60. Sorgente di Santa Susanna

60. Sorgente di Santa Susanna



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Comune di Rivodutri (RI)

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Si trova nella zona nord-orientale della piana reatina e affiora a 390 metri s.l.m. circa a due km a valle dal paese di Rivodutri.

Santa Susanna è tra le risorgive più grandi d’Europa e costituisce una delle principali emergenze naturali all’interno della Riserva dei Laghi nella piana reatina. Ha una eccezionale portata d’acqua di oltre 5000 litri/sec. che affiora nelle numerose polle d’acqua limpida e fredda che scaturiscono a valle della strada comunale e genera due corsi d’acqua: il fiume di Santa Susanna e il canale omonimo.

Il fiume riversa le proprie acque nel Lago di Ripasottile mentre il canale entra direttamente dentro il fiume Velino nel territorio di Colli sul Velino. Le acque della sorgente alimentavano un mulino tutt’ora funzionante che sfrutta la forza idrica per far girare le macine. Poco oltre l’acqua della sorgente viene utilizzata per rifornire le vasche di un allevamento ittico di trote.

Il paesaggio naturale è caratterizzato da specie tipiche delle zone umide: pioppi, salici, cannuccia palustre e fiori spontanei. L’avifauna è di grande interesse. Tuffetti, svassi e aironi non stanziali utilizzano l’area come luogo di svernamento provenienti dall’Europa del nord. Sono presenti anche cormorani e gabbiani attirati dalle attività di allevamento ittico e dalla ricchezza di cibo offerta dall’ambiente acquatico e dalla fauna minore (insetti, crostacei, molluschi e piccoli organismi) che costituiscono il primo fondamentale anello della catena alimentare. Anche molti rapaci che provengono dal Sudafrica e sono diretti nell’Europa nor-orientale invadono l’intera zona alla ricerca del nutrimento necessario per proseguire il viaggio.

La zona particolarmente ricca di acque era legata all’antica storia del Lacus Velinus. Alcune informazioni sul territorio riconducibili a Dionigi di Alicarnasso (1, 14-15) menzionano una serie di centri importanti tra cui Septem Aquas – Sette Acque – che sembra identificarsi con la località della sorgente di Santa Susanna che si trovava nei pressi della via Curia, nota via che si snodava sul tratto che da Rieti conduce a Cantalice e a Ponte Capo d’Acqua dalla quale si va fino a S.Susanna. Cicerone, noto avvocato del foro romano racconta che nel 54 a Cr. Quinto Assio lo condusse a visitare Septem Aquas, un luogo di grande interesse naturale.

Una delle famiglie legate al territorio delle Septem Aquas erano i Petilii, imprenditori locali menzionati su due monete di età repubblicana e su tre epigrafi di età imperiale, di cui una è murata sull’architrave della chiesa di Santa Susanna nella frazione di Piedicolle.

Gli insediamenti nella zona continuano a registrare un incremento fino al VI secolo al sopraggiungere dei Longobardi, quando Rieti diviene sede del Castaldato del Ducato di Spoleto con un grande margine di autonomia.

Dall’VIII secolo fu il monastero di Farfa ad assumere un ruolo di egemonia in tutto il territorio. Le fonti scritte farfensi sono assai precise nel delineare l’evoluzione del popolamento e del paesaggio nella conca reatina. Un primo mutamento si ebbe nei toponimi: Septem Aqua divenne Septepontium, forse a significare l’interesse per i ponti dopo la degenerazione del sistema viario della tarda età romana.

Ma i documenti farfensi in realtà testimoniano l’interesse economico dell’abbazia sui possedimenti di Septepontium. Le peschiere della zona dovevano essere molto redditizie, al punto che ci furono contrasti tra Farfa e le classi dirigenti longobarde che ne controllavano una larga parte. I contrasti sfociarono alla fine dell’VIII secolo in una azione intrapresa contro le peschiere dell’abbazie che furono danneggiate e depredate con ogni mezzo. La politica di acquisizione di peschiere continuò anche in età carolingia.

Dalle fonti si apprende che nell’anno 816 fu donata a Lodovico Pio una dote comprendente il pescatore Aunefrido con la propria casa e la peschiera in Septipontio.

Intorno al X secolo durante le invasioni saracene il prestigio di Farfa in questa zona cominciò a declinare anche a causa dei pescatori che avevano iniziato a ribellarsi alla sua supremazia Nel 982 l’abate Giovanni fu costretto a rivolgersi al Vescovo di Pavia, Pietro, nominato dall’imperatore Ottone I, che riconobbe i diritti del monastero sulla metà delle peschiere di Septempontium nelle quali i pescatori dovevano versare per la pesca un canone settimanale di tre pesci pubblici o di sei minori equivalenti a tre pubblici.

Alla fine del secolo XI e all’inizio del XII l’Abbazia di Farfa perse il controllo sulle acque e sui diritti di pesca.

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