Certamente la maggior parte dei poliziotti ausiliari che prestarono servizio a partire dall'estate 1941 fu costretta a partecipare alla persecuzione e all'eliminazione degli ebrei. Questa partecipazione andava dal compito di rastrellare le vittime in occasione delle innumerevoli azioni di sterminio, allo sbarramento dei luoghi di esecuzione, fino a giungere alle fucilazioni. Al termine delle azioni di sterminio i poliziotti ausiliari locali partecipavano alla caccia alle vittime scampate; consegnavano le vittime catturate ai superiori tedeschi, oppure le fucilavano essi stessi. I poliziotti ausiliari sorvegliavano i ghetti, fino a che i loro occupanti non venivano eliminati, ed erano impiegati anche in questo ultimo tipo di azione. Tuttavia, i poliziotti ausiliari reclutati a partire dalla metà del 1942, fatta eccezione per la caccia agli ebrei fuggitivi, che durò fino al termine dell'occupazione nazista, ebbero rari contatti con le vittime ebree, dal momento che la maggior parte di esse era già stata eliminata. Senza il personale locale, più numeroso rispetto al personale tedesco, lo sterminio degli ebrei in Bielorussia sarebbe stato molto difficile da realizzare.
0002000070 ‣ Polonia . Nel dibattito internazionale riguardante gli autori non tedeschi dell'Olocausto, la Polonia occupa un posto particolare, determinato, tra l'altro, dai seguenti fattori61. Prima del 1939 in Polonia viveva la maggioranza degli ebrei d'Europa, più di 3.000.000 di persone, una comunità che equivaleva a oltre il 10% della popolazione nazionale complessiva. Gli occupanti tedeschi costruirono in territorio polacco tutti i campi di sterminio in cui gli ebrei, polacchi ed europei, furono eliminati. Più della metà di tutte le vittime dell'Olocausto perse la vita in territorio polacco e circa la metà delle vittime dell'Olocausto era costituita da ebrei polacchi. Inoltre la Polonia pagò il prezzo di vittime tra la popolazione non ebraica proporzionalmente più alto in confronto alle altre popolazioni coinvolte nella Seconda guerra mondiale. A perdere la vita durante l'Olocausto non furono solo i circa 3 milioni di ebrei polacchi, ma anche fino a un milione e mezzo di persone di etnia polacca, per lo più civili e non solo a causa del terrore tedesco, ma anche di quello sovietico. All'inizio, tuttavia, dopo la sconfitta e l'occupazione della Polonia, il terrore tedesco non prese ancora di mira in primo luogo gli ebrei polacchi, bensì l'intellighenzia polacca, considerata la promotrice della resistenza anti-tedesca similmente a quanto accadeva nelle regioni polacche occupate dai sovietici62. Il momento che segnò il cambio di trattamento nei confronti degli ebrei polacchi fu rappresentato dall'attacco tedesco all'URSS. Nelle regioni della Polonia orientale, fino ad allora occupate dai sovietici, si verificarono pogrom e fucilazioni di massa, soprattutto a danno di ebrei. I pogrom furono particolarmente intensi nel territorio dell'odierna Ucraina occidentale; vi parteciparono soprattutto ucraini, ma anche polacchi. Tuttavia questi eccessi si rivolsero in parte anche contro i polacchi63.
