Filosofia e Rivoluzione Industriale. La rivoluzione industriale



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L’amore per principio, l’ordine per fondamento, il progresso per fine (A. Comte)
La Filosofia nell’età dell’industria e del progresso tecnico-scientifico.


  1. Filosofia e Rivoluzione Industriale.

La rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra nell’ultimo periodo del XVIII secolo e promossa da una serie di fattori demografici, tecnologici e culturali, portò ad un aumento esponenziale della produttività ed al successo di un modello socio-culturale che influenzò l’Europa intera.1 La rivoluzione industriale diede il via, con l’utilizzo massiccio del ferro e del carbone, alla più radicale trasformazione delle forme produttive della storia umana ed i pensatori, i filosofi e gli intellettuali in genere, cercarono di cogliere, analizzare e decodificare gli aspetti sociali e culturali di un fenomeno di tale portata. Una nuova generazione di studiosi s’impegnò nella costruzione di filosofie in grado spiegare ciò che stava accadendo. Ovviamente questo avvenne nelle tre nazioni caratterizzate, se pur in tempi diversi, dai rapidi processi di trasformazione sociale che seguirono all’industrializzazione.
Aree geografiche e indirizzi di pensiero.



Utilitarismo, Positivismo e Materialismo storico.



  • Inghilterra: la prima nazione ad elaborare un nuovo corso del pensiero fu l’Inghilterra, in quanto fu la prima a produrre il fenomeno dell’industrializzazione. Qui, all’interno della prima rivoluzione industriale, nacque il moderno pensiero economico. Se, nella loro ricerca sull’uomo, i filosofi del passato si erano sempre occupati di produttività, questi nuovi pensatori concepivano la loro teoria economica in modo unitario, organico e soprattutto autonomo. Dopo il decano degli economisti inglesi, Adam Smith (1723-1790), i successivi analisti dei fenomeni produttivi, come David Ricardo (1772-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1833), Jeremy Bentham (1748-1832), John Stuart Mill (1773-1836) si presentarono come specialisti e, sul solco della tradizione illuminista, s’impegnarono in quell’operazione di “ingegneria sociale”, che mirava ad analizzare ed a costruire la società del futuro e che prese il nome di Utilitarismo.

  • Francia: Quando anche la Francia cominciò il suo processo di industrializzazione massiccia, a partire dai primi anni dell’Ottocento, molti filosofi percorsero la via che aveva tracciato il vecchio illuminista, Claude de Saint-Simon (1760-1825), in particolare il di lui allievo Auguste Comte (1798-1857), il quale, negli anni trenta del secolo, diede il via alla grande stagione del Positivismo.

  • Germania: La Germania, ultima nazione ad industrializzarsi, dominata culturalmente dall’organica teoria idealistica, sviluppò in breve tempo una modificazione strutturale delle relazioni sociali ed economiche, delle quali due giovani hegeliani di sinistra, il tedesco Karl Marx (1818-1883) e l’inglese Friedrich Engels (1820-1895), elaborarono uno studio teorico e critico che, nei decenni successivi, sarebbe stato sviluppato anche sul piano politico e avrebbe dato vita ad un “sistema” tra i più fecondi della storia del pensiero, il “Materialismo storico e dialettico marxista”.

Se la prima rivoluzione industriale, che aveva nelle fabbriche, nel settore tessile e nell’invenzione della ferrovia i suoi cardini, fu l’età dei pensatori economisti, i teorici dell’Utilitarismo, la seconda rivoluzione, periodo di straordinario progresso scientifico, esteso a tutti i campi del sapere (dalle scienze della natura a quelle dell’uomo), segnò il definitivo divorzio tra la scienza e la filosofia vera e propria con il trionfo del Positivismo, che denomina complessivamente la tendenza di un’epoca.



