Giuseppe nel Medioevo. La nascita d'un primo culto giuseppino
Nel primo Medioevo, insieme ad una più ampia devozione mariana, cominciava lentamente a fiorire anche una devozione a San Giuseppe. Gli scritti dei monaci benedettini costituiscono un valido contributo per arrivare a un inizio del culto giuseppino, rimasto però legato ai loro ambiti religiosi, dove si cominciò a inserire il nome di Giuseppe nei loro calendari liturgici o nel loro martirologio.
Testi importanti sulla posizione di Giuseppe nell'opera della salvezza, si incontrano nei due grandi mistici benedettini: Ruperto di Deutz (+1130) e san Bernardo di Chiaravalle (+1153). Entrambi hanno tentato di chiamare i fedeli a una vera devozione a Giuseppe: San Bernardo di Chiaravalle ha cercato di descrivere con devoto impegno la sua umile e nascosta figura. Nei suoi Sermoni "In laudibus Virginis Mariae", composte per le feste della Madonna si trovano brani sul santo in cui è espresso che "la fama della Vergine Maria non sarebbe integra senza la presenza di Giuseppe". Sul santo, avverte Bernardo, non esiste "nessun dubbio che sia stato sempre un uomo buono e fedele. La sua sposa era la Madre del Salvatore. Servo fedele, ripeto, e saggio, scelto dal Signore per confortare la Madre sua e provvedere al sostentamento di suo figlio, il solo coadiutore fedelissimo, sulla terra, del grande disegno di Dio".
L'influsso di Bernardo si manifesta anche nella letteratura e poesia medioevale, è interessante pensare qui a Dante Alighieri che degnamente invoca il nome di san Giuseppe al vertice della Divina Commedia.
Tra i teologi san Bonaventura è stato il primo a ripensare al santo come protettore di Maria e Gesù Bambino nella povera grotta. Un altro francescano, il teologo Duns Scoto, sceglie alcune questioni intitolate "De matrimonio inter B.V. Mariam et sanctus Joseph". Propone una nuova spiegazione del loro sposalizio, ricorrendo alla distinzione tra il diritto sui corpi e il loro uso nel matrimonio che, secondo il teologo, è stato perfetto, sotto tutti gli aspetti, ed è da considerare una "questione divina regolata dallo Spirito Santo".
Secondo San Tommaso d'Aquino la presenza di Giuseppe era necessaria nel piano dell'Incarnazione poiché senza di lui la gente avrebbe potuto dire che Gesù era un figlio illegittimo, frutto di una relazione illecita. Cristo aveva bisogno del nome, delle cure e della protezione di un padre umano, se Maria non fosse stata sposata, i Giudei l'avrebbero considerata un'adultera e l'avrebbero lapidata. Il teologo medioevale continua dicendo che il matrimonio di Maria e di Giuseppe fu un vero matrimonio: "essi erano uniti l'uno all'altro dall'amore reciproco, un amore spirituale. Si scambiarono quei diritti coniugali che sono inerenti al matrimonio, anche se, per il loro voto di verginità, non ne fecero uso".
San Giuseppe nella teologia
La lode di san Giuseppe è nel Vangelo.
Matteo stima talmente san Giuseppe da farne l'introduttore al suo Vangelo, che inizia appunto con la genealogia, la quale ha lo scopo di agganciare Gesù a Davide e ad Abramo proprio attraverso Giuseppe; lo presenta, inoltre, come sposo di Maria, la persona certamente più in vista nella Chiesa apostolica; lo qualifica, infine, come uomo giusto, che comporta l'approvazione della sua condotta. Per questo san Bernardo dice candidamente che la lode di san Giuseppe è nel Vangelo. Nessun santo, eccetto Maria, occupa nel Vangelo un posto così distinto.
Eppure incontriamo ancora oggi chi ripete che il Vangelo ci riferisce poco o nulla di san Giuseppe e che, in ogni caso, la sua figura è marginale; di qui lo scarso interesse negli studi teologici, dove egli è del tutto ignorato.
C'è da aggiungere che, fin dai primi secoli, una letteratura che la Chiesa considera apocrifa, perché romanzesca, ha strumentalizzato la figura di san Giuseppe, attribuendogli figli avuti da un precedente matrimonio e un'età veneranda al momento del matrimonio con Maria. Evidentemente lo scopo degli apocrifi era quello di attribuire a lui "i fratelli di Gesù", nominati nei Vangeli, e garantire la verginità di Maria, sposata da un "vecchio" Giuseppe in seconde nozze. Contro questa letteratura sempre emergente bisogna tagliare corto, come faceva già san Girolamo affermando che queste cose non sono "scritte" nei Vangeli e che si tratta solo di "deliri". Le tante opere letterarie ed artistiche che rappresentano san Giuseppe vecchio e quasi marginalmente sono il frutto di questa mentalità. Ecco allora la necessità di conoscere "bene" san Giuseppe, seguendo il Vangelo e quanto il magistero ci insegna su di lui attraverso la dottrina e il culto.