Le regioni della Polonia nordorientale, precedentemente occupate dai sovietici, più precisamente intorno alle città di Bialystok e di Lomża, furono anch'esse colpite da un'ondata di violenza antiebraica che fece migliaia di vittime. Qui si giunse in decine di località a eccessi di violenza. A questo proposito vanno distinte due diverse fasi della violenza. La prima iniziò subito dopo il ritiro dei sovietici e fu rivolta verso individui ben precisi: ebrei o polacchi accusati di collaborazionismo con gli occupanti sovietici o di complicità nelle stragi perpetrate dai sovietici. Centinaia di persone furono seviziate, percosse a morte o consegnate ai tedeschi e fucilate. Gli autori delle violenze erano molto spesso polacchi, vittime del terrore sovietico: prigionieri sfuggiti ai russi o detenuti scarcerati dai tedeschi, parenti di deportati o di giustiziati, oppure membri del movimento clandestino antisovietico, molto attivo in questa regione64. A questa ondata di violenza ne seguì un'altra più sanguinosa. Essa prendeva ora di mira tutti gli ebrei, compresi donne, bambini e anziani. In molte località della regione, ad esempio a Jedwabne, venivano compiute in modo pianificato azioni di sterminio indirizzate contro intere comunità ebraiche. Tali azioni erano ispirate e organizzate da commando mobili delle SS e in alcune località furono condotte da mano polacca. Altrove la partecipazione polacca si “limitava” al rastrellamento e alla sorveglianza delle vittime ebraiche, mentre l'uccisione materiale tramite fucilazione veniva effettuata dai responsabili tedeschi. Centinaia di polacchi presero parte a queste azioni omicide; nella sola Jedwabne furono circa quaranta65.
Dopo alcune settimane l'ondata di violenza si placò e gli invasori tedeschi passarono alla persecuzione e all'eliminazione sistematica degli ebrei, in modo simile alle restanti regioni orientali. Seguirono la ghettizzazione, gli espropri, i lavori forzati e, infine, l'eliminazione nelle camere a gas del campo di sterminio di Treblinka. L'aggressione militare tedesca all'URSS ebbe come conseguenza una radicalizzazione della persecuzione contro gli ebrei, che condusse allo sterminio totale anche nei restanti territori polacchi occupati dai tedeschi. Fu del settembre 1941 la decisione di eliminare gli ebrei del Warthegau (la regione attorno a Poznań e Lodź), mentre a ottobre si pianificò lo sterminio degli ebrei del Governatorato generale (la cosiddetta “azione Reinhard”). Il piano di annientamento prevedeva il massacro degli ebrei non tramite le fucilazioni di massa, come nelle regioni orientali occupate, ma tramite gassazione in fabbriche di morte appositamente costruite. I tedeschi realizzarono tali strutture nella Polonia occupata. Il campo di sterminio di Kulmhof entrò in funzione nel dicembre 1941, quello di Bełżec nel marzo del 1942, il campo di Sobibór nel maggio 1942, mentre quelli di Treblinka e Auschwitz nel luglio 194266.
A partire dal dicembre 1941 gli invasori tedeschi cominciarono a eliminare gli ebrei polacchi nei campi di sterminio. Le operazioni si svolgevano prevalentemente in questo modo: massicce forze delle SS e di polizia circondavano un ghetto o un quartiere ebreo. Esse conducevano fuori dalle abitazioni gli ebrei, radunandoli nel luogo di raccolta. Durante tali operazioni gli eccessi erano la norma: le vittime venivano bastonate e uccise, soprattutto quelle che tentavano la fuga, opponevano resistenza o le persone “non idonee al trasporto”, come i malati costretti a letto o i vecchi. Si verificarono anche stupri di donne ebree. Nel luogo di raccolta avveniva la selezione degli “abili al lavoro” e degli “inabili al lavoro”. Gli “abili al lavoro”, in primo luogo lavoratori giovani e qualificati, potevano restare nel ghetto o venivano inviati in un campo di lavoro, dove svolgere appunto lavoro forzato. Tutti gli “inabili al lavoro”, bambini, donne e anziani, venivano caricati nei convogli predisposti e trasportati in uno dei campi di sterminio, dove si procedeva alla loro eliminazione67.