I. 1. L’Utilitarismo inglese. La nascita della scienza economica.

L’Utilitarismo della prima parte dell’ottocento può esser considerato come la prima manifestazione del positivismo in Inghilterra. Fu una filosofia sociale, corrispondente a quella contemporanea francese, che ebbe i suoi massimi esponenti nei tre teorici Bentham, James Mill e John Stuart Mill e nei grandi analisti dell’economia politica Thomas Robert Maltus e David Ricardo. Di costoro ci siamo già occupati nel corso di Storia (cfr. Studiare Storia vol 2. pag.270-271). Malthus, nel suo Saggio sulla popolazione, constatò che una popolazione tende a crescere secondo una progressione geometrica, contro la progressione aritmetica di accrescimento dei mezzi di sussistenza, determinando uno squilibrio che può essere eliminato solo eliminando la miseria o controllando preventivamente le nascite, con l’astensione dal matrimonio. Ricardo analizzò il rapporto tra il salario del lavoratore e il profitto del capitalista mettendone in luce l’antagonismo. Bentham, sulla scia di Cesare Beccaria, riteneva che il fine di ogni organizzazione sociale fosse “la maggior felicità possibile per il maggior numero di persone” e, in base a questa massima, affermò che un’azione è buona solo in quanto è utile alla felicità comune. Da qui, oltre che il termine utilitarismo, deriva un bilancio morale dei piaceri che, se soddisfano ai caratteri di intensità, durata, certezza, prossimità, fecondità, purezza (incapacità di produrre dolore) ed estensione (capacità di essere estesi al maggior numero di persone), si potranno considerare il Bene. Il positivismo di Stuart Mill, è un positivismo sociale come quello di Comte, ma, mentre quello di Comte è un razionalismo radicale, quello di Stuart Mill è un non meno radicale empirismo, come nella più pura tradizione inglese. Condusse una critica alla logica proponendo una radicale riformulazione dei suoi termini e delle sue metodologie d'indagine, affermando che l’induzione è ciò a cui si riduce ogni conoscenza vera; ogni proposizione universale è una generalizzazione dei fatti osservati, ma cosa giustifica tale generalizzazione dato che non è possibile osservare tutti i fatti? Il principio dell’uniformità delle leggi di natura: “è una legge che in natura esistano leggi”= La legge di causalità. Essa asserisce che “ogni fatto che ha un inizio ha anche una causa”. Questa è la base di ogni induzione e permette di riconoscere nella natura un ordine costante e necessario dei fenomeni. Ma, chi mi assicura che tale legge di causalità valga anche in tutti i firmamenti dell’universo siderale? La legge stessa che regola l’induzione è un’induzione, un circolo vizioso. In economia politica Mill afferma, sulla base dei precedenti di Smith, Malthus e Ricardo, che le leggi della produzione sono leggi di natura, mentre quelle della distribuzione dipendono dalla volontà umana, dal diritto e dal costume. Quel che trattiene Mill dall’aderire al socialismo, del quale condivide il riconoscimento e la condanna delle ingiustizie sociali, è l’esigenza di salvaguardare le libertà individuali.
I. 2. Il Positivismo. Mito del progresso e culto della scienza.

Movimento filosofico e culturale, caratterizzato dall’esaltazione della scienza e dei suoi metodi, il Positivismo nasce in Francia nella prima metà dell’Ottocento e s’impone a livello europeo solo nella seconda parte del secolo.

Il decollo del sistema industriale, della scienza e della tecnica, la possibilità di accelerare gli scambi commerciali e culturali su larga scala determina un “clima” di fiducia entusiastica nelle potenzialità del sapere scientifico e tecnologico e una generale fiducia nell’incontrastabile progresso umano. Il continuo avanzamento della ricerca (nella chimica, nella fisica, nell’ingegneria, nella medicina) offrì il miglior motivo di diffusione di questo sentore di ottimismo che si tradurrà in un vero e proprio culto per il pensiero scientifico e tecnico. Per cui, se l’Illuminismo aveva celebrato come tipo ideale il “filosofo” ed il Romanticismo “il poeta”, il Positivismo esalta soprattutto lo “scienziato”, di cui è incarnazione massima quel Newton della biologia che è Darwin.



  1. Complessivamente visto, il positivismo della seconda metà del secolo appare come la vera filosofia della moderna società industriale, tecnico-scientifica, l’espressione culturale delle speranze e delle infatuazioni ottimistiche che hanno caratterizzato un’epoca. Non per nulla si sviluppa principalmente in quelle nazioni all’avanguardia nel progresso industriale e scientifico.

  2. Il Positivismo dunque appare come l’ideologia tipica della borghesia liberale dell’occidente, che di questa rivoluzione è stata fautrice. Con questa borghesia emergente il positivismo condivide ideali e punti di vista, come la fiducia nella moderna società industriale e la tendenza politica riformista nemica tanto del conservatorismo quanto del rivoluzionarismo socialista che, proprio in quegli anni, con Marx, andava elaborando una critica dell’esistente, una fotografia in negativo dei “costi umani” collegati alle strutture socio-economiche del capitalismo industriale.

Il termine Positivismo fu coniato da Auguste Comte (1798-1857), che, nella sua opera fondamentale, Corso di filosofia Positiva (1830), fornì la base teorica di quella che diventerà in seguito una vera e propria “scuola”. Dalla metà del secolo, infatti, il Positivismo di Comte si diffuse in tutta Europa, assumendo progressivamente i tratti di una filosofia, di una visione del mondo e di un’ideologia, per non dire una religione, al pari di quella romantica capace di esercitare una vastissima influenza.

    • Il sapere “positivo”, per Comte, è un sapere che fa ricorso esclusivamente a leggi e metodi scientifici, rifiutando ogni spiegazione del mondo di carattere metafisico che si rifaccia ad ipotesi non dimostrate o a principi religiosi. Positivo, utile, certochimerico, vano, vago.

Su questa base, i caratteri fondamentali del positivismo sono:

  1. Il ricorso al metodo della scienza (= osservazione dei fenomeni, formulazione di ipotesi e loro verifica sperimentale)

  2. La totale indipendenza della ricerca scientifica da legami con la religione.

  3. L’estensione del metodo scientifico ad ogni manifestazione della vita dell’uomo, compresa quella associata che può essere oggetto di studio come un organismo.

  4. Nascita della sociologia come scienza atta a indagare l’organismo societario, a individuarne malattie e soprattutto indicare possibili cure.