La Cristologia non può ignorare san Giuseppe
Chi va a Betlemme, nella basilica della Natività, che risale all'imperatore Costantino, vede sulle pareti due genealogie di Gesù, denominate albero di Iesse e lì rappresentate nel 1169. Se la genealogia di Gesù ci viene tramandata da due evangelisti, Matteo e Luca, è chiaro che doveva essere ritenuta importante nell'annuncio del Vangelo. Nonostante le loro divergenze, che rivelano scopi differenti, in entrambe le genealogie occupano un posto rilevante il re Davide e Giuseppe. Nella chiesa apostolica interessava, infatti, che Gesù fosse riconosciuto come figlio di Davide, titolo con il quale le folle già si rivolgevano a Gesù, nella convinzione che egli fosse il Messia, termine che in greco si traduce con Cristo. D'altra parte, con la Pentecoste Gesù si era rivelato Figlio di Dio e ai cristiani era ormai noto che Gesù era stato concepito per opera dello Spirito Santo. Come conciliare, allora, l'origine divina di Gesù, "Figlio di Dio", con quella umana, "figlio di Davide"? Ci troviamo qui nel mistero dell'Incarnazione, che evidentemente aveva superato i confini delle attese umane. Comprendiamo così perché l'evangelista Matteo, dopo aver collegato tutti gli antenati di Gesù con il verbo "generò", arrivato a Giuseppe non lo usa più, ma si limita a scrivere: "Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo" (1,16).
Un matrimonio vero e necessario
La Chiesa crede che Maria ha concepito Gesù in modo miracoloso per opera dello Spirito Santo e la onora come "Madre di Dio". Se gli evangelisti, dunque, presentano Maria anche come "sposa di Giuseppe" non dovevano certamente mancare i motivi. Tra questi, ossia perché Gesù abbia dovuto nascere da una donna "sposata", san Tommaso d'Aquino ne indica alcuni non trascurabili: ad esempio, perché gli infedeli non avessero motivo di rifiutarlo, se apparentemente illegittimo; perché Maria fosse liberata dall'infamia e dalla lapidazione; perché la testimonianza di Giuseppe garantisse la nascita di Gesù da una vergine... Matteo, tuttavia, è più interessato al motivo cristologico, che si fonda sulla discendenza di Gesù da Davide. La sua garanzia dipende appunto dal fatto che Giuseppe, "figlio di Davide", era riconosciuto da tutti come "sposo di Maria". I figli della moglie, infatti, non sono giuridicamente figli del marito? La legge matrimoniale sta lì proprio per questo, a difesa dell'onore della donna e della prole. Ecco perché Giovanni Paolo II scrive: "Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe" (RC, n.7).
L'autenticità della paternità di san Giuseppe
Accanto alla testimonianza circa l'origine divina di Gesù, incontriamo nei Vangeli anche quella che Gesù era ritenuto il figlio di Giuseppe. Limitiamoci a Filippo, che dice a Natanaele: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret" (Gv 1,45). Bisogna anzi apertamente dire che il matrimonio di Giuseppe con Maria aveva talmente affermato la paternità di Giuseppe da nascondere la sua filiazione divina, ossia il Padre celeste. È stato scritto che Giuseppe è l'ombra del Padre, ma in realtà, secondo il piano di Dio, è invece, Giuseppe che ha messo in ombra il Padre.
L'Esortazione di Giovanni Paolo II afferma apertamente che nella santa Famiglia "Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è ‘apparente', o soltanto ‘sostitutiva', ma possiede in pieno l'autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia" (RC, n.21). Ciò comporta che "con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre".
Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la conseguente legittimazione della sua paternità all'interno della famiglia sono orientate verso l'incarnazione, ossia verso Gesù che ha voluto inserirsi nel mondo in modo "ordinato". Origene definisce Giuseppe appunto come "l'ordinatore della nascita del Signore". Il suo matrimonio onora la maternità di Maria e garantisce a Gesù l'inserimento nella genealogia di Davide, come abbiamo visto. Ma la teologia che fa da chiave a tutta l'Esortazione apostolica va ben oltre, come richiede l'unità "organica e indissolubile" tra l'incarnazione e la redenzione (n.6). Di qui l'affermazione che "san Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza'" (n.8). La definizione "Ministro della salvezza" descrive perfettamente la grandezza di san Giuseppe, che ha avuto il singolare privilegio di servire direttamente Gesù e la sua missione, ossia la sua opera salvifica. Tutti gli Angeli e i Santi servono Gesù, ma san Giuseppe, insieme con Maria, lo ha servito "direttamente" come padre. Ciò vuol dire che molte delle opere salvifiche di Gesù, definite come "misteri della vita di Cristo", hanno avuto bisogno della "cooperazione" di san Giuseppe. Il riferimento riguarda tutti quei "misteri della vita nascosta di Gesù", nei quali era indispensabile l'intervento paterno. Toccava al padre, infatti, iscrivere il bambino all'anagrafe, provvedere al rito della circoncisione, imporgli il nome, presentare il primogenito a Dio e pagare il relativo riscatto, proteggere il Bambino e la madre nei pericoli della fuga in Egitto. È ancora il padre Giuseppe che ha introdotto Gesù nella terra di Israele e lo ha domiciliato a Nazaret, qualificando Gesù come "Nazareno"; è Giuseppe che ha provveduto a mantenerlo, a educarlo e a farlo crescere, procurandogli cibo e vestito; da Giuseppe Gesù ha imparato il mestiere, che lo ha qualificato come "il figlio del falegname". Non ci vuole molto sforzo a comprendere quante cose deve fare un padre dal punto umano, civile e religioso. Ebbene, tutto questo lo ha fatto anche Giuseppe. Altro che "il vecchietto, dove lo metto?", come lo descrivono molti libri e immagini.
