Ojai, 17 giugno 1945
Domanda: Lei condanna la guerra, ma non la appoggia anche lei?
Krishnamurti: Non stiamo noi tutti appoggiando questo terrificante sterminio di massa? Noi siamo responsabili, ognuno di noi, della guerra; la guerra è il prodotto finale della nostra vita quotidiana; è causata dai nostri pensieri, sentimenti e atti quotidiani. Noi proiettiamo ciò che siamo nei nostri rapporti lavorativi, sociali, religiosi; come noi siamo, così è il mondo.
Se non comprendiamo quali sono le implicazioni principali, ma anche quelle di minor conto, del nostro essere responsabili della guerra, rimarremo confusi e incapaci di liberarci dai suoi disastri. Dobbiamo sapere dove mettere l’accento, e solo allora comprenderemo il problema. La guerra è lo sbocco inevitabile di questa società: essa è innestata sulla guerra, la sua industrializzazione conduce alla guerra, i suoi valori incoraggiano la guerra. Tutto ciò che facciamo entro i suoi confini contribuisce alla guerra. Quando compriamo qualcosa, le tasse vengono usate per la guerra; anche i francobolli servono a sostenere la guerra. Non possiamo sfuggire alla guerra, in qualunque luogo andiamo, e soprattutto adesso, poiché la società è organizzata per la guerra totale. Anche il lavoro più semplice e innocuo contribuisce in un modo o nell’altro alla guerra. Che ci piaccia o no, stiamo appoggiando la guerra con la nostra stessa esistenza. Che cosa faremo? Non possiamo rinchiuderci in un’isola o in una società primitiva, perché l’attuale cultura è ovunque. Quindi, che cosa possiamo fare? Ci rifiuteremo di appoggiare la guerra astenendoci dal pagare le tasse, dal comprare francobolli? È questo il punto principale? Se non lo è, se è solo secondario, non lasciamo che ci distragga.
Il punto principale non è forse molto più profondo, non è la causa stessa della guerra? Se riusciamo a comprendere la causa della guerra, affronteremo i problemi secondari da un punto di vista totalmente diverso; se invece non la comprendiamo, siamo perduti. Se riusciamo a liberarci dalle cause della guerra, può darsi che i problemi secondari non sorgano neppure.
L’accento va dunque posto sulla scoperta in se stessi della causa della guerra. Tale scoperta va fatta da ciascuno, e non da un gruppo organizzato, perché le attività di gruppo tendono ad andare in direzione dell’inconsapevolezza, della mera propaganda e degli slogan, che generano soltanto ulteriore intolleranza e conflitto. La causa va scoperta da sé, di modo che ciascuno, attraverso l’esperienza diretta, se ne liberi.
Se riflettiamo bene, siamo ben consapevoli delle cause della guerra: la passione, l’ostilità e l’ignoranza; la sensualità, la mondanità, la sete di fama personale e di continuità; l’avidità, l’invidia e l’ambizione; il nazionalismo con i suoi diversi stati sovrani, le frontiere economiche, le divisioni sociali, i pregiudizi razziali e le religioni istituzionalizzate. Non è possibile che ciascuno diventi consapevole della propria avidità, ostilità e ignoranza, e così se ne liberi? Ci aggrappiamo al nazionalismo perché è uno sfogo dei nostri istinti crudeli, criminali; in nome del nostro paese o di un’ideologia possiamo uccidere e ammazzare impunemente, diventare degli eroi, e più uccidiamo i nostri simili più onori riceviamo dal nostro paese.
Il problema principale non è quindi la liberazione dalle cause del conflitto e della sofferenza? Se non mettiamo l’accento su di ciò, come fa la soluzione dei problemi secondari a fermare la guerra? Se non sradichiamo le cause della guerra in noi stessi, a che cosa serve affaccendarci con i risultati esterni di quello che è il nostro stato interiore? Ognuno deve scavare in profondità e gettare via la lussuria, l’ostilità e l’ignoranza; dobbiamo abbandonare completamente il nazionalismo, il razzismo e tutte le cause che producono inimicizia. Dobbiamo impegnarci totalmente in ciò che è di primaria importanza, e non lasciarci confondere dai problemi secondari.