I. 3. Comte. Il positivismo sociale.

Il positivismo della prima metà del secolo prende le mosse dal pensiero sociale del conte Henri de Saint-Simon, le cui idee sul potere della scienza influenzarono notevolmente i progressi materiali dell’industria europea e le correnti socialiste successive, miranti ad una più armonica e giusta organizzazione sociale. Fra queste le più notevoli e originali furono quelle di Charles Fourier (1772-1835) e di Pierre-Joseph Proudhon, il cui primo scritto Cos’è la proprietà? contiene la famosa definizione “La proprietà è un furto”.

Dalla filosofia di Saint Simon prende le mosse il fondatore del positivismo Auguste Comte (1798-1857). Nato a Montpellier, Comte studiò al Politecnico di Parigi, fu amico e collaboratore di Saint-Simon. Nel 1830 pubblicava il primo volume del Corso di filosofia positiva. La parte dell’opera di Comte che ha avuto maggiore risonanza, diretta o in chiave polemica, è la sua dottrina della scienza. Nella prima parte della sua carriera egli cercò di trasformare la scienza in filosofia (ovvero di classificare e codificare le scienze in conformità a principi rigorosi), mentre nella seconda cerca di trasformare la sua filosofia in una sorta di religione.

Il bisogno di una rigenerazione universale”, politica e filosofica al contempo, fu la molla che portò Comte a considerare la “scienza positiva” come la soluzione definitiva a tutti problemi del genere umano. La “scoperta” fondamentale di Comte, punto di partenza della sua filosofia, è la Legge dei tre stadi, ossia la legge che spiega, lo sviluppo del pensiero umano, dalle origini ai nostri giorni. Ogni stadio descrive un modo complessivo di intendere il mondo ed i suoi fenomeni, “tre modi insomma di fare filosofia”.

Questa legge, che è il cuore del positivismo, riconduce, in sintesi, la storia dell’umanità a tre stadi di sviluppo: lo stadio teologico, che rappresenta l’infanzia dell’umanità; lo stadio metafisico, la giovinezza; quello positivo, la maturità del genere umano. Alle origini, l’umanità viveva in una condizione spirituale teologica, dove, in un mondo incomprensibile ogni evento naturale era spiegato con l’intervento di cause o potenze sovrannaturali e divine. In seguito, in Grecia nacque la metafisica. Mediante essa l’uomo vuole comprendere il mondo, le essenze elementari che lo compongono e le leggi che lo regolano. Nonostante il balzo in avanti, Comte ritiene questo stadio ancora imperfetto poiché, nonostante in esso l’uomo abbia raffinato la propria forza razionale, lo stadio metafisico altro non è se non “una semplice modificazione del precedente stadio”, in quanto sostituisce agli agenti soprannaturali principi astratti quali il “principio di causa”, il concetto di “essenza”. In questo stadio l’uomo, piuttosto che concentrarsi sul mondo dell’esperienza, rivolge la sua attenzione a ciò che immagina sia nascosto dietro. Nello stato positivo, lo spirito umano, da Galileo in poi, riconoscendo l’impossibilità di pervenire a ragioni assolute, rinuncia a cercare l’origine e il destino dell’universo, a conoscere le cause ultime dei fenomeni, per dedicarsi esclusivamente a scoprire, con l’uso opportunamente combinato del ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive, ossia le loro relazioni invariabili di successione e somiglianza. In altre parole, il pensiero positivo rinunciando al chiedersi il “perché” delle cose si concentra esclusivamente sul “come”.

Facendo un esempio pratico, la filosofia positiva accetta che i fenomeni generali dell’universo siano spiegati dalla legge newtoniana della gravitazione (= la tendenza di tutte le molecole le une verso le altre, in ragione diretta delle loro masse e in ragione inversa dei quadrati delle loro distanze),2 che spiega una serie di fenomeni legati alla pesantezza dei corpi ed alla loro attrazione reciproca; ma rinuncia a spiegare che cosa siano in se stesse l’attrazione e la pesantezza, perché questo lo lascia “all’immaginazione dei teologi o alle sottigliezze dei metafisici”. A proposito dell’esempio riportato riguardo alla pesantezza ed all’attrazione, tutte le volte che si è tentato di definire questi principi, dice Comte, non si è riusciti a far altro che spiegare l’uno per mezzo dell’altro e viceversa, “dicendo, per quanto riguarda l’attrazione, che essa è un peso universale e poi, per il peso, che esso consiste semplicemente nell’attrazione terrestre”. Quindi la scienza evita di chiedersi quale sia la natura intima degli oggetti che misura, dato che il tentativo di spiegare la natura in termini metafisici porta a contraddizioni insolubili.3

La convinzione di Comte è che tutti i fenomeni, sia quelli naturali che quelli della vita dello spirito, siano il prodotto di sistemi complessi ma scomponibili nelle loro parti semplici, meccaniche e materiali. Questo prende il nome di riduzionismo.4 Poiché tale operazione di riduzione non si attua con la stessa facilità in tutti gli ambiti del sapere, Comte propone l’organizzazione di una enciclopedia delle scienze in senso gerarchico, che collochi le scienze secondo un ordine di complessità crescente e comprenda infine quattro scienze fondamentali, da cui esclude le conoscenze applicate, di cui deve fornire un prospetto fondamentale. L’astronomia, la fisica, la chimica e la biologia sono tali scienze. Dal novero sono escluse: la matematica in quanto presupposta come il fondamento di tutte; la logica, che in quanto studio dei metodi di ogni scienza è interna a ciascuna; la psicologia che Comte non ritiene possa mai pervenire allo stadio di scienza, poiché da essa non è possibile ricavare dati oggettivi e quantificabili. Inoltre c’è una scienza che merita a pieno titolo il posto d’onore tra quelle positive ed è la sociologia. Ad essa tutte le altre dovrebbero essere subordinate come mezzi ad un fine. La “fisica sociale, come la chiama Comte, ha il compito di condurre la società ad una nuova e più efficace organizzazione del vivere comune ed a questo scopo deve costituirsi nella stessa forma delle altre discipline positive, ossia concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendano possibile la previsione, sia pure nei limiti della loro complessità superiore.

