Niccolo Ammaniti Che la festa cominci



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Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci1

 
 
17. Organizzazione dei gruppi-caccia Vestizione e assegnazione delle armi  
Dopo il discorso di Chiatti tutti gli invitati si mossero in branco dal buffet alla zona di 
preparazione per la caccia. Si respirava un’atmosfera eccitata e alcolica. I drink nello 
stomaco e la droga nella testa avevano reso tutti gioviali e di buonumore. Come aveva 
promesso l’immobiliarista, trovarono le tende per cambiarsi. Su un lato c’era 
un’armeria. Decine di fucili erano poggiati sulle rastrelliere. Le hostess segnavano su dei 
fogli i partecipanti ai diversi safari e facevano firmare una dichiarazione di non 
responsabilità. Se qualcuno si faceva male, si sparava, non erano affari di Sasà Chiatti. 
Fabrizio Ciba si aggirava nell’accampamento ripensando alle parole di Bocchi. Quel 
balordo non aveva tutti i torti. Il filmino porno alla fine poteva portare un mucchio di 
pubblicità e forse le vendite dei suoi romanzi sarebbero ripartite alla grande. E senza 
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considerare che poteva diventare un idolo del sesso, cosa che non fa schifo a nessuno. 
In quel momento l’amministratore delegato della Martinelli insieme a Matteo 
Saporelli e al critico Tremagli uscirono da una tenda vestiti in abbigliamento coloniale. 
Pantaloncini corti, camicia cachi e cappello di sughero da esploratore. Tra le mani 
stringevano dei grossi fucili guardandoli come manufatti alieni. 
La caccia al leone è da escludere. 
Simona Somaini sbucò dalla tenda della caccia alla volpe con un paio di pantaloni che le 
fasciavano le gambe e il culo come una seconda pelle e la giacchetta rossa aperta quel 
giusto da mostrare le tette strizzate. La seguiva un bestione con il pizzetto e il codino, 
vestito con una mimetica militare, un fucile a pompa sottobraccio. 
Fabrizio aveva già visto il bestione. Doveva essere uno sportivo. 
Lo scrittore fece due passi e si ritrovò Larita davanti. Gli venne voglia di abbracciarla, 
ma si trattenne. 
Anche la cantante sembrava contenta di averlo ritrovato. – Ti ho cercato dappertutto. 
Ma dove eri finito? 
Ciba fece quello che gli veniva più naturale. Menti. – Ti stavo cercando. Senti, ma che 
facciamo? Non mi dire che vuoi partecipare a ’sta pagliacciata? 
– Io? Mai sei matto? Io sono animalista. 
– Brava! – Ciba era sollevato. – Allora scappiamocene. 
Lei lo guardò stupita. – Io non posso andarmene, devo cantare… Sono venuta qui per 
questo. 
Fabrizio cercò di mascherare la delusione. – Hai ragione. Non ci avevo pensato, 
però… – Non riuscì a finire la frase perché un lipizzano bianco gli si parò davanti, 
sollevandosi sulle gambe posteriori. Sasà Chiatti in groppa al destriero cercava, tirando 
le redini, di tenere fermo l’animale, che scartava a destra e a sinistra. – Che fate qua voi 
due? Perché non vi siete cambiati? Ho un elefante che mi parte mezzo vuoto. 
Larita gli fece segno di no con la mano. – Io sono contro la caccia. Non sparerò mai a 
una tigre. 
L’immobiliarista si chinò sul collo lucido del cavallo per non farsi sentire dagli altri 
invitati. – Ma chi spara a chi? È un momento ludico. La tigre poi ha un cancro al colon. 
Ha un mese di vita se le dice bene. Le fate solo un favore. È una gita. Ma quando vi 
ricapita un’occasione del genere? Su… – Si voltò indietro e lanciò un fischio da 
pecoraro. 
Un barrito riecheggiò nel giardino all’italiana. Dalle fronde dei lecci si sollevarono 
pappagalli e cornacchie. Poi la terra cominciò a sussultare. Un elefante spuntò dal 
boschetto sparando intorno raggi di luce abbagliante. Lo avevano dipinto di arancione e 
azzurro e ricoperto di drappi su cui erano cuciti centinaia di piccoli specchietti rotondi. 
La lunga proboscide strappava rami dagli alberi e se li portava alla bocca. Gli avevano 
legato sulla groppa un cesto di vimini intrecciati. Dentro c’era un signore anziano con 
gli occhiali, un loden verde e un buffo cappello di feltro. Stringeva un fucile tra le mani. 
Accanto a lui un adolescente con gli occhi coperti da una frangetta scura. I due si 
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tenevano ai bordi della cesta beccheggiando a ogni passo dell’animale. Seduto sul collo 
un piccolo filippino con il perizoma bianco e il turbante conduceva la bestia, sferzandola 
con una canna. 
– Ecco il vostro elefante – . Chiatti alzò una mano e il filippino fermò il pachiderma. 
Poi si rivolse all’uomo nel cesto. – Dottor Cinelli, per cortesia, tiri giù la scaletta. Ci 
sono altri due passeggeri. 
Il vecchio puntava il fucile verso gli alberi, cercando la tigre. 
– Nonno! Nonno! Hai sentito? Il signore ha detto di buttare giù la scala. Sì, vabbe’, 
buonanotte – . Il ragazzo si chinò, prese la scaletta di canapa e la calò giù: – Scusatemi, 
è un po’ sordo. 
Larita guardò Fabrizio, combattuta. – Che facciamo? 
Ciba sollevò le spalle. – Decidi tu. 
Larita, a bassa voce, imbarazzata: – Mi sa che ci tocca andare. Forse è scortese 
rimanere qua. Ma non spariamo, però. 
– E chi spara.

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