In tutte queste operazioni gli autori tedeschi delle deportazioni si affidavano normalmente a forze proprie, cioè personale delle SS e di polizia, e a formazioni da loro istituite, composte da stranieri, come soprattutto gli “uomini di Trawniki” (v. sopra). Non di rado fornivano cooperazione attiva anche i membri dell'amministrazione civile e i soldati della Wehrmacht. Anche la polizia ebraica dei ghetti, soprattutto nei ghetti più grandi come quello di Varsavia, doveva prestare la propria collaborazione. Nelle località con comunità ebraiche più piccole, invece, per rastrellare le vittime ebree venivano impiegati anche poliziotti polacchi della cosiddetta “polizia blu”, i membri del “servizio edile” [Baudienst ], delle amministrazioni comunali e del corpo volontario dei vigili del fuoco. Nel Governatorato generale i giovani polacchi erano reclutati in forma coatta per il servizio edile: dal 1943 il rifiuto di prestare lavoro forzato per gli occupanti tedeschi fu punito con la pena di morte.
Le forze locali, nella Polonia sotto occupazione tedesca, svolsero quindi un ruolo subordinato nell'ambito delle deportazioni nei campi di sterminio, per il fatto stesso che nella maggioranza dei casi il coinvolgimento era forzato (per i membri del servizio edile) oppure disposto da ordini superiori (nel caso della polizia blu o dei polacchi appartenenti alle amministrazioni comunali). Questo, tuttavia, vale solo parzialmente nel caso della caccia alle vittime fuggitive. A partire dall'estate 1942 si ebbero fughe in massa dai ghetti. Migliaia di ebrei tentarono di salvarsi dall'imminente deportazione nei campi di sterminio cercando l'aiuto degli “ariani”. Gli occupanti tedeschi, di contro, procedevano con grande rigore: essi infliggevano pene draconiane a tutti coloro che tentassero in qualsiasi modo di aiutare gli ebrei; per costoro e per le loro famiglie era prevista la pena di morte, generalmente eseguita subito sul posto, in modo da scoraggiare tutti i potenziali soccorritori. Dall'altra parte i tedeschi resero obbligatoria la collaborazione dei cittadini nella cattura degli ebrei e dei fuggitivi, e se da un lato l'inosservanza dell'obbligo veniva punita, dall'altro ai collaboratori erano promesse ricompense68. In questo modo gli invasori tedeschi crearono condizioni a dir poco “paradisiache” per qualsiasi individuo predisposto al crimine: ormai vessare e consegnare gli ebrei non solo era permesso, ma diveniva addirittura un obbligo di legge. Non pochi dunque nella Polonia occupata erano disposti a fare ciò, già solo per la prospettiva di vantaggi materiali. È molto difficile calcolare quanto fosse grande il numero di costoro e la loro percentuale rispetto alla popolazione complessiva. Nel caso di Varsavia si presumono tra i 4000 e i 5000 gli abitanti polacchi che assunsero un atteggiamento attivo nella caccia agli ebrei nascosti: una percentuale compresa tra il quattro e il cinque per mille della popolazione polacca di Varsavia69.
Pochi studi si sono finora occupati delle modalità in cui si svolgeva la caccia ai fuggitivi nelle campagne. È comunque certo che vi presero parte polacchi, alcuni costretti con la forza, altri volontariamente. Contadini polacchi, ad esempio, dovettero partecipare a vere e proprie battute di caccia agli ebrei nascosti nei boschi. Singole persone denunciarono alle autorità tedesche gli ebrei clandestini. Non accadeva di rado che gli ebrei nascosti fossero derubati e uccisi. Marek Jan Chodakiewicz calcola che, nel periodo compreso tra la primavera del 1942 e l'estate 1944, nel distretto di Janów Lubelski, a ovest di Lublino, circa 1000 ebrei avevano tentato la fuga. Approssimativamente 400 di questi furono scoperti durante cacce all'ebreo o durante azioni antipartigiane, e sottoposti a “trattamento speciale” [sonderbehandelt ]; più di 300 ebrei furono uccisi da banditi comuni, da partigiani comunisti e non e da collaborazionisti polacchi. D'altra parte vi furono anche molti cittadini che, a rischio della propria vita, aiutarono i perseguitati. Per questo motivo, molti di essi vennero uccisi dai tedeschi con tutta la loro famiglia70.