Lo scopo di ogni indagine scientifica è la formulazione della legge solo la legge permette la previsione e solo la previsione dirige e guida l’azione dell’uomo sulla natura. Scienza, donde previsione; previsione, donde azione. La scienza è previsione, dunque azione.

Essendo l’analisi di Comte esplicitamente diretta a favorire l’avvento di una società nuova che egli chiama sociocrazia (un regime fondato sulla sociologia, corrispondente a quello teocratico, fondato sulla teologia), lo studio della società in termini scientifici diviene indispensabile.

Statica e dinamica sono le due componenti della fisica sociale. La prima corrisponde al concetto di ordine e mette in luce la relazione intercorrente tra le varie parti del sistema societario, l’altra studia lo sviluppo continuo e graduale della società. Il progresso realizza un perfezionamento incessante, per quanto non illimitato, del genere umano, ma esso non implica che una qualsiasi fase della storia umana sia inferiore alle altre. La stessa nozione di progresso implica che ciascuno stadio consecutivo sia il risultato “necessario” del precedente e motore indispensabile del seguente.5 Per Comte, come per Hegel, la Storia è sempre, in tutti i suoi momenti, tutto ciò che deve essere e in ciò cita De Maistre: tutto ciò che è necessario esiste.6

Avverso alle moderne idee di libertà individuale e pluralismo, Comte concepisce il suo ordine sociale come un regime assolutista altrettanto organico di quello teologico che dovrebbe soppiantare. Espresso nel Sistema di politica positiva, questo nuovo ordine positivo interviene a ripristinare l’unità, culturale e pratica, infranta dall’interregno anarchico della società moderna e mira a trasformare la filosofia positiva in una religione. Il concetto fondamentale di questa nuova società è quello di Umanità che deve prendere il posto di quello di Dio. L’umanità come tradizione ininterrotta e continua del genere umano, che ha saputo gradualmente svilupparsi nelle sue età primitive (quella teologica e quella metafisica) per giungere all’età positiva, che preannuncia la sua piena maturità. L’umanità è tributaria di un culto dotato di un cerimoniale e di una morale. Tale morale è l’altruismo. Vivere per gli altri è la massima fondamentale. Infatti, accanto agli istinti egoistici l’uomo possiede naturalmente istinti simpatici, che l’educazione positivista può sviluppare gradualmente sino a renderli predominanti sugli altri.


II. Scienza e filosofia nell’Ottocento.
II. 1. Il Trionfo del meccanicismo e i germi della sua crisi.

Gli orizzonti delle scienze della natura, che ancora per Kant non si spingevano oltre i confini della meccanica, a partire dall’Ottocento si allargano a dismisura. Con la fondazione della termodinamica (ad opera di Robert Boyle, Sadi Carnot, Lord Kelvin e Rudolf Clausius7),8 dell’elettromagnetismo (che trova compiuto fondamento nell’opera di James Clerk Maxwell), col rapido sviluppo della chimica e d’alcune branche della biologia, la scienza ottocentesca si frantuma in una molteplicità di ricerche sperimentali, che rendono arduo quel tentativo di unificazione e di connessione organica tra i diversi territori dell’indagine scientifica auspicato da Comte. La feconda collaborazione tra scienza e filosofia, realizzata nell’età dell’Illuminismo, entra in crisi ma la pratica scientifica non riesce, tuttavia, a rinunciare ad alcuni principi prettamente filosofici che fungono da guida nell’indagine. In tal senso il quadro di riferimento, che fa da sfondo alla ricerca scientifica, è, e continuerà ad essere fino alla fine del secolo, il meccanicismo di cui troviamo una lapidaria formulazione nel famoso brano di Pierre Simon de Laplace (1749-1827): Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore e la causa di quello che seguirà. Un’intelligenza che per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva di tutti gli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta per sottomettere questi dati al calcolo, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e quelli del più leggero atomo: niente sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.9



Meccanicismo è un termine filosofico usato per indicare una concezione del mondo che evidenzia la natura esclusivamente corporea, e quindi meccanica, di tutti gli enti che lo compongono, che implica il rifiuto del finalismo e della metafisica. Vedi voce meccanicismo

La concezione meccanicista, nella sua versione ottocentesca, (perché si parla di meccanicismo classico, cartesiano e ottocentesco) riconduce il mondo a quattro distinte entità, lo spazio, il tempo, la materia e il movimento (o forza). Spazio e Tempo sono i contenitori formali entro cui hanno luogo i fenomeni, spiegabili con le leggi matematiche della meccanica che governano il moto. I principi che lo caratterizzano sono tre: il determinismo, il riduzionismo e la reversibilità.