Il 'rispetto' dell'uomo giusto
Nel Vangelo di Matteo leggiamo che a Giuseppe viene attribuito il titolo di "giusto". Esso qualifica Giuseppe, che aveva deciso di separarsi da Maria quando aveva conosciuto che aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Tale decisione non era dettata da un sospetto, come spesso si legge, ma esprimeva, invece, il "rispetto" verso l'azione e la Presenza di Dio, tale da spiegare la fiducia che gli venne conseguentemente accordata, per mezzo dell'angelo, di tenere con sé la sua sposa e di fare da padre a Gesù.
La giustizia di san Giuseppe suppone in lui un'adeguata preparazione dello Spirito Santo. Allo stesso modo che Maria non si è trovata per caso a fare da madre a Gesù, ma era stata "progettata" allo scopo, come si ricava dal dogma dell'Immacolata Concezione, così si può logicamente ritenere che "Dio nel suo amore ha predestinato Maria per san Giuseppe, san Giuseppe per Maria, tutti e due per Gesù.
Se Dio ha pensato con tanto amore a Maria come madre del Redentore, ciò non fu mai indipendentemente dal suo matrimonio verginale con Giuseppe; egli non ha mai pensato a Giuseppe se non per Maria e per il suo divin Figlio, che doveva nascere verginalmente in quel matrimonio" (C. Sauvé). Siamo in perfetto accordo con quanto Leone XIII scrive nella sua Enciclica "Quamquam pluries": "È certo che la Madre di Dio poggia così in lato, che nulla vi può essere di più sublime; ma poiché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro.
Poiché il matrimonio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei".
Gli ultimi sviluppi: l'enciclica Redemptoris Custos
Il 15 agosto 1989, nel centenario dell'Enciclica di Leone XIII, intitolata Quamquam Pluries, Giovanni Paolo II ha scritto un'Esortazione apostolica sulla figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa; essa inizia con le parole Redemptoris Custos (Il Custode del Redentore), che definiscono il rapporto esistente tra Giuseppe e Gesù.
Questo importante documento pontificio deve essere considerato come la "magna charta" della teologia di san Giuseppe, proposta ufficialmente a tutta la Chiesa, a cominciare dai Vescovi fino a tutti i fedeli. L'Esortazione Il Custode del Redentore è strettamente collegata con l'Enciclica Redemptoris Mater (La Madre del Redentore), preceduta dall'Enciclica Redemptor Hominis (Il Redentore dell'Uomo) e seguita da un'altra Enciclica, intitolata Redemptoris Missio (La missione del Redentore), che si riferisce alla Chiesa. Appare così chiaro che il Magistero della Chiesa considera san Giuseppe inserito direttamente nel mistero della Redenzione, in stretta relazione con Gesù, verso il quale adempie la funzione di padre, con Maria, la Madre di Gesù, della quale egli è sposo, e con la Chiesa stessa, affidata alla sua protezione. Si tratta di un ruolo eccezionale, che fa da supporto alla devozione della quale san Giuseppe ampiamente gode nel cuore dei credenti e che la teologia non deve trascurare.
Culto
Il culto di san Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione, nella Chiesa d'Oriente era praticato già attorno al IV secolo: intorno al VII secolo la chiesa Copta ricordava la sua morte il 20 luglio. In Occidente il culto ha avuto una marcata risonanza solo attorno all'anno Mille.
Festività
La Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe il 19 marzo con una solennità di precetto a lui intitolata.
Una festa analoga è quella dello sposalizio di Maria Santissima con San Giuseppe, la cui celebrazione iniziò in Francia nel 1517; fu poi fatta propria dai Francescani nel 1537, e promossa in particolar modo da San Gaspare Bertoni. Viene celebrata solitamente il 23 gennaio, benché trasferibile in altra data.
Altra festa ancora è quella del Patrocinio di San Giuseppe, che Pio IX estese a tutta la Chiesa nel 1847. La festa, già celebrata a Roma dal 1478, veniva celebrata la terza domenica dopo Pasqua; fu trasferita poi al terzo mercoledì dopo Pasqua, e infine sostituita nel 1956 con la festa di San Giuseppe Artigiano, assegnata al 1 maggio.
In alcuni luoghi era celebrata, il 17 febbraio, la Fuga in Egitto, conservata ancora oggi da Copti al 1 giugno.
San Giuseppe (solennità)
La Solennità di San Giuseppe viene celebrata dalla Chiesa Cattolica il 19 marzo. Nel Rito Ambrosiano è chiamata precisamente San Giuseppe sposo della Beata Vergine Maria.
I primi a celebrarla furono monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399.
Venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V, ed estesa a tutta la Chiesa nel 1621 da Gregorio XV.
Fino al 1977 il giorno in cui la Chiesa celebra San Giuseppe era considerato in Italia festivo anche agli effetti civili, ma ciò venne eliminato con la legge n. 54 del 5 marzo 1977.
In Canton Ticino, in altri cantoni della Svizzera e in alcune province della Spagna, questo giorno è festivo agli effetti civili.
