Sul conflitto



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Madras, 22 dicembre 1965


È possibile mettere fine al conflitto in tutti i nostri rapporti, in casa, sul lavoro, in ogni area della nostra vita? Ciò non significa chiu­derci nell’isolamento, diventare monaci o ritirarci in un angolino della nostra immaginazione e della nostra fantasia; significa vivere in questo mondo per comprendere il conflitto. Finché c’è conflitto di qualunque tipo, la nostra mente, il cuore, il cervello non possono funzionare al meglio delle loro capacità. Lo possono soltanto quan­do non c’è attrito, quando c’è lucidità, e ciò è possibile solo quando la totalità della mente (l’organismo fisico, le cellule cerebrali, il com­plesso che chiamiamo mente) è in uno stato di non conflitto. Solo al­lora è possibile avere pace.

Per comprendere tale stato dobbiamo comprendere i conflitti che sorgono quotidianamente, la quotidiana battaglia con noi stessi e con i nostri simili, sul lavoro, in famiglia, tra uomo e uomo, tra uomo e donna, e la struttura psicologica di questo conflitto, cioè del con­flitto. Comprendere, al pari del vedere e dell’ascoltare, è una delle cose più difficili. Quando dite: “Capisco”, intendete non solo che avete afferrato perfettamente il senso di ciò che è stato detto, ma anche che quella comprensione diventa azione. Non potete compren­dere se capite solo intellettualmente, verbalmente, ciò che si sta di­cendo. Se ascoltate soltanto intellettualmente, cioè a livello verbale, non è certo comprensione. Se sentite qualcosa solo a livello emotivo, sentimentale, anche questa non è comprensione. C’è comprensione solo quando comprendete con tutto il vostro essere, ovvero quando non considerate una cosa in modo frammentario, solo intellettuale o solo emotivo, ma globalmente.

Comprendere la natura del conflitto richiede perciò non solo la comprensione del vostro specifico conflitto in quanto individui, ma la comprensione del conflitto dell’umanità nel suo insieme, che in­clude il nazionalismo, le differenze di classe, l’ambizione, l’avidità, l’invidia, il desiderio di posizione e di prestigio, la sete di potere, il dominio, la paura, la colpa, l’ansia, la morte e la meditazione, la glo­balità della vita. Per comprendere tutto ciò bisogna guardare, ascol­tare, non parzialmente, ma osservare l’intera mappa della vita. Una delle nostre difficoltà è che funzioniamo in modo frammentario, fun­zioniamo in modo parziale, siamo ingegneri, artisti, scienziati, uomi­ni d’affari, avvocati, fisici, e così via, e ogni frammento è in lotta con un altro frammento, disprezzandolo o sentendosi superiore.

Il problema è quindi: come osservare la totalità della vita in modo non frammentario? Se guardiamo la totalità della vita, non come in­duisti, musulmani, cattolici, comunisti, socialisti, docenti o religiosi, se vediamo lo straordinario movimento della vita che include tutto, morte, dolore, sofferenza, confusione, la totale mancanza d’amore, l’immagine del piacere che abbiamo creato nei secoli e che determi­na i nostri valori e le nostre azioni, se vediamo questa cosa immensa nella sua totalità, la nostra risposta a questa totalità sarà completamente diversa. È questa risposta, sgorgata dal vedere l’intero movi­mento della vita nella sua totalità, che porterà una rivoluzione in noi stessi, e questa rivoluzione è assolutamente necessaria. Gli esseri umani non possono continuare a fare come hanno sempre fatto, massacrarsi a vicenda, odiarsi l’un l’altro, dividersi in nazioni, fram­mentarsi in tutte queste meschine, piccole attività individuali, perché in questo modo si crea sempre più sofferenza, sempre più confusio­ne, sempre più dolore.

È possibile vedere la totalità della vita, che è simile a un fiume di grande bellezza che scorre continuamente, senza fermarsi, che è in movimento perché ha dietro di sé una massa d’acqua enorme? Pos­siamo vedere la vita nella sua totalità?