►Il determinismo: è la dottrina filosofica secondo la quale tutto ciò che esiste o accade, comprese le conoscenze e le azioni umane, è determinato da una catena ininterrotta di eventi causali avvenuti in precedenza. La conseguenza più importante di questo principio è la convinzione che quel che accadrà in futuro è predeterminato dalle condizioni iniziali. Il determinismo è associato alle teorie del meccanicismo e della causalità, sulle quali si appoggia.

►Il riduzionismo: è posizione tipica del positivismo, per la quale gli enti, le metodologie o i concetti di una scienza, devono essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti. In questo senso il riduzionismo può essere inteso come un’applicazione del cosiddetto rasoio di occam (o “principio di economia”) che raccomanda di evitare ipotesi aggiuntive, quando quelle iniziali sono sufficienti (= Se una teoria funziona è inutile aggiungere una nuova ipotesi). Il riduzionismo è scientificamente giustificato, nell’ottocento, dalla convinzione che tutti i fenomeni di cui abbiamo esperienza siano il prodotto di sistemi complessi, ma pur sempre scomponibili nelle loro parti più semplici. Un essere vivente con ciò finisce per risultare solo una macchina complessa.



La reversibilità: è un principio che si deduce dalla natura dei fenomeni meccanici che risultano simmetrici rispetto all’inversione del tempo (si pensi agli urti elastici) e implica che il tempo possa essere percorso indifferentemente in un verso o nell’altro, ove si abbia a che fare con sistemi ordinati. Ad esempio, i corpi che costituiscono il sistema solare potrebbero, senza alcun’alterazione della fisica, percorrere le loro orbite in senso opposto dato che comunque dopo un certo lasso di tempo torneranno a presentarsi nella medesima posizione. Secondo questa visione il tempo non lascia tracce permanenti e pertanto una qualunque configurazione della materia, qualunque stato del sistema universo può, almeno in teoria tornare a proporsi, dopo che si è manifestato una volta. In termodinamica una trasformazione reversibile di un sistema è una trasformazione che, dopo aver avuto luogo, può essere invertita riportando il sistema nelle condizioni iniziali senza che ciò comporti alcun cambiamento nel sistema stesso e nell’universo. Una trasformazione per essere reversibile deve essere quasistatica, ossia deve essere effettuata con delle variazioni infinitesime delle condizioni del sistema in modo che questo possa essere considerato in equilibrio termodinamico in ogni istante. Il che se è irrealizzabile nella pratica, in quanto richiederebbe un tempo quasi infinito per compiersi essa rappresentò uno dei principi della scienza positivistica.


  • Il meccanicismo riposa, in ultima analisi, sull’inconfessata convinzione che lo scienziato possa osservare il mondo in una condizione assimilabile a quella della Intelligenza cui accenna Laplace, una condizione di non interferenza assoluta sull’oggetto osservato, da super-osservatore che non contamina il mondo né ne è contaminato (Nella prospettiva meccanicista manca ogni consapevole riflessione sulla presenza empirica dello scienziato nel mondo che egli osserva. La consapevolezza dell’interrelazione necessaria che si instaura tra l’osservatore e il mondo osservato, sembra assente; per essa si dovrnno attendere i primi decenni del Novecento).

  • Inoltre il meccanicismo si fonda sulla volontà di mantenere saldamente distinti e separati gli ingredienti del mondo. Lo spazio, la materia e l’energia.

Tuttavia, già nell’800, proprio nel momento in cui il meccanicismo sembra celebrare il suo massimo trionfo, emergono incrinature che iniziano ad eroderne le fondamenta. Non si tratta di novità nei contenuti (magnetismo, chimica, elettricità) i quali, infatti, contribuiscono a fornire nuovi argomenti alla tesi meccanicistica, ma di novità nei metodi di indagine e nei modelli interpretativi.

  1. Nell’ambito della matematica, si crea la separazione tra applicazione e ricerca puramente formale.

  2. Nell’ambito dei fenomeni fisici, in particolare nello studio sulla propagazione della luce, acquisisce rilievo l’ipotesi dell’indistinguibilità tra materia ed energia e si insinua il concetto di probabilità, contrario a quello di necessità, che assumerà un ruolo fondamentale nella meccanica statistica.

  3. Nell’elettromagnetismo, emerge il modello di campo, che entrerà in concorrenza con quello newtoniano dell’azione a distanza.

  4. Nella termodinamica, emergono teorie che, se da un lato rafforzano la teoria corpuscolare newtoniana, dall’altro incrinano il principio base del meccanicismo sulla neutralità e ininfluenza del tempo (dunque il principio di reversibilità).

  5. Nell’ambito della biologia, infine, si afferma una prospettiva storica, che, in linea di principio, si oppone anch’essa al concetto di reversibilità.

Tutti temi, questi, che sono premonitori della seconda rivoluzione scientifica.