0002000070 ‣ Romania. L'“Olocausto dimenticato” . Prima della guerra la Romania ospitava la terza più grande comunità ebraica d'Europa. Nel 1941 vivevano in Romania 756.930 ebrei, che costituivano il 2,2% della popolazione totale. Nelle regioni orientali di Moldavia e Bessarabia, la percentuale degli ebrei era maggiore e costituiva il 7-10% della popolazione. Si calcola che, durante la guerra, circa 400.000 ebrei rumeni caddero vittime dell'Olocausto e gran parte di essi, circa 250.000, trovarono la morte per mano rumena. Per decenni, nel dibattito internazionale, tali crimini ricevettero scarsa considerazione e furono quasi trascurati dalla ricerca storica, tanto che oggi vengono definiti “l'Olocausto dimenticato”71.
La Romania era un'alleata di guerra della Germania. Pur ricalcando la politica estera del Terzo Reich, gestiva autonomamente la propria politica interna e, con essa, anche l'approccio alla questione ebraica. Tuttavia proprio la politica estera influenzò l'atteggiamento rumeno verso il problema degli ebrei. Nell'estate del 1940 il governo rumeno, in seguito all'ultimatum dettato dall'Unione Sovietica il 26 giugno, dovette cedere all'URSS la Bessarabia e la Bucovina settentrionale. Durante il ritiro delle truppe e delle autorità rumene dalle due regioni si verificarono eccessi antiebraici, culminati nella morte di 450 ebrei. Gli autori delle violenze furono soldati e poliziotti rumeni. Il pretesto fu dato dal fatto che parte della popolazione ebrea e ucraina aveva salutato con favore l'ingresso delle truppe sovietiche, un saluto che, da parte rumena, fu interpretato come un tradimento72. Nei mesi a seguire lo stato rumeno adottò una radicale politica antisemita. Nell'agosto 1940 il governo vietò i matrimoni misti (8 agosto) e definì per legge lo status di “ebreo” e lo stato di cittadinanza degli “ebrei” (9 agosto). Nel settembre 1940 il maresciallo Ion Antonescu prese il potere e, autonominandosi Conducator (un equivalente del tedesco Führer), instaurò con l'appoggio tedesco un regime militare e poliziesco dallo stampo autoritario e nazionalista, con il supporto della cosiddetta “Guardia di ferro” (Garda de Freir) 73. Il regime di Antonescu introdusse un'ulteriore serie di leggi antiebraiche, allo scopo di “allontanare” gli ebrei rumeni dall'economia e dall'apparato statale per “rumenizzare” entrambi i settori. A queste misure si accompagnò una campagna pubblica di istigazione antiebraica; negozi e abitazioni appartenenti a ebrei furono saccheggiati, ebrei furono umiliati e bastonati, e ci furono anche decine di morti. Gli autori di tali violenze venivano in primo luogo reclutati dalle file della Guardia di ferro74.
Questa campagna d'istigazione antiebraica raggiunse uno suo temporaneo apice nel gennaio 1940. Alla fine del 1941 i legionari della Guardia di ferro si ribellarono ad Antonescu che, tuttavia, riuscì a stroncare la rivolta. Durante la sollevazione, a Bucarest, vi furono violenze contro gli ebrei, additati dai legionari come i responsabili della rottura con Antonescu. A Bucarest i ribelli uccisero almeno 120 ebrei, ne bastonarono altre centinaia, saccheggiando case di ebrei e sinagoghe. Una volta soffocata la ribellione, in tutta la Romania l'ondata di violenza antisemita cessò temporaneamente. Il peggio, però, sarebbe dovuto arrivare solo dopo il 22 giugno 194175. I rumeni parteciparono all'aggressione tedesca all'URSS in quanto alleati della Germania. Le truppe rumene varcarono, assieme alla Wehrmacht, il confine rumeno-sovietico e, nell'arco di poche settimane, riconquistarono i territori perduti un anno prima. Le unità rumene continuarono, tuttavia, ad avanzare verso est insieme alle truppe tedesche, fino a Stalingrado, per poi passare sul fronte opposto soltanto il 23 agosto 1944 – quando fu chiaro che per la Germania la guerra era perduta.