In Italia sono stati presentati nel 2008 alcuni disegni di legge per il ripristino delle festività soppresse agli effetti civili: San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, Santi Pietro e Paolo e il Lunedì di Pentecoste.
Tavole di San Giuseppe
In Sicilia e nel Salento sono diffuse usanze denominate "Tavole di San Giuseppe": la sera del 18 marzo le famiglie che intendono assolvere un voto o esprimere una particolare devozione al santo allestiscono in casa un tavolo su cui troneggia un'immagine del santo e sul quale vengono poste paste, verdure, pesci freschi, uova, dolci, frutta, vino. Sono poi invitati a mensa mendicanti, familiari e amici, tre bambini poveri rappresentanti la Santa Famiglia. Si riceve il cibo con devozione e spesso recitando preghiere, mentre tredici bambine con in testa una coroncina di fiori, dette "tredici verginelle", cantano e recitano poesie in onore di S. Giuseppe.
Talvolta è un intero quartiere a provvedere e allestire le tavole all'aperto. Alimento tradizionale di questa festa è la frittura, nota con il nome di "frittelle" a Firenze e a Roma, "zeppole" a Napoli e in Puglia, "sfincie" a Palermo. In alcune parti la festa è associata all'accensione di falò. In Canton Ticino sono tradizionali i "tortelli di San Giuseppe".
Pratiche devozionali
San Giuseppe è un santo molto onorato dalla Chiesa cattolica e per questo ricevette parecchi riconoscimenti liturgici: nel 1726 il suo nome fu inserito nelle Litanie dei Santi e nel 1815 nella preghiera A cunctis; nel 1833 fu approvata la recita di un piccolo ufficio di San Giuseppe al mercoledì e undici anni dopo il nome del Santo fu annoverato fra le invocazioni nelle preghiere da recitare dopo la Messa. Nel 1889 venne prescritta la preghiera A te o beato Giuseppe, da recitare il mese d'ottobre dopo il Rosario, mentre nel 1919 fu inserita nel Messale una Prefazio propria di San Giuseppe.
La più antica pratica devozionale in onore del santo risale al 1536 ed è chiamata "pratica dei Sette dolori e allegrezze di San Giuseppe"; secondo una leggenda, riportata da Fra Giovanni da Fano (1469-1539) fu il santo stesso, salvando due naufraghi da una tempesta, a promuovere e creare questa pia pratica.
Nel 1597 furono pubblicate a Roma le prime Litanie di San Giuseppe, nel 1659 approvato il Cingolo o Cordone di San Giuseppe, nel 1850 la Coroncina di San Giuseppe, lo Scapolare di San Giuseppe nel 1893, per ordine della Santa Sede. Altre pratiche sono quelle del Sacro Manto, dei nove mercoledì, la Novena perpetua, la Corona Perpetua, la Corte Perpetua. I papi Pio IX e Pio XI inoltre consacrarono il mese di Marzo a San Giuseppe.
Chiese e patronati
A Betlemme c'è una piccola chiesa, chiamata Casa di San Giuseppe. Secondo recenti studi questa non è la vera casa dove Gesù fu adorato dai Re Magi, perché la chiesa, ricostruita dai francescani, non può vantare una tradizione anteriore al secolo IV
In quanto alla casa di San Giuseppe a Nazaret fino al secolo VI rimase nelle mani dei giudeo-cristiani. Vi avevano eretto due chiesine, una dov'era la casa di Maria, e l'altra, dov'era la casa di Giuseppe. Lo attesta il pellegrino francese, Arculfo, che era sacerdote: "Nella chiesina della ex-casa di Giuseppe si trovava anche un pozzo lucidissimo dove i fedeli andavano ad attingere acqua per benedizione, tirandola con secchi dal pavimento della chiesa stessa". Nel VII secolo la pressione musulmana fece sparire questo santuario. L'altra chiesa, quella di Maria, non fu distrutta, ma esposta a pericoli. Solo nel XII secolo i Crociati ricostruirono solennemente questa chiesa dedicata all'Annunciazione e vi collocarono i ricordi alla sacra famiglia, a Maria, a Giuseppe e alla sua tomba. Edificarono anche su rovine un'altra chiesa, che nella tradizione locale fu considerata come la casa di Giuseppe.
In Italia la chiesa più antica dedicata al santo si trova a Bologna, costruita dai Benedettini nel 1129. A Roma la chiesa più antica è quella di San Giuseppe dei falegnami al Foro Romano, costruita nel 1540. Chiese e santuari dedicati al santo si ritrovano poi in tutto il mondo. Tra i santuari il più imponente è però quello di Montreal, in Canada, fondato nel 1904 dal beato Andrè. In Italia vi sono infine quattro basiliche minori: a Roma (San Giuseppe in trionfale), a Brescia, a Bisceglie (Bari), a Seregno (Milano).
L'8 dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna.
Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il santo: la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889.
Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra Famiglia a tutta la Chiesa.
Innumerevoli sono le categorie che lo considerano loro speciale patrono: viene invocato per l'infanzia, gli orfani, i vergini, la gioventù, le vocazioni sacerdotali, le famiglie cristiane, i profughi, gli esiliati. È speciale patrono degli operai in genere e segnatamente dei falegnami e degli artigiani. Si ricorre a lui inoltre per le malattie agli occhi, per gli ammalati gravi ed in particolare per i moribondi.