  1. Intanto, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, la matematica tende, progressivamente, ad acquisire lo status di scienza puramente formale, che ricerca entro se stessa il proprio fondamento. Svincolata da ogni riferimento sensibile (= utilizzare il numero per calcolare e la geometria per descrivere lo spazio della nostra comune esperienza), la matematica perviene ad una libertà assoluta e tende a divenire la scienza, per dirla alla maniera di Leibniz, di ciò che è logicamente possibile. La ricerca di rigore concettuale favorisce altresì il conseguimento di un più alto livello di astrazione, sia in aritmetica che in geometria. I numeri complessi acquistano, ad esempio, pieno diritto di cittadinanza, anche se la fisica non ha ancora individuato una loro precisa utilizzazione. La geometria può scandagliare le possibilità di spazi alternativi, non euclidei. La geometria proiettiva, le funzioni complesse, la chiarificazione del concetto di limite, la teoria dei gruppi, l’algebra astratta e l’algebra logica, sono alcuni dei frutti più significativi del mutato atteggiamento (ne parleremo ancora più avanti nell’ambito della cosiddetta Crisi dei fondamenti).

  2. Nell’ambito della fisica, le ipotesi riguardo alla teoria ondulatoria della luce [proposta nel 1600 da Huygens e ripresa nell’800 da Augustin Fresnel (1788-1827) e da Michel Foucault (1819-1868)], si fanno spazio a scapito del modello newtoniano dell’azione a distanza. La teoria ondulatoria della luce si oppone a quella corpuscolare di Newton e implica l’introduzione di un medium di propagazione, puramente ipotetico e imponderabile, l’Etere, pervasivo di tutto lo spazio (compreso l’interno dei corpi) che possiede la capacità di interagire con la materia ma è difficilmente esperibile.


Teoria ondulatoria e teoria corpuscolare. I due Modelli a confronto.

La teoria ondulatoria di Huygens, affermava che la luce si trasmette per onde, che si propagano in un fluido, l’etere, allo stesso modo in cui il suono si propaga nell’aria. Il modello ondulatorio permetteva di spiegare fenomeni quali la riflessione, la rifrazione e la dispersione della luce nei vari colori.

La teoria corpuscolare di Newton, sosteneva che la luce è composta da particelle dotate di energia e impulso che si propagano in linea retta nello spazio vuoto, e quando incontrano un corpo, se questo è molto compatto, ne vengono respinti, e rimbalzano elasticamente secondo le leggi dell'urto.

  • Secondo Huygens, la luce è un’onda che si propaga in un mezzo che permea tutto l’universo.

  • Secondo Newton, la luce è formata da corpuscoli di massa piccolissima, emessi ad elevata velocità dalle sorgenti luminose.

Le due teorie proponevano due concezioni contrapposte.

Secondo il modello ondulatorio di Huygens, la luce è propagazione di energia e non di materia, ma richiede un mezzo materiale elastico per propagarsi, l’etere, mentre secondo il modello corpuscolare di Newton l’energia luminosa si accompagna al trasporto di materia, ma non richiede alcun mezzo per propagarsi.

Entrambi  i modelli erano in grado di descrivere in modo coerente la maggior parte dei fenomeni luminosi conosciuti, ma divergevano radicalmente nell’interpretazione di alcuni di essi, tra cui il fenomeno dei colori, della rifrazione e la teoria delle ombre.


  1. La teoria meccanicistica e newtoniana dello spazio risultava incrinata anche dagli studi del danese Hans Cristhian Oersted (1777-1851) che ipotizzavano la stretta relazione tra magnetismo ed elettricità (avanzata in precedenza dal filosofo italiano Gian Domenico Romagnosi, da Benjamin Franklin da Schelling), rendendo problematica la distinzione meccanicistica fondamentale tra spazio, materia ed energia.

Gli esperimenti del fisico francese André Marie Ampère (1775-1836) confermarono la stretta connessione tra magnetismo ed elettricità di Oersted, ma il rimando all’ipotetico (e poco dimostrabile) etere restava un elemento di forte imbarazzo. Sarà l’inglese Michael Faraday che, respingendo l’interpretazione newtoniana dell’azione a distanza, con i suoi esperimenti sulla limatura di ferro in prossimità del magnete, ipotizzerà uno spazio dinamico, percorso da molteplici linee di forza. È una fisica del continuo,10 quella di Faraday, che pone le basi, non solo per la fondazione rigorosa della teoria del campo (che sarà opera di Maxwell) ma anche per il definitivo superamento del “dualismo materia-energia”, che troverà conferma nella teoria della relatività ristretta.

Fu, però, lo scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879), che, con le sue quattro equazioni, elaborò la prima teoria moderna sull’elettromagnetismo. Le quattro equazioni di Maxwell dimostrano che l’elettricità, il magnetismo e la luce sono tutte manifestazioni del medesimo fenomeno: il campo elettromagnetico. Maxwell dimostrò che il campo elettrico e magnetico si propagano attraverso lo spazio sotto forma di onde alla velocità costante della luce. Egli ipotizzò per primo che la natura ondulatoria della luce fosse la causa dei fenomeni elettrici e magnetici. Tuttavia, egli rimase ancora legato alla teoria classica – ora abbandonata – della propagazione della luce attraverso l’etere luminifero, come abbiamo visto, un mezzo ineffabile e sfuggente ad ogni misurazione sperimentale che avrebbe permeato lo spazio vuoto.