Subito dopo l'inizio del conflitto, nelle regioni riconquistate, vi furono pogrom e massacri, rivolti soprattutto contro gli ebrei, ma anche contro tutti coloro che avevano collaborato, in maniera presunta o reale, con gli invasori sovietici. Il massacro più sanguinoso avvenne dal 28 al 30 giugno a Jasôi, una città sulla riva occidentale del Prut, allora situata al confine tra Romania e URSS. Il pretesto che scatenò le violenze furono i bombardamenti sovietici sulla città e i cecchini che, a quanto pare, avevano sparato a soldati rumeni e tedeschi. Per ritorsione, le autorità rumene fecero arrestare migliaia di uomini ebrei. L'operazione, tuttavia, degenerò presto in un pogrom; i cittadini ebrei furono saccheggiati, umiliati, percossi e assassinati. Soldati e gendarmi rumeni, ma anche civili e soldati tedeschi, uccisero circa 900 ebrei. Il resto degli internati, circa 5500 uomini, fu caricato dalle autorità rumene su due convogli e trasportato verso est. Nel primo treno sopravvissero alla peregrinazione durata più giorni solo 1076 persone su 2500, nel secondo 800 su 1900. Gli altri perirono durante il viaggio, tra atroci sofferenze: alcuni morirono di sete o soffocati nei vagoni, altri furono colpiti a morte o uccisi a colpi di arma da fuoco da soldati rumeni e anche tedeschi76. Il massacro di Jasôi non fu un evento eccezionale. Soldati, gendarmi e civili rumeni, soldati tedeschi e membri dell'Einsatzkommando 10a, facente parte dell'Einsatzgruppe D, insieme ad alcuni contadini ucraini, colpirono a morte o uccisero a colpi di arma da fuoco, nelle prime settimane di guerra, migliaia di ebrei in Bessarabia e nella Bucovina settentrionale. Il 3 luglio, nel villaggio di Ciudei, in Bucovina, i soldati del 6° reggimento di fanteria uccisero tra i 450 e i 572 ebrei, uomini, donne e bambini. Nella città di Storojinet, il 4 luglio, i soldati rumeni trucidarono 200 ebrei. A Cernovtsy, tra il 9 e il 12 luglio, soldati rumeni e tedeschi, gendarmi rumeni e la locale popolazione rumena e ucraina uccisero circa 2000 ebrei. In decine di altre località della Bucovina e della Bessarabia, nelle prime settimane di guerra, vi furono massacri e pogrom contro ebrei. Raul Hilberg calcola che in Bessarabia e Bucovina, nel solo luglio 1941, furono uccisi più di 10.000 ebrei. Ma la strage non era ancora terminata77.
Se, da un lato, il governo di Antonescu condannava i sanguinosi pogrom come atti indegni dei soldati rumeni, dall'altro l'espulsione degli ebrei dalle regioni riconquistate era parte integrante del suo programma. Le autorità e i militari rumeni allestirono, all'inizio in modo palesemente caotico, convogli di ebrei che venivano condotti dai soldati rumeni a est, nell'Ucraina occupata dai tedeschi. I rumeni speravano che i tedeschi “risolvessero” il problema a modo loro. Il più grande convoglio, carico di 25.000 ebrei, arrivò a Coslar, nell'Ucraina occupata dai tedeschi, nel luglio 1941. Là i profughi dovettero resistere per settimane all'aperto: i tedeschi, infatti, si rifiutarono di occuparsene. Il 17 agosto i profughi furono rispediti in Bessarabia, ma solo 16.500 sopravvissero, dato che gli altri, nel frattempo, erano stati fucilati dai tedeschi o erano rimasti vittima delle malattie, della debilitazione o della fame. La sorte degli altri profughi non fu dissimile78.