Nel secolo scorso un monumentale santuario è stato innalzato ai piedi del Vesuvio a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), paese che ne porta il nome.
Reliquie
Non ci sono reliquie di ossa di san Giuseppe, ne vengono indicate alcune, la cui provenienza non è, tuttavia, documentabile. Perugia dal 1477 si vanta di possedere l'anello nuziale di san Giuseppe; esso proviene da Chiusi, dove era stato portato da Gerusalemme nel secolo XI.
In Francia, a Joinville-sur-Marne è conservata la cintura di san Giuseppe, là portata da un crociato, nel 1254. Ad Aquisgrana, in Germania, nel tesoro di Carlo Magno figurano delle bende, ricavate dai calzettoni di san Giuseppe per fasciare Gesù. Nel Sacro Eremo di Camaldoli (Arezzo) si conserva il bastone di san Giuseppe. Esso proviene da Nicea, offerto dal Card. Bessarione, nel 1439. Un po' ovunque si possono incontrare frammenti del mantello o vesti di san Giuseppe.
Nell'arte
Fino al primo Medioevo, le rappresentazioni di Giuseppe nell'arte figurativa sono estremamente rare e sporadiche, per lo più in connessione con i patriarchi e gli antenati di Cristo. La più antica raffigurazione di Giuseppe come santo a sé stante, con l'attributo della verga fiorita, proviene da Taddeo Gaddi (1332-1338, affresco in Santa Croce a Firenze).
A partire dalla fine del XV secolo o dagli inizi del XVI secolo, il culto di Giuseppe inizia a fiorire, promosso soprattutto da Teresa d'Avila e dall'ordine dei gesuiti, e il santo troverà accesso nell'arte figurativa. A partire dal secolo XV egli è dipinto per lo più come uomo anziano, barbuto, in abiti borghesi o da lavoratore, successivamente anche con vestiti di foggia antica. Accanto alla verga fiorita appaiono, come attributi di Giuseppe, il bastone del viandante, gli strumenti del falegname e il giglio, simbolo di purezza.
In Italia s'impone la tipologia della Sacra Famiglia che nel barocco è vista anche come Trinità Terrestre. Il tipo devozionale di Giuseppe, sempre più diffuso a partire dal secolo XVI ha origine in Spagna. Il culto di San Giuseppe ha un suo vertice nella cappella di San Josè in Toledo, dove si trovava inizialmente anche il quadro di San Giuseppe dipinto da El Greco.
Società ed Istituti religiosi intitolati a san Giuseppe
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Congregazione di San Giuseppe (Giuseppini del Murialdo)
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Figlie di San Giuseppe di Rivalba
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Figlie di San Giuseppe del Caburlotto
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Figlie di San Giuseppe di Genoni
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Fratelli Giuseppini del Rwanda (Bayozefiti)
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Giuseppini del Belgio
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Madri degli Abbandonati e di San Giuseppe della Montagna
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Missionari di San Giuseppe del Messico
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Oblati di San Giuseppe (Giuseppini d'Asti)
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Serve di San Giuseppe
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Piccole Figlie di San Giuseppe
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Società di San Giuseppe del Sacro Cuore (Giosefiti)
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Suore di San Giuseppe di Cluny
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Società Missionaria di San Giuseppe di Mill Hill
Emmanuele
In Matteo 1,23 l'"angelo del Signore", rivolto a Giuseppe, chiama il figlio che sta per nascere Emmanuele (Εμμανουήλ), traslitterazione dell'ebraico עִמָּנוּאֵל ('Immanuèl), letteralmente "con-noi-Dio". Il passo rappresenta l'adempimento dell'oracolo messianico di Isaia 7,14.
Il nome non è presente altrove nel Nuovo Testamento.
Allegorie
Oltre a questi epiteti, soprattutto nel Vangelo secondo Giovanni vengono applicate a Gesù espressioni allegoriche come:
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agnello, agnello di Dio, agnello immolato (Gv 1,29; 1,36; 1Pt 1,19 e soprattutto in Apocalisse, 29 volte)
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luce, luce del mondo (Gv 1,9; 3,19; 8,12; 9,5; 12,35; 12,36; 12,46)
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pastore, buon pastore, pastore grande (Gv 10,11; 10,14; Eb 13,20; 1Pt 2,25; 5,4; Ap 7,17)
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pane della vita, pane vivo, pane di Dio (Gv 6,33; 6,35.41.48.51.58)
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vita (Gv 11,25; 14,6; 1Gv 1,2), autore della vita (At 3,15)
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vite (Gv 15,1; 15,5)
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ultimo Adamo (1Cor 15,45)
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porta (Gv 10,7)
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via (Gv 14,6)
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verità (Gv 14,6)
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Monogramma di Cristo
Il monogramma di Cristo o Chi Rho (o CHRISMON) è una combinazione di lettere dell'alfabeto greco, che formano una abbreviazione del nome di Gesù. Esso viene tradizionalmente usato come simbolo cristiano ed è uno dei principali cristogrammi. In Unicode il simbolo chi-rho corrisponde a U+2627 (☧).