  1. Come anticipato, gli studi sulla termodinamica se, da un lato, rafforzavano la teoria corpuscolare e quella della separazione tra spazio e materia, dall’altro incrinavano la tesi sulla neutralità e ininfluenza del tempo di fronte agli eventi, mostrando come tali eventi si dipanino in una storia irreversibile, le cui vicende possono essere in qualche modo anticipate, non sulla base di previsioni deterministiche, ma in virtù di semplici considerazioni probabilistiche.

Lo studio sulla natura del calore non aveva fatto apprezzabili progressi dai tempi di Galileo,11 fino a quando, sulla base delle riflessioni intorno al movimento delle macchine progettate da James Watt, l’ingegnere francese Sadi Carnot (1796-1832) diede una prima formulazione del secondo principio della termodinamica in base al quale “è possibile estrarre lavoro dal calore solo disponendo di due sorgenti a temperatura differente e il lavoro estratto è proporzionale al dislivello termico tra le sorgenti stesse”. Il primo principio della termodinamica (o principio di “conservazione dell’energia”), successivo di trenta anni, si ricollega direttamente al dinamismo settecentesco di ascendenza leibniziana. Mentre per Cartesio, padre del meccanicismo moderno, ciò che si conserva in-de-fi-ni-ta-men-te è la materia e, in subordine, quel particolare stato della materia che è la quantità di moto, per Leibniz, invece, è l’energia cinetica, che lui chiama forza viva, a costituire la sostanza del mondo.

Il principio leibniziano dell’indistruttibilità della forza viva, trovava conferma scientifica nella teoria del tedesco Hermann Helmholtz, (1821-1894) che, nel 1847, riassumendo gli studi del fisico inglese James Jules (1818-1889), pubblicava la legge sulla conservazione dell’energia. Ricollegabile storicamente al dinamismo settecentesco, alla cui base sta l’equivalenza tra calore e lavoro, la legge afferma che, sebbene possa essere trasformata e convertita da una forma all’altra, la quantità totale di energia di un sistema isolato è una costante, ovvero il suo valore si mantiene immutato



EG = 0) (ΔED = 0) (l’energia non si genera) (l’energia non si distrugge).

Tale teoria (nota anche come “primo principio della termodinamica”) sembrava richiamare in vita il vecchio miraggio del moto perpetuo.

Ma un’energia indistruttibile non significa un’energia perennemente disponibile e l’analisi dei processi di trasformazione dell’energia meccanica in energia termica mostrava, con Lord William Thomson Kelvin (1824-1907), la tendenza ineluttabile e universale della natura verso la degradazione e la dissipazione dell’energia e Rudolf Clausius (1822-1888) individuava nell’Entropia (una funzione di stato data dal rapporto tra quantità di calore e temperatura)12 una nuova grandezza capace di misurare il progressivo e inarrestabile incremento di dis-ordine, di mescolanza, verso cui tende un sistema termodinamico.

Studi, ricerche, ma anche meditazioni, che inevitabilmente coinvolgevano la filosofia sui problemi legati al tempo e all’universo.
Utilizzando i rapporti tra energia ed entropia, Clausius aprì la strada alla scoperta che l’entropia del sistema universo tende ad aumentare sempre, fino ad un ad un massimo, raggiunto il quale l’universo stesso si troverà in uno stato di morte immodificabile (grazie Clausius, ne avevo bisogno!)

Inoltre, una nuova disciplina, la “meccanica statistica” elaborata da James Maxwell e dal fisico teorico austriaco Ludwig Boltzmann (1844-1906), detto “il terrorista algebrico”, riuscì, in termini probabilistici e sulla base di un modello puramente meccanico, a fornire piena spiegazione della spontanea e misteriosa tendenza della natura a dissipare l’energia prodotta, tendenza già individuata da Lord Kelvin. La nuova disciplina offriva gli strumenti per trattare statisticamente i moti disordinati delle molecole, per i quali è impensabile un’analisi individuale (= come i controlli sulle uova negli allevamenti) e conferiva rilievo alla probabilità nello studio dei fenomeni fisici (il concetto di “probabilità” sino a quel momento era escluso dal campo della fisica).

In questa nuova disciplina, i moti molecolari sono meccanici, dunque pienamente reversibili; anzi potremmo dire che essi rappresentano l’ambito in cui il modello meccanico funziona meglio. Ma…La reversibilità a livello molecolare dei moti meccanici, si trasforma “de facto” in irreversibilità a livello macroscopico (= il sistema universo), e questo per una legge probabilistica di natura matematica, la stessa che ci dice quanto sia improbabile un terno secco.13
Ogni sistema fisico isolato tende spontaneamente ad evolvere (meglio dire “mutare) da una condizione di ordine ad una di disordine,14 da una configurazione improbabile ad una più probabile, e il grado di probabilità o di disordine di un sistema fisico, cioè la sua entropia, costituisce in un certo senso la misura del tempo trascorso, la traccia lasciata dietro di sé dal tempo. La termodinamica, a livello filosofico, evidenziava una conclusione sconcertante, l’universo, se può essere considerato un sistema chiuso, è volto verso una progressiva morte termica, ossia, secondo la visione prospettata da Clausius, da Kelvin e Helmholtz, è volto verso una configurazione in cui non si può ipotizzare alcuna forma di organizzazione. La meccanica statistica, così, se pure di controvoglia, era costretta a far posto all’asimmetria del tempo, alla sua irreversibilità. L’universo ha una storia che si dipana tra un non ben definibile “principio” ed una “fine”, caratterizzata da un totale livellamento termico. Questa teoria “del tempo asimmetrico” e della morte dell’universo era un’ipotesi terrificante per un’epoca dominata dal mito e dall’ideologia del progresso, infatti venne accettata solo all’inizio del secolo successivo, passato il tempo dell’ottimismo positivistico, quando si venne a trovare in sintonia con talune visioni tragiche dell’esistenza o con la riscoperta della trascendenza.15
II. 2. Il Positivismo evoluzionistico.