Le autorità rumene sospesero temporaneamente queste espulsioni caotiche non concordate con gli alleati tedeschi, nel settembre 1941. Il 30 agosto 1941 tedeschi e rumeni si accordarono affinché la Transnistria, la regione compresa tra i fiumi Bug e Dnjestr, fosse posta interamente sotto l'amministrazione rumena. Il governo di Bucarest decise quindi di trasformare la Transnistria in una regione di deportazione per gli ebrei rumeni. Nell'ottobre 1941 iniziò una massiccia espulsione di ebrei dalla Bessarabia e dalla Bucovina proprio nella Transnistria79. L'espulsione si svolse nel seguente modo: le autorità rumene istituirono ghetti di transito, i primi dei quali erano già sorti nel luglio 1941, e vi concentrarono gli ebrei. Successivamente i responsabili allestivano con le vittime colonne di marcia oppure le caricavano in convogli. Mentre i profughi provenienti dalla Bessarabia dovevano affrontare il tragitto marciando, quelli della Bucovina venivano trasportati in treno. I gendarmi e i soldati rumeni incaricati dei trasferimenti derubavano, violentavano e assassinavano gli ebrei espulsi. Anche parti della popolazione non ebrea partecipavano volenterose ai saccheggi e alle violenze. Il numero delle vittime ammonta a decine di migliaia. Dei circa 190.000 ebrei che caddero in mani rumene in Bessarabia e Bucovina, nell'arco di un anno circa 160.000 furono espulsi; tra questi, tuttavia, soltanto 135.000 giunsero in Transnistria. Gli altri morirono o nei ghetti di transito o durante il tragitto verso la Transnistria. Nell'ottobre 1942 il governo rumeno sospese definitivamente le espulsioni80.
Dopo l'arrivo in Transnistria i profughi venivano divisi in più di cento piccoli centri. In Transnistria, prima della guerra, vivevano circa 300.000 ebrei locali, la maggior parte a Odessa. Più o meno la metà di questi lasciò la regione insieme alle truppe sovietiche, e sul posto restarono circa 150.000 ebrei.81 Anche questi ultimi furono investiti dalla violenta ondata di terrore scatenata dai tedeschi e dai rumeni. Alcuni giorni dopo la presa della città, il 22 ottobre 1941, nel centro di Odessa esplosero mine a innesco ritardato, piazzate precedentemente da artificieri sovietici. Nelle esplosioni persero la vita un generale rumeno, numerosi ufficiali, anche tedeschi, e alcuni soldati. La ritorsione si scagliò contro gli ebrei. Lo stesso giorno soldati rumeni fucilarono alcune migliaia di ebrei nella zona portuale della città. Il giorno seguente il comandante della città [Stadtkommandant ] rumeno fece impiccare più di 5000 persone, in maggioranza ebrei. Nello stesso giorno la polizia e la gendarmeria rumene arrestarono più di 20.000 persone: anche tra queste prevalevano gli ebrei. Gli arrestati furono fucilati fuori città il 24 ottobre. Si calcola che le vittime furono circa 25.00082. Al massacro di Odessa ne seguirono altri. A novembre e a dicembre del 1941, nel distretto di Golota e nelle località di Bogdanovka, Dumanovka e Atmicetka, le forze di occupazione rumene fucilarono circa 75.000 ebrei. Tuttavia, in Transnistria, a uccidere non furono solo gli occupanti rumeni, ma anche l'Einsatzgruppe D, che nell'operazione si avvalse anche della collaborazione di locali del gruppo etnico tedesco e della polizia ausiliaria ucraina83.
