sermone sulla Genealogia di Cristo, vengono riprese preziose notizie e opinioni anteriori. Giuseppe è descritto come uomo sinceramente giusto, tanto giusto che, quando credeva Maria un'adultera, non volle tenersela né osò punirla espo­nendola al pubblico discredito. Decise di ripudiarla in segreto poiché non solo non volle punirla, ma nemmeno denunciarla. "Molti perdonano le mogli adultere spinti dall'amore carnale, volendo tenerle, benché adultere, allo scopo di goderle per soddisfare la propria passione carnale. Questo marito giusto invece non vuole tenerla; il suo alletto dunque non ha nulla di carnale; eppure non la vuole nemmeno punire; il suo perdono, dunque, è solo ispi­rato dalla misericordia".

Agostino mette in luce il significato della sua paternità spiegando come la Scrittura voglia dimostrare che Gesù non nacque per discendenza car­nale da Giuseppe poiché egli era angosciato, perché non sapeva come mai la sposa fosse gravida. Per attestare la non paternità di Giuseppe, Agostino cita l'episodio dello smarrimento di Gesù al tempio quando egli dice: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? "Rispose così, poiché il Figlio di Dio era nel tempio di Dio. Quel tempio infatti non era di Giu­seppe, ma di Dio. Poiché Maria aveva detto: Tuo padre e io, ango­sciati, ti cercavamo, egli rispose: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? In realtà egli non voleva far credere d'essere loro figlio senza essere nello stesso tempo Figlio di Dio. Difatti, in quanto Figlio di Dio, egli è sempre tale ed è creatore dei suoi stessi genitori; in quanto invece figlio dell'uomo a partire da un dato tempo, nato dalla Vergine senza il consenso d'uomo, aveva un padre e una madre".

Agostino sente però la necessità di dire che Gesù non disconosce Giuseppe come suo padre ed infatti sottolinea come il giovane Nazareno fosse durante l'adolescenza sottomesso ai suoi genitori, quindi sia a Maria che a Giuseppe. Per Agostino è molto importante spiegare la pater­nità di Giuseppe, poiché le generazioni sono contate secondo la sua linea genealogica e non secondo quella di Maria: "Enumeriamo perciò le generazioni lungo la linea di Giuseppe, poiché allo stesso modo che è casto marito, così è pure casto padre".

Lo Pseudo-Crisostomo e lo pseudo-Origene

Nel secolo VI, ricordiamo a riguardo le omelie dello Pseudo-Crisostomo e dello Pseudo-Origene. Nel­l'Omelia dello Pseudo-Crisostomo Giuseppe viene messo in luce come uomo giusto in parole ed in opere, giusto nel­l'adempimento della legge e per aver ricevuto la gra­zia. Per questo intendeva lasciare segretamente Maria, egli non dubitava delle sue parole ma una grande angoscia riempì il suo cuore e quando gli apparve l'angelo a Giuseppe si domandò perché non si era fatto vedere prima della con­cezione di Maria perché accettasse il mistero senza difficoltà.

Anche nell'Omelia dello Pseudo-Origene si mani­festa l'intenzione di riflettere su un messaggio ante­riore dell'angelo. Egli domanda: "Giuseppe, perché hai dubbi? Perché hai pensieri imprudenti? Perché mediti senza ragionare? È Dio che viene generato ed è la ver­gine che lo genera. In questa generazione sei tu colui che aiuta e non colui dal quale essa dipende. Sei il servo e non il signore, il domestico e non il creatore".

Negli ultimi secoli del primo millennio si conti­nuano a studiare i diversi aspetti dell'esistenza e della missione di Giuseppe, cercando di esporre l'etimologia del suo nome, la sua discendenza davidica, e soprat­tutto le solite realtà biblico-teologiche.



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