Caratteristiche
Il simbolo si compone di due grandi lettere sovrapposte, la 'X' e la 'P'. Corrispondono, rispettivamente, alla lettera greca 'χ' ('chi', che si legge kh, aspirata) e 'ρ' ('rho', che si legge r).
Queste due lettere sono le iniziali della parola 'Χριστός' (Khristòs), l'appellativo di Gesù, che in greco significa "unto" e traduce l'ebraico "messia".
Ai lati di queste due lettere, se ne trovano molto spesso altre due: una 'α' ed un 'ω', alfa ed omega, prima ed ultima lettera dell'alfabeto greco, usate come simbolo del principio e della fine.
La scelta si rifà all'Apocalisse di Giovanni (21,6):
« Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. »
Le due lettere, quindi, alludono alla divinità di Gesù Cristo.
Talvolta sotto la gamba della P si trova una S, ultima lettera del nome 'Χριστός'. Attorno al monogramma viene inoltre disegnata una corona d'alloro, segno di vittoria. In questa forma il simbolo si presta a interpretazioni più complesse: se la lettera S è vista come un serpente trafitto dalla gamba della P, il simbolo commemora la vittoria di Cristo sul male. Il Monogramma di cristo rappresenta con numerose varianti, l’intreccio delle lettere greche X (chi) e P (rho), iniziali di Christos, spesso associato ad A (alfa) e Omega, la prima e l’ultima lettere dell’alfabeto greco, che indicano il figlio di Dio come principio e fine del tutto.
Origine
Il simbolo ha palesemente origine nella parte orientale dell'Impero romano, nella quale la lingua usata, e quindi l'alfabeto, era quella greca. Il monogramma di Cristo non compare sui primi monumenti cristiani, e inizia a trovarsi a partire dal III secolo in contesti di uso privato, soprattutto su sarcofagi cristiani.
La sua diffusione pubblica è successiva all'editto di Milano, con cui l'imperatore Costantino I permise con per la prima volta il culto pubblico del Cristianesimo e quindi permise pure che il Monogramma apparisse anche sulle chiese e basiliche cristiane. Il monogramma comparve anche sulle monete coniate da Costantino nel periodo 322-333 e dall'epoca di Costantino fu impresso sugli stendardi militari di tutti gli imperatori cristiani romani e bizantini.
La visione di Costantino
Secondo gli storici cristiani del IV secolo, l'Imperatore romano Costantino I pose il monogramma di Cristo sul labaro, lo stendardo militare imperiale, che doveva precedere l'esercito in battaglia.
Le circostanze, però, di questa scelta non sono chiare sia perché i resoconti degli storici non sono concordi, sia perché l'adesione pubblica di Costantino al cristianesimo fu un processo graduale, condizionato probabilmente anche dall'opportunità politica, e non una transizione istantanea, come emergerebbe dai racconti storici.
Nel capitolo XLIV del suo De mortibus persecutorum ("Come muoiono i persecutori") Lattanzio, il precettore del figlio di Costantino, afferma che Costantino lo avrebbe creato dopo aver ricevuto in sogno alla vigilia della battaglia al Ponte Milvio l'ordine di apporre sugli scudi dei suoi soldati un "segno celeste di dio". Al termine della giornata le sue schiere prevalsero.
Scrivendo in greco, Eusebio di Cesarea diede due versioni aggiuntive della famosa visione di Costantino:
Secondo la Historia ecclesiae ("Storia della chiesa"), l'imperatore ebbe la visione in Gallia, mentre tornava a Roma, molto prima della battaglia con Massenzio: la frase così come viene da lui resa era "Εν τουτο νικα" — letteralmente, "In questo, vinci!".
In una successiva memoria agiografica dell'imperatore, che Eusebio scrisse dopo la morte di Costantino ("Sulla vita di Costantino", ca. 337 339), l'apparizione miracolosa avvenne quando gli eserciti si incontrarono sul Ponte Milvio. In quest'ultima versione l'imperatore aveva meditato sulla questione logica delle sfortune che accadono agli eserciti che invocano l'aiuto di molti dei, e decise di cercare l'aiuto divino per l'imminente battaglia, dal "Solo Dio". A mezzogiorno Costantino vide una croce di luce sovrimpressa al Sole. Attaccata ad essa c'era la scritta In hoc signo vinces. Non solo Costantino, ma l'intera armata, avrebbe visto il miracolo.
Per giustificare la nuova versione degli eventi, Eusebio scrisse nella Vita che Costantino stesso gli aveva raccontato questa storia "e la confermò con dei giuramenti", in tarda età "quando fui ritenuto degno della sua conoscenza e compagnia". "In effetti", dice Eusebio, "avesse raccontato questa storia chiunque altro, non sarebbe stato facile accettarla". Lo storico Ramsey MacMullen, moderno biografo di Costantino, spiega:
« Se la scritta in cielo fu vista da 40.000 uomini, il vero miracolo risiederebbe nel loro silenzio sull'accaduto" (Constantine, 1969). »
Tra i molti soldati raffigurati sull'Arco di Costantino, che venne eretto solo tre anni dopo la battaglia, il labarum non compare, né è presente alcun indizio della miracolosa affermazione di protezione divina che era stata testimoniata, dice Eusebio, da così tanti. Se si crede al racconto di Eusebio sarebbe andata sprecata inspiegabilmente una grandiosa opportunità per il tipo di propaganda politica che l'Arco era stato espressamente costruito per presentare. La sua iscrizione dice che l'imperatore aveva salvato la res publica INSTINCTU DIVINITATIS MENTIS MAGNITUDINE ("per istinto [o impulso] della divinità e per grandezza della mente"). Quale divinità non viene specificato, anche se Sol Invictus— il Sole Invincibile (identificabile anche con Apollo o Mitra)— è iscritto sul conio costantiniano del periodo.