In Transnistria gli ebrei non venivano sterminati soltanto dalle fucilazioni di massa e dai massacri: decine di migliaia di ebrei, infatti, soccombevano per le condizioni di vita proibitive: la fame, il freddo, le malattie e i micidiali lavori forzati imposero il loro pesante tributo in termini di vite umane. Dei circa 135.000 ebrei rumeni espulsi in Transnistria fino all'ottobre 1942, i morti furono 87.000 circa. Alla fine del 1943, anno in cui le condizioni di vita divennero più sopportabili, i sopravvissuti erano appena 50.741. Al contrario, tra i circa 150.000 ebrei locali, le vittime furono 130.000. A questi si aggiunsero 19.000 zingari rumeni dei 25.000 fattivi deportare nel 1942 dalle autorità rumene. I tedeschi risultano responsabili di oltre 50.000 omicidi: la maggioranza delle vittime fu consegnata dagli occupanti rumeni. Il resto delle vittime è da attribuirsi unicamente a responsabili rumeni84. A ragione Raul Hilberg faceva notare: “Nessun altro paese, all'infuori della Germania, fu coinvolto in un massacro degli ebrei così massiccio come la Romania”85. Mentre la maggioranza degli ebrei delle regioni riconquistate morì tra il 1941 e il 1943, gli ebrei nella Vecchia Romania (la Romania senza le province perdute nel 1940) sopravvissero fino alla fine della guerra, relativamente indenni. Sebbene nel 1942 fossero programmate deportazioni ad Auschwitz, il governo rumeno tuttavia le interruppe proprio all'inizio della fase di sterminio. Al di là di ciò gli ebrei della Vecchia Romania sottostarono a disposizioni speciali e discriminatorie in tutti i settori della vita pubblica. Gli ebrei delle campagne furono anche trasferiti nelle città. Tuttavia la maggior parte di essi sopravvisse alla guerra86.
0002000070 ‣ Ungheria . Come la Romania, anche l'Ungheria era un'alleata di guerra dei tedeschi e, come stato, prese parte all'Olocausto. In Ungheria, entro i confini del 1938, vivevano 401.000 ebrei (il 4,3% della popolazione totale) ed entro i confini del 1941 complessivamente 725.000 (il 4,9%). Ad essi si aggiunsero circa 100.000 persone classificate come ebree in seguito alla definizione della legge del 2 agosto 1941 sul concetto di “ebreo”87. Paradossalmente, gli ebrei ungheresi vissero pressoché al sicuro fino alla primavera del 1944, sebbene lo stato magiaro non avesse in alcun modo condotto fino ad allora una politica filoebraica. Anzi, a partire dal 1938, furono emanate e applicate leggi antisemite con l'obiettivo di allontanare gli ebrei dall'economia, dall'apparato statale e da altri settori della vita pubblica. L'eliminazione fisica degli ebrei, però, non rientrava nell'ordine del giorno, malgrado i tedeschi a partire dal 1942 incitassero il governo ungherese a procedervi88. La situazione cambiò nella primavera del 1944, quando nel comando tedesco si insinuò il sospetto che gli ungheresi potessero uscire dall'alleanza o addirittura passare al nemico. Per prevenire tale evenienza, il 19 marzo 1944, Hitler fece invadere l'Ungheria dalle truppe tedesche. Il vecchio governo fu sciolto e ne fu insediato un altro che godeva la fiducia dei tedeschi ed era disposto ad accontentarne richieste e desideri. Gli organi tedeschi in Ungheria, però, non intervennero direttamente nell'economia o nell'amministrazione ungherese, ma preferirono esercitare pressioni più o meno intense, o affidarsi a negoziati. Questa situazione sarebbe cambiata nell'autunno del 194489.
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