Il concetto di Entropia, emerso dagli studi sulla termodinamica di Robert Clausius e allegri compagni, reintroduceva in fisica la nozione di disordine già affermata da Empedocle e quella di “asimmetria del tempo”, per la quale ogni sistema fisico isolato tende spontaneamente a un progressivo passaggio da una condizione di ordine a una di disordine, passaggio del quale il tempo lascia invariabilmente una traccia.

Le ricerche sulla biologia, allo stesso modo, sviluppano un tema già affrontato dall’Illuminismo, vale a dire la convinzione che la vita sulla terra abbia una storia e segua una sua evoluzione, ma in senso opposto a quello evidenziato dalla termodinamica, poiché la traccia lasciata dietro di sé dal tempo evidenzia il lento affermarsi di una organizzazione.

Il primo tentativo di sistematizzare l’idea di un processo evolutivo della vita lo dobbiamo a Jean Baptiste Lamark (1744-1822). Nella sua Filosofia Zoologica (1809) e nella Storia Naturale degli invertebrati (1815-1822) egli enunciava la sua “teoria di trasformismo biologico”, fondata sulla non provata ipotesi di un’originaria tendenza della vita ad organizzarsi in forme sempre più complesse e ramificate. Tale intuizione, osteggiata dai sostenitori del fissismo come Georges Cuvier (1769-1832), rimase inascoltata. Ad essa, Georges Cuvier (1769-1832) oppose “la teoria della catastrofi”, che postulava la sparizione delle specie fossili ad opera di cataclismi che periodicamente hanno distrutto sulla terra le specie viventi. Dobbiamo attendere fino alla seconda metà del secolo perché l’evoluzionismo riprenda vigore su solide basi scientifiche, con l’intervento di Charles Darwin.

In termini filosofici l’“evoluzionismo positivistico” è l’indirizzo di pensiero che consiste nell’assumere il concetto biologico di evoluzione, desunto dalle dottrine di Lamark e Darwin, quale fondamento di una teoria generale della natura e nell’identificare nella stessa evoluzione la manifestazione di una realtà ignota e infinita. Condizionata dal presupposto romantico, che il finito sia manifestazione dell’infinito, tale teoria evoluzionistica generale presuppone che i singoli processi evolutivi, accertabili frammentariamente dalla scienza in alcuni aspetti della natura, siano saldati, gli uni agli altri in un processo unico, universale, continuo e necessariamente progressivo. Visto sotto questo aspetto l’evoluzionismo positivistico è l’estensione al mondo naturale del concetto di Storia elaborato dall’idealismo romantico.

Se il presupposto filosofico dell’evoluzionismo è il principio idealistico dell’infinito che si realizza nel finito, il punto di partenza di fatto è la teoria biologica, avanzata da numerosi studiosi (Buffon, Lamarck, Lyell) della “trasformazione della specie”, che ebbe la definitiva dimostrazione soltanto con le osservazioni e gli esperimenti di Charles Darwin (1809-1882), il quale, nel 1859, diede alle stampe L’origine della specie.

Il nucleo della teoria di Darwin si fonda sulla legge della “selezione naturale”, la quale viene desunta dall’osservazione di due ordini di fatti.


  1. L’esistenza di piccole variazioni organiche che si verificano negli organismi viventi nel corso del tempo sotto l’influenza delle condizioni ambientali.

  2. La lotta per la vita osservabile negli individui delle varie specie che tendono a moltiplicarsi in progressione geometrica (tale legge è desunta dalla dottrina di Malthus).

Da ciò consegue che gli individui che presentano mutamenti organici più vantaggiosi hanno maggior probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita, e in virtù del principio di ereditarietà vi sarà maggior tendenza a conservare, nelle generazioni future, i caratteri accidentali acquisiti.

La teoria ci dice che la natura ha selezionato gli individui più resistenti e scartato quelli “inadatti”, e questo vale anche per le specie, alcune delle quali sono sopravvissute ed altre no, e di queste ultime rimangono tracce nei residui fossili. Per Darwin “la selezione naturale agisce solamente per il bene di ciascun individuo […] e tenderà a progredire verso la perfezione”. Attraverso l’opera di Darwin la scienza ha inserito l’intero mondo degli organismi viventi nella storia progressiva dell’universo, e per quanto Darwin si fosse definito “agnostico” riguardo alla credenza in una “finalità” superiore della natura l’intera struttura della sua teoria si fonda sul presupposto dell’idea di progresso che dominava il clima romantico dell’epoca.16



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