Nel suo Historia ecclesiae Eusebio riporta inoltre che, dopo la sua entrata vittoriosa a Roma, Costantino fece erigere una statua che lo raffigurava, "reggente il segno del Salvatore [la croce] nella sua mano destra." Non ci sono altri resoconti che confermino un così evidente monumento.
Costantino, inoltre, continuò a fregiarsi del titolo di Pontifex Maximus, ovvero di massimo esponente della religione pagana (come d'altronde fecero tutti gli imperatori cristiani nei decenni successivi). Alcuni deducono da ciò che egli non si fosse realmente convertito al cristianesimo come creduto dai più, ma che egli avesse solo un interesse politico verso questa religione e, quindi, che il labarum non fosse un simbolo cristiano.
L'interpretazione del suo uso come un simbolo specificatamente cristiano è comunque rafforzata dal fatto che l'imperatore Giuliano lo rimosse dalle sue insegne e che fu ristabilito solo dai suoi successori cristiani.
Nella Chiesa protestante
I cristiani protestanti, in particolare i restaurazionisti, rifiutano il suo uso perché non utilizzato dai primi cristiani e poiché credono sia di origine pagana, vedendolo come un simbolo del dio sole.
Usi recenti
Il Crismon si ritrova nel thriller a sfondo religioso L'ultimo Catone (El último catón, 2001), di Matilde Asensi. In questo romanzo, una setta segreta usa una versione leggermente modificata del Crismon per indicare le proprie basi.
Il nome lauburu, simbolo basco, può forse discendere proprio da labarum.
Il Crismon viene utilizzato anche in araldica con il nome labaro di Costantino.
Uffici di Cristo
Il termine uffici di Cristo è una categoria della cristologia cristiana che descrive le funzioni, i compiti, i servigi, che Gesù di Nazareth, secondo la Bibbia, è venuto ad assolvere (ed assolve tuttora) nel mondo, in particolare per coloro che appartengono alla Sua Chiesa.
La Cristologia si riferisce in modo particolare ai tre uffici principali di Cristo, detti anche il triplice ufficio di Cristo:
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L'ufficio profetico (la funzione di Profeta e di Maestro)
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L'ufficio sacerdotale (la funzione di Sacerdote)
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L'ufficio regale (la funzione di Re e di Medico)
Si potrebbe dire che Gesù Cristo (secondo la Bibbia) è il Profeta per eccellenza, il Sacerdote per eccellenza ed il Re per eccellenza, unico e irripetibile[1]. In questa forma, la descrizione degli uffici di Cristo è stata delineata la prima volta da Eusebio di Cesarea e poi, più dettagliatamente, da Giovanni Calvino. Per questo, la dottrina degli uffici di Cristo è particolarmente rilevante per la teologia della tradizione calvinista.
Gli stessi uffici e la capacità di compierli sono stati affidati da Gesù agli Apostoli e alla Chiesa fondata su Pietro, affidando loro il proprio Spirito e i propri sacramenti.
L'ufficio profetico
Il profeta è portavoce di Dio, chi parla autorevolmente in nome di Dio. Gesù è il profeta per eccellenza o (come afferma il prologo del Vangelo secondo Giovanni) la Parola stessa di Dio fattasi carne, cioè essere umano. Egli è il divino Maestro, Colui del quale persino gli avversari affermavano: «Nessuno parlò mai come quest'uomo!» (Giovanni 7:46); "essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?" (Marco 4:41). Il profeta annuncia ed interpreta la Parola di Dio per il passato, il presente ed il futuro, come pure spiega autorevolmente la Legge rivelata di Dio. Questa Sua funzione continua dopo la Sua Ascensione mediante lo Spirito Santo attraverso gli Apostoli ed oggi attraverso il ministero della Parola e nell'illuminazione spirituale dei credenti.
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L'Antico Testamento predice la venuta del Cristo come quella di un profeta. "L'Eterno, il tuo DIO, susciterà per te un profeta come me, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli; a lui darete ascolto" (Deuteronomio 18:15; cfr. Atti 3:23).
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"Tutti furono presi da timore, e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra di noi»; e: «Dio ha visitato il suo popolo" (Luca 7:16);
L'ufficio sacerdotale
Gesù Cristo, nella funzione di profeta, rappresenta Dio di fronte al Suo popolo. Nella funzione di sacerdote, rappresenta il Suo popolo di fronte a Dio. Come sacerdote ha il privilegio unico (nessun altro lo può fare meglio di Lui che, come eterno Figlio di Dio era da sempre accanto a Dio Padre) di accostarsi a Dio e di parlare e di agire così in favore dei Suoi, intercedendo per essi ed offrendo il sacrificio della Sua stessa vita per il perdono dei loro peccati.