Solo se vediamo qualcosa nella sua totalità possiamo comprenderlo, e non possiamo vedere la totalità se c’è un’attività egoistica che guida e modella le nostre azioni e i nostri pensieri. È l’immagine egoistica che si identifica con la famiglia, la nazione, le ideologie e i partiti, politici o religiosi. È questo centro che afferma di cercare Dio, la verità, e così via, e che impedisce la comprensione della globalità della vita. Comprendere questo centro, ciò che è realmente, ri­chiede una mente che non sia ingombra di concetti e conclusioni. Devo conoscere in realtà, e non solo in teoria, ciò che sono. Ciò che penso, ciò che sento, le mie ambizioni, invidie, il desiderio di succes­so, di emergere, di prestigio, la mia avidità, le mie sofferenze: tutto questo è ciò che sono. Posso pensare di essere Dio, di essere qualcos’altro, ma ciò fa ancora parte del pensiero, dell’immagine che viene proiettata attraverso il pensiero. Se quindi non comprendete tutto ciò senza rifarvi a Shankara, a Buddha o a chiunque altro, se non vedete ciò che siete realmente giorno per giorno, il modo in cui parlate, in cui sentite, in cui reagite, non solo consciamente ma anche inconsciamente, se non costruite su ciò le fondamenta, come potre­ste spingervi più in là? Per quanto lontano possiate andare, sarà solo immaginazione, fantasia, inganno, e sareste degli ipocriti.

Dovete gettare queste fondamenta, cioè comprendere ciò che sie­te. Potete farlo solo osservando voi stessi, senza cercare di correggervi, senza cercare di modellarvi, senza dire che è giusto o sbagliato, ma vedendo ciò che avviene realmente. Ciò non vuol dire diventare ancora più egoisti; al contrario, diventate più egoisti se volete soltan­to correggere ciò che vedete, interpretare ciò che vedete alla luce di ciò che vi piace e non vi piace. Ma se osservate e basta, non c’è un rafforzamento del centro.

Vedere la totalità della vita richiede grande amorevolezza. Siamo diventati insensibili, e potete capire perché. In un paese sovrappo­polato, un paese povero interiormente ed esteriormente, un paese che è sempre vissuto di idee e non di realtà, un paese che ha sempre venerato il passato, con un’autorità radicata nel passato, è ovvio che le persone siano indifferenti a ciò che avviene nella realtà. Se vi os­servate, vedrete quanto poca amorevolezza avete, e l’amorevolezza è premura. Amorevolezza è senso della bellezza, non solo come ornamento esterno. Il senso della bellezza viene solo quando c’è grande gentilezza, grande considerazione, grande premura, che è l’essenza stessa dell’amorevolezza. Quando tutto ciò si inaridisce, i nostri cuo­ri si inaridiscono, e li riempiamo di parole, idee, citazioni, di cose che sono state dette. Coscienti di questa confusione, cerchiamo di resuscitare il passato, veneriamo la tradizione, ritorniamo indietro. Non sapendo come risolvere l’attuale esistenza con tutta la sua confusione, diciamo: “Torniamo indietro, ritorniamo al passato, viviamo secondo una cosa morta”. Così, messi di fronte al presente, fuggite nel passato, in una ideologia, un’utopia, e poiché il vostro cuore è vuoto lo riempite di parole, immagini, formule e slogan. Osservatevi, e lo vedrete.

Indurre naturalmente, liberamente, questo totale cambiamento della mente richiede grande e seria attenzione. Non vogliamo prestare attenzione, perché abbiamo paura di ciò che potrebbe accadere se riflettessimo davvero sui fatti reali, quotidiani, della nostra vita. Ab­biamo paura di guardare; preferiamo vivere una vita cieca, asfittica, triste, infelice, banale, e quindi vuota e priva di senso; e vivendo una vita priva di senso tentiamo di dare un senso alla vita. La vita non ha un senso. La vita è fatta per essere vissuta, e vivendola iniziamo a scoprire la realtà, la verità, la bellezza della vita. Per scoprire la ve­rità, la bellezza della vita, dovete comprenderne il movimento totale, e per riuscirci dovete mettere fine a un pensiero e a un modo di vivere frammentario. Dovete smettere di essere induisti, non solo di nome ma di fatto; dovete smettere di essere musulmani, buddhisti o cattolici con tutti i vostri dogmi, perché queste cose dividono le per­sone, dividono la vostra mente, il vostro cuore.

È sorprendente che ascoltate tutto ciò, ascoltate per un’ora e poi tornate a casa e ripetete il vecchio modello. Ripeterete il vecchio mo­dello all’infinito, e questo modello si basa essenzialmente sul piacere.

Dovete esaminare la vostra vita volontariamente, non perché il governo vi spinge a farlo o perché qualcuno ve lo dice. Dovete esami­narla volontariamente, senza condannarla, senza dire che è giusta o sbagliata, ma guardare. Guardando in questo modo, scoprirete che state guardando con occhi pieni di amorevolezza, senza condanna, senza giudizio, ma con affetto. Vi state guardando con affetto e quin­di con grande amorevolezza, e solo quando c’è grande amorevolezza e amore vedete la totalità della vita.


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