D.: Lei è molto scoraggiante. Io cerco un’ispirazione. Lei non ci stimola con parole d’incoraggiamento e di speranza. È sbagliato cercare una fonte d’ispirazione?
K.: Perché vuole essere ispirato? Non è perché dentro di lei si sente vuoto, non creativo, solo? Vogliamo riempire questa solitudine, questo vuoto doloroso; lei certamente ha cercato vari modi per riempirlo, e spera di sfuggirlo una volta di più venendo qui. Il processo con cui si tenta di coprire un’arida solitudine viene chiamato ispirazione. L’ispirazione diventa così una semplice stimolazione, e come tutte le stimolazioni porta presto con sé noia e insensibilità. Così passiamo da una ispirazione, da una stimolazione all’altra, ognuna delle quali porta con sé delusione e stanchezza; la mente-cuore perde la sua duttilità, la sua sensibilità; e la capacità di tensione interna va perduta in questo continuo processo di tira e molla. La tensione è indispensabile alla scoperta, ma una tensione che richiede rilassamento o stimolazione perde presto la capacità di rinnovarsi, di essere duttile, sveglia. Questa duttilità sveglia non può venire indotta dall’esterno, ma nasce quando non dipende dalla stimolazione, dall’ispirazione.
Qualunque stimolo non ha forse identici effetti? Che beviate un bicchiere o che siate stimolati da un dipinto o da un’idea., che andiate a un concerto o a una cerimonia religiosa, o che siate eccitati da un’azione, nobile o ignobile, tutto ciò non ottunde forse la mente-cuore? Una giusta rabbia, che è un’assurdità, per quanto possa essere stimolante e ispirante, genera insensibilità; ma per far esperienza della realtà, non occorre forse la più alta forma di intelligenza, sensibilità e ricettività? Gli stimoli generano dipendenza, e la dipendenza, degna o indegna che sia, genera paura. È relativamente indifferente da che cosa ci facciamo stimolare, o ispirare, dalla chiesa istituzionalizzata, dalla politica o dalle distrazioni, perché il risultato sarà lo stesso: l’insensibilità prodotta dalla paura e dalla dipendenza.
Le distrazioni diventano stimolazioni. La nostra società incoraggia fortemente la distrazione, in ogni sua forma. Il nostro stesso pensiero-sentimento è diventato un processo di allontanamento dal centro, dalla realtà. Perciò è estremamente difficile ritrarsi da tutte le distrazioni, perché siamo diventati quasi del tutto incapaci di essere consapevoli senza preferenze di ciò che è. Così nasce il conflitto, che distrae ulteriormente il nostro pensiero-sentimento, e solo mediante una costante consapevolezza il pensiero-sentimento riuscirà a liberarsi dalla rete delle distrazioni.
Inoltre, chi vi può dare animo, coraggio e speranza? Se ci appoggiamo su di un altro, per quanto grande e nobile, siamo completamente perduti, perché la dipendenza genera possessività, con la sua infinita lotta e sofferenza. Animo e felicità non sono fini in se stessi; come il coraggio e la speranza sono strumenti per la ricerca di qualcosa che è un fine in se stesso. È questo fine che va cercato con pazienza e perseveranza, e solo con la sua scoperta la nostra agitazione e il nostro dolore cesseranno. Il viaggio verso la sua scoperta passa attraverso se stessi, ogni altro viaggio è una distrazione che conduce all’ignoranza e all’illusione. Il viaggio all’interno di sé non va intrapreso in vista di un risultato, e neppure per risolvere il conflitto e il dolore, perché la ricerca stessa è devozione, ispirazione. Allora il viaggiare è di per se stesso un processo di svelamento, un’esperienza sempre liberante e creativa. Avete notato che l’ispirazione viene quando non la cercate? Viene quando ogni attesa è finita, quando la mente-cuore è silenziosa. Ciò che è cercato è anche creato dal sé, e quindi non è reale.
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