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"Il SIGNORE ha giurato e non si pentirà: «Tu sei Sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec»." (Salmo 110:4);
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"Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della celeste vocazione, considerate Gesù, l'apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo" (Ebrei 3:1);
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"Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo" (Ebrei 4:14);
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Le caratteristiche di Cristo come sacerdote."Infatti ogni sommo sacerdote, preso tra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati; così può avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti, perché anch'egli è soggetto a debolezza; ed è a motivo di questa che egli è obbligato a offrire dei sacrifici per i peccati, tanto per sé stesso quanto per il popolo. Nessuno si prende da sé quell'onore; ma lo prende quando sia chiamato da Dio, come nel caso di Aaronne. Così anche Cristo non si prese da sé la gloria di essere fatto sommo sacerdote, ma la ebbe da colui che gli disse: «Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato»." (Ebrei 5:1-5);
La Sua opera sacrificale
Ciò che erano e facevano gli antichi sacerdoti di Israele nel tempio di Gerusalemme era una prefigurazione della Persona e dell'opera del Cristo. L'agnello che essi offrivano era simbolo di ciò che Cristo avrebbe compiuto. Egli è chiamato, infatti "l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". La Sua morte in Croce assume il valore del sacrificio ultimo efficace per riabilitare di fronte a Dio tutti coloro che fanno appello ad essa per il perdono dei loro peccati. L'opera sacerdotale unica ed irripetibile di Cristo è annunciata nel Nuovo Testamento in molti brani.
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"Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti." (Isaia 53:5);
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"Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»" (Marco 10:45);
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"Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Giovanni 1:29);
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"..egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia, e mediante le sue lividure siete stati guariti." (1 Pietro 2:24);
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"Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (1 Giovanni 2:2);
La Sua opera di Intercessore
Il Nuovo Testamento annuncia l'efficacia unica di Cristo come Mediatore fra noi e Dio. È per questo che la preghiera "in suo nome" è efficace. Non solo, ma Egli presenta il Suo sacrificio a Dio e, sulla sua base, il Suo popolo può fare propria ogni benedizione spirituale, lo difende contro le accuse di Satana, della Legge e della coscienza, assicura il perdono di tutto ciò di cui esso giustamente è accusato, e santifica il loro culto e servizio. "Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi (...) Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola" Giovanni 17:9,20.
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"Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi" (Romani 8:34);
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"Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro" (Ebrei 7:25);
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"Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto" (1 Giovanni 2:1);
L'ufficio regale
Come eterno Figlio di Dio, Cristo condivide con Dio Padre la regalità, l'autorità di Dio su tutto l'universo ed in modo particolare sulla Sua Chiesa. La Sua sovranità viene riconosciuta dal Suo popolo che volentieri si sottomette a Lui in ciò che Egli loro comanda (il "Regno di Dio").
Cristo come Re di Sion
Quando l'Antico Testamento parla del Messia come "re di Sion", esso intende la Sua regalità sul popolo eletto di ogni tempo e paese, che volentieri Gli si sottomette. Egli è "il Signore" per eccellenza, e questa è la prima confessione di fede della Sua Chiesa.
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"«Sono io», dirà, «che ho stabilito il mio re sopra Sion, il mio monte santo»" (Salmi 2:6);
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"...per dare incremento all'impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del SIGNORE degli eserciti" (Isaia 9:6);
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"Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine»." (Luca 1:32,33).
Cristo come Re dell'universo
Cristo, però, è anche Signore sugli elementi del creato, come dimostra nella Sua vita terrena quando manifesta essere in pieno controllo delle forze della natura, della vita e della stessa morte. Persino chi ora Gli si oppone resistendogli, alla fine dovrà cedere e (volente o nolente) "piegare le ginocchia" di fronte a Lui. Anche l'epiteto di medico attribuito a Cristo può essere fatto rientrare in questo ambito.
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"E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra" (Matteo 28:18);
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"Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla chiesa" (Efesini 1;22);
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"Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi" (1 Corinzi 15:25).
Vita di Gesù
La Vita di Gesù è conosciuta attraverso i quattro vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni). Essi rappresentano le uniche fonti testuali antiche che la descrivono dettagliatamente, ma si focalizzano soprattutto sugli ultimi anni caratterizzati dal ministero pubblico.
La nascita del moderno metodo storico-critico ha portato a esaminare criticamente i racconti evangelici, cercando di distinguerne il nucleo storico dagli aspetti leggendari e mitici[1].
Alcuni approfondimenti, in particolare relativamente a nascita, infanzia e giovinezza di Gesù, sono presenti anche nei vangeli apocrifi. Questi particolari tuttavia non sono riconosciuti dagli studiosi come storicamente fondati, sebbene abbiano influenzato più o meno ampiamente la tradizione artistica e devozionale cristiana.
La narrazione della vita e dell'insegnamento di Gesù procede nei quattro vangeli prevalentemente in modo parallelo, soprattutto tra i primi tre (Matteo, Marco, Luca) – detti per questo "sinottici" –: un certo episodio è narrato da più vangeli, solitamente con alcune variazioni, ma sono presenti anche lacune o racconti propri di un singolo evangelista. In Giovanni mancano numerosi racconti presenti nei sinottici, mentre sono presenti svariate aggiunte proprie.
Sinossi dei principali eventi della vita di Gesù
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